Letteratura americana

“Pastorale americana” di Philip Roth (circolo di lettura il 30 maggio)

Il prossimo incontro del circolo di lettura di Jesi è il 30 maggio, alle ore 21,15, sempre presso la Salara (Biblioteca Planettiana). Si chiude con questo il ciclo di 8 incontri dedicati alla letteratura americana del Novecento; coglieremo l’occasione anche per darci appuntamento per dopo l’estate, con il prossimi ciclo di incontri di cui dovremo scegliere insieme il tema.
Ecco intanto l’incipit di Pastorale americana, che leggeremo in questo mese:

81aXBt-qrwLLo Svedese. Negli anni della guerra, quando ero ancora alle elementari, questo era un nome magico nel nostro quartiere di Newark, anche per gli adulti della generazione successiva a quella del vecchio ghetto cittadino di Prince Street che non erano ancora così perfettamente americanizzati da restare a bocca aperta davanti alla bravura di un atleta del liceo. Era magico il nome, come l’eccezionalità del viso. 
Dei pochi studenti ebrei di pelle chiara presenti nel nostro liceo pubblico prevalentemente ebraico, nessuno aveva nulla che somigliasse anche lontanamente alla mascella quadrata e all’inerte maschera vichinga di questo biondino dagli occhi celesti spuntato nella nostra tribù con il nome di Seymour Irving Levov. 
Lo Svedese brillava come estremo nel football, pivot nel basket e prima base nel baseball. Soltanto la squadra di basket combinò qualcosa di buono (vincendo per due volte il campionato cittadino con lui come marcatore  principale), ma per tutto il tempo in cui eccelse lo Svedese il destino delle nostre squadre sportive non ebbe troppa importanza per una massa studentesca i cui progenitori – in gran parte poco istruiti, ma molto carichi di preoccupazioni -veneravano il primato accademico più di ogni altra cosa. L’aggressione fisica, anche se dissimulata da tenute sportive e norme ufficiali, e priva dell’intento di nuocere agli ebrei, non era tradizionalmente una fonte di soddisfazione nella nostra comunità; i buoni voti sì.
Ciononostante, grazie allo Svedese, il quartiere cominciò a fantasticare su se stesso e sul resto del mondo, così come fantastica il tifoso di ogni paese: quasi come i gentili (come esse immaginavano i gentili), le nostre famiglie poterono dimenticare come andavano realmente le cose e fare di una prestazione atletica il depositario di tutte le loro speranze. In primo luogo, poterono dimenticare la guerra.
L’assunzione di Levov lo Svedese a domestico Apollo degli ebrei di Weequahic si può spiegare meglio, credo, con la guerra contro i tedeschi e i giapponesi e le paure che essa generò. Con lo Svedese che furoreggiava sul campo da gioco, l’insensata superficie della vita forniva una specie di bizzarro, illusorio sostentamento, il felice abbandono a una svedesiana innocenza, per coloro che vivevano nella paura di non rivedere mai più i figli, i fratelli o i mariti.

Toni Morrison: la memoria, i fantasmi, la scrittura

Amatissima di Toni Morrison, è il libro scelto per il prossimo incontro del circolo di letturamercoledì 27 aprile, alle 21.15, alla Biblioteca Planettiana di Jesi.

Beloved_Toni_Morrison_unabridged_compact_discs_Random_House_Audio«L’infanzia e l’adolescenza nel mondo afroamericano, in particolare della donna, sono due momenti cui la scrittrice dedica profonda attenzione nell’indagare l’esperienza umana. Si percepisce la tensione della Morrison a forgiare immagini originali, ma soprattutto autentiche, ricusando con decisione gli stereotipi imperanti sui neri negli Stati Uniti –modelli che, come sottolinea inflessibile, i neri stessi hanno assimilato e fatto propri. La sovversione di quegli stereotipi passa attraverso la ricerca di un linguaggio con cui creare un convincente universo  immaginario che emerga con forza dalla cosmologia afroamericana, e attraverso una rigorosa consapevolezza della tecnica narrativa.» Scrive così Giulia Scarpa in un lungo e interessante saggio di alcuni anni fa, dal titolo Toni Morrison: la memoria, i fantasmi, la scrittura, dedicato alla grande scrittrice afroamericana premio Nobel per la letteratura nel 1993, e vincitrice del premio Pulitzer nel 1988 con il suo Beloved/Amatissima.

Un libro complesso ed esigente, teso a sovvertire i punti di vista, o di percezione, gli stereotipi.  Una delle dimensioni che più mi ha coinvolto durante la lettura, è proprio quella sintetizzata nel titolo del saggio citato, sul rapporto tra scrittura e memoria:

«La scrittura è ricerca in quanto atto di memoria: “La memoria (l’atto deliberato del ricordare) è una forma di creazione voluta. Ritrovare come sia andata veramente non è uno sforzo – è ricerca. Il punto è indugiare su come qualcosa appariva e sul perché appariva in quel modo particolare”. È anche ricerca di coesione tra i vari ricordi; coesione che trova la sua forza in una complessa poetica della trasformazione, nella quale vari strati di memoria si mescolano per poi sedimentare, dando vita a un terreno la cui perfezione, a prima vista, non fa neanche sospettare la presenza della sapiente e laboriosa mano che gli ha dato nuova vita – “le cuciture non si devono vedere”. La memoria assume forme diverse dando corpo ogni volta a modi diversi di ricordare. La metafora del fantasma ritorna a indicare l’invisibile presenza della scrittrice dietro ogni parola con cui dà voce a personaggi e narratori sempre differenti le cui memorie – ossessive, rimosse, nascoste, serbate teneramente o maniacalmente – formano intrecci infiniti.»

“Amatissima”, di Toni Morrison (circolo di lettura, 27 aprile)

«Il 124 era carico di rancore. Carico del veleno di una bambina. Le donne lo sapevano, e così anche i bambini. Per anni ognuno aveva cercato a modo suo di sopportare il rancore di quella casa ma, nel 1873, le uniche vittime rimaste erano Sethe e sua figlia Denver. La nonna, Baby Suggs, era morta, e i due ragazzi, Howard e Buglar, erano scappati via a tredici anni, non appena, al solo guardarsi nello specchio, questo si era frantumato (il segnale per Buglar), non appena erano apparse sulla torta le due minuscole impronte di una manina (il segnale per Howard). Nessuno dei due aveva aspettato di vedere altro: l’ennesima pignatta ricolma di ceci fumanti rovesciata sul pavimento, le gallette in briciole sparpagliate a terra lungo una linea parallela all’uscio di casa. Né avevano atteso uno dei soliti periodi di calma: le settimane, i mesi persino, in cui niente veniva a turbare la quiete. No. Erano svaniti entrambi all’improvviso, nel momento stesso in cui la casa si era resa colpevole di ciò che ognuno di loro riteneva l’unico insulto da non potersi sopportare o vedere una seconda volta.» 
 1Inizia così Amatissima di Toni Morrison, ne ho trovato anche la versione audio andata in onda qualche tempo fa sul programma Ad alta voce, con la lettura di Maria Paiato.
È questo il prossimo libro del mese del circolo di lettura di Jesi, di cui parleremo insieme nel settimo incontro, mercoledì 27 aprile, alle 21.15, sempre presso i locali della Biblioteca Planettiana, per il penultimo di questo ciclo di incontri iniziati lo scorso ottobre e che ci ha visto attraversare insieme e condividere alcune delle pagine più interessanti della letteratura americana del Novecento, da Fitzegerald a Faulkner, Steinbeck, Fante, Bradbury e Bukowski.
Non anticipo nulla al piacere della lettura di questa importante opera, che l’autrice ha scritto negli anni Ottanta, misurandosi con le memorie e con il passato, e quindi anche con il presente. “È per questo” le chiedono in un’intervista, “che la memoria è così importante nei suoi libri, per esempio in Beloved, dove il passato è anche presente?” “E tu devi stare lì e guardarlo in faccia” risponde lei, “O almeno provarci. E se non lo fai, se non hai almeno un minimo di dialogo col passato, non puoi capire il senso del presente. Tanto meno del futuro.

 

Factotum, di Charles Bukowski (mercoledì 23 al circolo di lettura)

factotum1

Mercoledì 23 marzo alle 21.15 appuntamento con Factotum di Charles Bukowski, per il sesto incontro del circolo di lettura presso la Biblioteca Planettiana di Jesi. La lettura di Factotum è come un salto, nel nostro percorso, sia per gli anni – è del 1975, mentre il precedente Fahrenheit 451 era del 1953 –, sia per i temi, sia per il suo modo di raccontare. Ne parleremo insieme mercoledì prossimo. Di seguito riporto due brevi brani estratti da interviste a Bukowski; nel primo parla del suo rapporto con John Fante, che in quegli anni era stato del tutto dimenticato – “continui a citare Fante, è uno scrittore reale?” chiede a Bukowski il suo editore –,  e nel secondo di come Hollywood uccide gli scrittori. Entrambi i brani li ho trovati in rete in una più ampia raccolta di interviste allo scrittore.

«Dimmi della tua amicizia con John Fante…»
«Da ragazzo, di giorno gironzolavo per le biblioteche e di notte per i bar. Poi ho finito le cose da leggere. Tiravo via i libri dagli scaffali, ancora e ancora. Leggevo solo le prime righe e sentivo la falsità e li rimettevo a posto. Era un vero show dell’orrore. Niente di legato alla vita, perlomeno non alla mia e a quella in strada e a quella della gente che vedevo in strada e a quello che erano costretti a fare e a quello che erano diventati. E un giorno successe che ho tirato fuori un libro di un tizio chiamato Fante. Le righe mi assalirono. Fuoco. Niente stronzate. Non avevo mai sentito parlare di Fante, nessuno parlava di Fante. Era lì e basta. Un libro. Era intitolato Chiedi alla polvere. Non mi piaceva il titolo ma le parole erano semplici e oneste e piene di passione. Cazzo, pensai, quest’uomo sa scrivere! Bene, ho letto tutti i libri che sono riuscito a trovare e ho capito che c’era ancora gente speciale sulla terra. Fu decenni più tardi che citai “Fante” nei miei scritti. Non erano ancora stati pubblicati tutti ma erano stati spediti a John Martin della Black Sparrow Press, e una volta lui mi chiese, credo fosse a telefono, «Continui a citare Fante? È uno scrittore reale?». Gli ho detto che lo era e che avrebbe dovuto leggerlo. Presto l’ho risentito, era eccitatissimo: «Fante è grandioso! Grandioso! Non riesco a crederci! Pubblicherò i suoi libri!». E allora è uscita la serie di Fante per la Black Sparrow. Fante era ancora vivo. Mia moglie mi suggerì che visto era una specie di eroe per me dovevo andarlo a trovare. Era in ospedale, moribondo, cieco e amputato; diabete. Andavamo all’ospedale e una volta a casa, dopo che l’avevano dimesso per un po’ di tempo. Era un piccolo bulldog, coraggioso senza provarci. Ma se ne stava andando. Scrisse ancora un libro in quello stato, dettandolo alla moglie. Black Sparrow l’ha pubblicato. Fu uno scrittore fino alla fine. Mi raccontò anche della sua idea per il prossimo romanzo: una donna che gioca a baseball fino ad arrivare alle grandi squadre. «Vai avanti, John, scrivilo», gli dissi. Ma presto se n’è andato…» (Beat Scene/Transit Magazine, 1994).

«Col cinema com’è andata?»
«Ho sempre considerato Hollywood al di là dei soliti luoghi comuni, come un luogo infernale che ha spolpato e distrutto gli scrittori. Poi fare gli sceneggiatori è una cosa stupida e ridicola e non ha niente a che vedere con la letteratura. lo sono autore di poemi, di poesie, di racconti brevi, non me ne frega un cazzo delle sceneggiature, non ho bisogno di vendermi, ho soldi a sufficienza per fare quello che mi pare, non devo certo andare a farmi sbattere a Hollywood per rimediare fica fresca di Beverly Hills, donne pazze e disperate si possono conoscere comunque, anche frequentando diverse compagnie. Scrivere sceneggiature è un atto insulso, molti scrittori si sono fatti intrappolare perdendosi. Guarda quello che è successo a Scott Filzgerald, si è fatto ammazzare da Hollywood, si è fottuto da solo bevendo e facendosi uccidere dall’alcool.» (l’Unità, 1989).

“Fahrenheit 451” di Ray Bradbury (circolo di lettura il 24 febbraio)

Si è svolto ieri sera, il 3 febbraio, il quarto incontro del circolo di lettura di Jesi, in viaggio con alcune opere della letteratura americana del novecento. Arrivati nella Los Angeles degli anni trenta, abbiamo parlato di “Chiedi alla polvere” e di John Fante; come al solito, introdotta da Alessandro Seri, è nata una discussione bella e aperta a infinite possibilità, come accade ogni volta con libri e autori che ogni volta ci spiazzano, perché ci introducono a mondi nuovi, prospettive e linguaggi, tanto più che Fante ci immerge in una realtà quotidianità che al tempo stesso appare aperta a mille libertà e insieme anche con un che di inesorabile, con disagi non ben afferrabili e… e insomma, un intero mondo. Tra i temi accennati, anche quello della scrittura e del biografismo negli scrittori cosiddetti migranti, e nel caso specifico di Fante migrante di seconda generazione. Probabilmente sarebbe un bel tema anche questo, da sviluppare in un percorso a parte, perché scopriremmo magari che nemmeno questa dimensione è possibile racchiuderla in confini circoscritti. Mi limito qui a segnalare un articolo sulla scrittura di John Fante pubblicato sull’archivio storico dell’emigrazione italiana.

fahrenheit451Il prossimo incontro del circolo di lettura è previsto mercoledì 24 febbraio, sempre alle 21.15 presso la Biblioteca Planettiana, il libro che ci attende questa volta è Fahrenheit 451 di Ray Brabury. Sicuramente sarà un nuovo spiazzamento, quello dei libri mandati al rogo, proprio perché i libri ci mettono di fronte a realtà diverse, possono crearci dubbi o far emergere disagi nascosti, far maturare idee diverse e quindi distrarci dal vero divertimento, basato sulla distrazione. Fahrenheit è un libro che come Altrovïaggio abbiamo già affrontato, lo scorso anno, nella serata del 27 gennaio dedicata alla memoria: noi scegliemmo per quella data il tema dei libri al rogo, tra profezia e memoria. Fahrenheit fu uno dei tre libri che scegliemmo, insieme a Il mondo nuovo di Aldous Huxley e al Don Chisciotte di Cervantes, scegliendo di quest’ultimo come lettura la divertente scena in cui nipote, serva e prete, disturbati da Don Chisciotte che ha sovvertito il tranquillo mondo in cui loro vivono senza avvertire disagi, approfittando del suo sonno gli gettano via dalla finestra tutti quei libri che gli hanno fatto venire trante strane idee in testa. Che cosa rispondere alla distruzione dei libri? Forse è sufficiente questo, che i libri rispondono ad un bisogno fondamentale dell’umanità, quello di narrare se stessa per costruire la propria identità, e di narrare il mondo, per capirlo, immaginarlo e migliorarlo; chi li distrugge, li disprezza o li ignora, in realtà distrugge questo bisogno di narrazione e di consapevolezza, distrugge il pensiero critico.

Anche Fahrenheit è diventato un film, famoso, questa volta però non americano bensì francese, di François Truffaut.

“Ask the dust”, John Fante (incipit)

ask-the-dust« Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d’albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell’albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto.
Al mattino mi svegliai, decisi che avevo bisogno di un po’ di esercizio fisico e cominciai subito. Feci parecchie flessioni, poi mi lavai i denti. Sentii in bocca il sapore del sangue, vidi che lo spazzolino era colorato di rosa, mi ricordai cosa diceva la pubblicità, e decisi di uscire a prendermi un caffè. »

fante« One night I was sitting on the bed in my hotel room on Bunker Hill, down in the very middle of Los Angeles. It was an important night in my life, because I had to make a decision about the hotel. Either I paid up or I got out: that was what the note said, the note the landlady had put under the door. A great problem, deserving acute attention. I solved it by turning out the lights and going to bed. In the morning I awoke, decided that I should do more physical exercise, and began at once. I did several bending exercises. Then I washed my teeth, tasted blood, saw pink on the toothbrush, remembered the advertisements, and decided to go out and get some coffee. »

mercoledì 3 febbraio alle ore 21.15 alla biblioteca Planettiana quarto incontro del circolo di lettura con “Chiedi alla polvere” di John Fante

 

“Chiedi alla polvere” di John Fante (circolo di lettura, 3 febbraio)

9780060822552Il quarto incontro del circolo di lettura di Jesi si terrà mercoledì 3 febbraio, sempre presso i locali della Salara, in biblioteca comunale.  Il libro che ci attende questa volta è “Chiedi alla polvere”, Ask the dust, di John Fante, scritto nel 1939 e ambientato in California. Siamo partiti con le nostre letture dall’Est, con Il grande Gatsby di Fitzgerald, ci siamo soffermati dalle parti del Mississippi con Luce d’Agosto di Faulkner, e poi, seguendo prima ancora che leggendo Furore di Steinbeck, abbiamo viaggiato insieme alla famiglia Joad, espulsa delle terre dell’Oklahoma e gettata in un viaggio che ha le sembianze della fuga, lungo la road 66 tagliando via Texas, New Mexico e Arizona per tentare chissà che cosa in California.

Durante l’incontro del circolo di lettura di qualche sera fa, in biblioteca per parlare di Furore e confrontare le nostre impressioni, ad un certo punto ci siamo soffermati su una curiosità, e cioè la totale assenza in questo romanzo Steinbeck di personaggi afroamericani, chiedendoci se non si trattasse di un’assenza troppo totale, addirittura voluta, o più semplicemente se fosse dovuta al fatto che in quegli anni gli afromericani erano maggiormente presenti negli stati ex schiavisti del sud est, e migravano anche, in grande numero, ma soprattutto verso gli stati industriali del nord, quelli dominati dalle grandi industrie di Detroit.

Del resto, nel romanzo Furore – con cui Steinbeck riproduce la grande espulsione di massa dei mezzadri dagli stati del centro, in seguito sia alla siccità e alle terribili tempeste di polvere (dust bowl) sia all’avvento dell’industrializzazione dell’agricoltura con l’introduzione massiccia delle trattrici e delle colture estensive, più produttive per i proprietari –  le discriminazioni e i meccanismi di esclusione sociale, per compiersi a danno dei mezzadri, non hanno bisogno di ricorrere a marcatori etnici basati sul colore della pelle. Sono gli Okies i nuovi diseredati, una specie di altra razza, come vengono chiamati spregiativamente questi contadini gettati sulla strada, con tutti i loro beni residui accatastati al completo sopra sgangherati e rimediati autocarri: “Quei maleddetti Okies non hanno né buon senso né sensibilità. Sono come bestie. Nessun essere umano s’adatterebbe a vivere come vivono loro, in quella sporcizia, in quella miseria! Non credere che siano molto più civilizzati dei gorilla…. Scacciarli, bisogna, questi intrusi; e subito senza pietà … Se non li teniamo a bada, questi straccioni, s’impadroniscono di tutto il paese. Tutto il paese. Porci di forestieri. Va bene, parlano la nostra lingua, ma non sono come noi. basta vedere come vivono, chi di noi si adatterebbe a vivere così?”

Chiunque si adatterebbe o cercherebbe di farlo, si potrebbe rispondere, se la sorte decidesse di gettarglisi addosso. L’espulsione dalle campagne e dalle proprie terre, le grandi migrazioni. Accade da sempre e un po’ ovunque; in quegli stessi anni anche in altri paesi diversi dagli stati uniti, e talvolta in modo anche più tragico, come le esperienze di collettivizzazione forzata di staliniana memoria.  In Italia in quello stesso periodo la situazione era più stabile, fermata, erano gli anni del confino di Carlo Levi a Grassano ed Aliano, da cui ci ha riportato quel capolavoro che è Cristo si è fermato a Eboli.  La fuga dalle campagne, specie dal meridione ma non solo, avverrà da noi negli anni cinquanta, dopo che i contadini avranno tentato di emanciparsi da soli, in un modo più equo, occupando le terre su cui vivevano e lavoravano già da sempre, ma per il benessere degli altri. Dovranno andarsene anche loro, come gli afroamericani, verso le miniere o le grandi aziende del Nord.

Steinbeck ci porta magnificamente dentro questi meccanismi delle relazioni sociali che ci sembrano alieni, li aveva studiati scrivendo reportage di recente ripubblicati in Italia, e così nel romanzo li segue anche da dentro, dal punto di vista interiore dei suoi personaggi presi anche singolarmente, in gruppo eppure ciascuno anche per sé, e tutti insieme in cammino avendo alle spalle l’ombra del loro mondo ridotto letteralmente in polvere, mentre sperano ancora di ritrovarlo intatto anche se da un’altra parte. Non ricommento ora il libro, lo abbiamo appena letto tutti quanti ed è sicuramente un patrimonio di conoscenza e di stimoli, di emozioni, che resteranno a lungo dentro ciascuno di noi, a suggerirci nuove immagini, angolazioni, spunti di riflessione o di confronto.

Ask The DustRitorno alla domanda da cui sono partito, sull’assenza nel libro degli afroamericani e dei temi della discriminazione sociale verso di loro, in quegli anni ancora molto forte. Mi ha stuzzicato a cercare ancora dentro altre pagine di Steinbeck, tra quelle lette tanto tempo fa e che nemmeno ricordavo più bene nei loro dettagli – ho ritrovato ad esempio alcuni personaggi interessanti, come il servitore nero Crooks in “Uomini e topi”, discriminato dagli altri uomini della fattoria –  scoprendo però anche altre pagine nuove, che non conoscevo. Se avete voglia, cercate, troverete cose interessanti. Tra quelle che ho trovato, mi piace indicare un articolo pubblicato nel 1960 – quindi oltre venti anni dopo – su «The Saturday Review» e ripubblicato di recente in Italia su alcuni blog letterari: il titolo è “Noi bianchi e i neri”.

Inizia così: “Sono per me fonte di continua meraviglia le qualità che noi ci aspettiamo dai neri. Nessuna razza ha mai offerto così tanta stima a un’altra. Ci aspettiamo che i neri siano più saggi di noi, più tolleranti di noi, più coraggiosi, più dignitosi di noi, più controllati e autodisciplinati. Richiediamo a loro perfino più talento di quanto ne chiediamo a noi stessi. Un nero dev’essere dieci volte più dotato di un bianco, per ricevere uguale riconoscimento. Ci aspettiamo che i neri siano più resistenti di noi nelle competizioni atletiche, che siano più coraggiosi nella sconfitta, che possiedano un maggior senso del ritmo e più versatilità nella musica e nel ballo, che riescano a controllare maggiormente le emozioni (nel recitare) a teatro.” E poi prosegue.

Bene, dopo la lettura di questo articolo di Steinbeck, chissà quali squarci di California ci aprirà ora John Fante con “Chiedi alla polvere”? Insomma, già solo dal titolo ci viene da dire che la olvere lasciata in Oklahoma, forse non ce la siamo ancora scrollata da dosso. Ma sicuramente sarà un’altra storia. Buona lettura a tutti. L’appuntamento per parlarne insieme è mercoledì 3 febbraio, alle ore 21.15 alla Salara.

(nelle immagini in alto, la copertina di una delle prime edizioni, con un introduzione di Charles Bukowski, e un fotogramma del film del 2006 diretto da Robert Towne)

“Furore” (“The grapes of wrath”), di John Steinbeck (circolo di lettura, 12 gennaio)

Martedì 24 novembre si è svolto presso la sala maggiore della Biblioteca Planettiana di Jesi il secondo incontro del circolo di lettura, promosso da Altrovïaggio e dalla Biblioteca Planettiana e condotto da Alessandro Seri, in viaggio lungo le strade della letteratura americana del Novecento. Dopo la precedente lettura nel mese di ottobre de “Il grande Gatsby” di Fitzgerald, del 1925, questa volta il libro letto nel corso del mese, e poi commentato e discusso insieme, è stato “Luce d’agosto” di William Faulkner, pubblicato nel 1935.
furorebIl nostro viaggio letterario ora prosegue con un altro grande classico del periodo tra le due guerre, “Furore” di John Steinbeck, pubblicato la prima volta nel 1939 (a fianco la prima copertina), libro che permise a Steinbeck di vincere il premio Pulitzer e contribuì a farne un eroe letterario. Steinbeck aveva realizzato da poco alcuni importanti reportage sulla grande e tragica espulsione dalle campagne dei contadini e mezzadri americani dalle loro terre, che avevano coltivato per generazioni dalla prima metà dell’Ottocento. In questi ultimi anni gli articoli di Steinbeck, fino ad ora poco noti, sono stati raccolti e ripubblicati tradotti per la prima volta in italiano, nel libro “Contadini sulla strada” di Fabrizio Bottari (Pentagora edizioni), accompagnati dalle foto di Dorothea Lange, una delle grandi protagoniste della fotografia sociale.
furoreaAppena un anno dopo la pubblicazione del libro, John Ford nel 1940 ne fece un film con Henry Fonda (a fianco, una foto dal film), che oramai si può scaricare tranquillamente da youtube, io però ho aspettato di vederlo dopo aver letto il libro; entrambi, libro e film, sono due grandi lavori, ma ovviamente con linguaggi diversi.

In quegli anni furono diversi gli scrittori americani che si accostarono ai temi sociali, trovandosi spesso a fianco di importanti fotografi, autori di altrettanto preziosi reportage fotografici. Una vera epopea, in viaggio verso la agognata California. Il titolo originale di Steinbeck fu “The grapes of wrath”, letteralmente “l’uva dell’ira”; anche il titolo italiano, “Furore”, esprime ciò che possono provare nel loro animo i contadini sospinti qua e là in balia di tutto, ma comunque tenacemente ostinati.  Naturalmente, un grande scrittore non si limita ad un reportage sociale, penetra dentro, oltre le barriere della comune percezione, svelando, come soltanto la grande letteratura è in grado di fare, ciò che si trova nascosto più sotto. Il finale è a sorpresa e il libro naturalmente va letto fino alle ultime righe, ma senza frenesie di fretta, soltanto tenaci e costanti, esattamente come i contadini in viaggio.

———-

L’appuntamento con il circolo di lettura questa volta cade sotto le feste, sarà una serata da impegno militante, forza e coraggio, passata questa il sto degli incontri filerà via più liscio.
Ci vediamo martedì 12 gennaio 2016 in biblioteca alle ore 21.15.

Abbiamo già fissato anche il calendario degli incontri successivi, così potete inserirli in agenda fin da subito:
– Mercoledì 3 febbraio, Chiedi alla polvere, (John Fante), 1939
– Mercoledì 24 febbraio, Fahrenheit 451, (Ray Bradbury), 1953
– Martedì 23 marzo, Factotum, (Charles Bukowski), 1975
– Mercoledì 27 aprile, Amatissima, (Toni Morrison), 1988
– Martedì 24 maggio, Pastorale, (Philip Roth), 1997

Chi è interessato e vuole unirsi al gruppo, non ha che da scriverci, oppure rivolgersi direttamente alla biblioteca.
In attesa di incontrarci, cordiali saluti a tutti e auguri di Buone Feste.

Se mai esiste un paradiso dei lettori, di sicuro è “Luce d’agosto”

Stuzzichiamo la lettura: la data del prossimo incontro del circolo di lettura di Jesi è il 24 novembre, di martedì; il libro in lettura questo mese è “Luce d’agosto” di William Faulkner; scrive Tommaso Pincio, nel risvolto di questa edizione di Adelphi curata da Mario Materassi:
b91e32496203653d89288c72e91879de_w240_h_mw_mh_cs_cx_cy«“Nella mia terra la luce ha una sua qualità particolarissima; fulgida, nitida, come se venisse non dall’oggi ma dall’età classica” dice lo scrittore a proposito del titolo. I personaggi di Luce d’agosto ci appaiono infatti vivere fuori dal tempo, sublimi e meschini come gli dèi dell’antica Grecia. Le loro miserevoli vicende ci parlano di una condizione universale e se Faulkner ha usato una lingua che sa di orale e antica semplicità è perché voleva restituirci il senso di una narrazione epica, frutto di un intrecciarsi di storie e voci che si rincorrono, contraddicono e sovrappongono, fino a condensarsi in un magma fluido, caldo e avvolgente, dove passato e presente, verità e menzogna, tragedia e commedia convivono … Non ci sono parole sufficienti per dare a Faulkner quel che è di Faulkner. Se mai esiste un paradiso dei lettori, di sicuro è Luce d’agosto».
La foto di copertina di questa edizione di Adelphi è del fotografo Walker Evans.

Chi non è iscritto al circolo di lettura ma desidera ugualmente essere informato e seguirci, può scriverci a info@altroviaggio.org  oppure a  planettiana@comune.jesi.an.it.

Il grande Gatsby, di Francis Scott Fitzgerald

il-grande-gatsby-famosa-copertina-del-libro-682x1024È stata completata, con il concorso di tutti e quattro i circoli di lettura in rete, la rosa degli otto libri scelti per il nuovo percorso di lettura che quest’anno ci porterà attraverso la Letteratura americana del Novecento; i libri, in ordine cronologico di pubblicazione, sono:

Il grande Gatsby, di Francis Scott Fitzgerald (1925)
Luce d’Agosto, di William Faulkner (1932)
Furore, di John Steinbeck (1939)
Chiedi alla polvere, di John Fante (1939)
Fahrenheit 451, di Ray Bradbury (1953)
Factotum, di Charles Bukowski (1975)
Amatissima, di Tony Morrison (1988)
Pastorale americana, di Philip Roth (1997)

Il primo libro che ci attende è Il grande Gatsby, di Francis Scott Fitzgerald;  gli incontri averranno, per i quattro circoli di lettura:
il 28 ottobre a Jesi
il 4 novembre a Mogliano
il 5 novembre a Petriolo
l’11 novembre a Monte San Giusto.

Qualche curiosità, spigolando nella rete: la copertina del romanzo, tratta dal dipinto “Celestial Eyes” (“occhi celestiali”), ad opera di Francis Cugat (24 maggio 1893 – 13 luglio 1981), viene considerata uno dei capolavori dell’arte americana dell’epoca. Fu terminata prima del romanzo, e Fitzgerald se ne innamorò a tal punto, da dichiarare al suo editore di averla “scritta all’interno del romanzo”. Secondo alcuni critici, l’autore vi avrebbe fatto riferimento nella descrizione di un’insegna pubblicitaria vicino all’officina del meccanico Wilson, dopo la morte di Myrtle. Secondo altri, sarebbe lo sguardo di Daisy, con tutto quello che lei ha rappresentato per Gatsby.
Buona lettura a tutti.

L’incipit