Il quarto incontro del circolo di lettura di Jesi si terrà mercoledì 3 febbraio, sempre presso i locali della Salara, in biblioteca comunale. Il libro che ci attende questa volta è “Chiedi alla polvere”, Ask the dust, di John Fante, scritto nel 1939 e ambientato in California. Siamo partiti con le nostre letture dall’Est, con Il grande Gatsby di Fitzgerald, ci siamo soffermati dalle parti del Mississippi con Luce d’Agosto di Faulkner, e poi, seguendo prima ancora che leggendo Furore di Steinbeck, abbiamo viaggiato insieme alla famiglia Joad, espulsa delle terre dell’Oklahoma e gettata in un viaggio che ha le sembianze della fuga, lungo la road 66 tagliando via Texas, New Mexico e Arizona per tentare chissà che cosa in California.
Durante l’incontro del circolo di lettura di qualche sera fa, in biblioteca per parlare di Furore e confrontare le nostre impressioni, ad un certo punto ci siamo soffermati su una curiosità, e cioè la totale assenza in questo romanzo Steinbeck di personaggi afroamericani, chiedendoci se non si trattasse di un’assenza troppo totale, addirittura voluta, o più semplicemente se fosse dovuta al fatto che in quegli anni gli afromericani erano maggiormente presenti negli stati ex schiavisti del sud est, e migravano anche, in grande numero, ma soprattutto verso gli stati industriali del nord, quelli dominati dalle grandi industrie di Detroit.
Del resto, nel romanzo Furore – con cui Steinbeck riproduce la grande espulsione di massa dei mezzadri dagli stati del centro, in seguito sia alla siccità e alle terribili tempeste di polvere (dust bowl) sia all’avvento dell’industrializzazione dell’agricoltura con l’introduzione massiccia delle trattrici e delle colture estensive, più produttive per i proprietari – le discriminazioni e i meccanismi di esclusione sociale, per compiersi a danno dei mezzadri, non hanno bisogno di ricorrere a marcatori etnici basati sul colore della pelle. Sono gli Okies i nuovi diseredati, una specie di altra razza, come vengono chiamati spregiativamente questi contadini gettati sulla strada, con tutti i loro beni residui accatastati al completo sopra sgangherati e rimediati autocarri: “Quei maleddetti Okies non hanno né buon senso né sensibilità. Sono come bestie. Nessun essere umano s’adatterebbe a vivere come vivono loro, in quella sporcizia, in quella miseria! Non credere che siano molto più civilizzati dei gorilla…. Scacciarli, bisogna, questi intrusi; e subito senza pietà … Se non li teniamo a bada, questi straccioni, s’impadroniscono di tutto il paese. Tutto il paese. Porci di forestieri. Va bene, parlano la nostra lingua, ma non sono come noi. basta vedere come vivono, chi di noi si adatterebbe a vivere così?”
Chiunque si adatterebbe o cercherebbe di farlo, si potrebbe rispondere, se la sorte decidesse di gettarglisi addosso. L’espulsione dalle campagne e dalle proprie terre, le grandi migrazioni. Accade da sempre e un po’ ovunque; in quegli stessi anni anche in altri paesi diversi dagli stati uniti, e talvolta in modo anche più tragico, come le esperienze di collettivizzazione forzata di staliniana memoria. In Italia in quello stesso periodo la situazione era più stabile, fermata, erano gli anni del confino di Carlo Levi a Grassano ed Aliano, da cui ci ha riportato quel capolavoro che è Cristo si è fermato a Eboli. La fuga dalle campagne, specie dal meridione ma non solo, avverrà da noi negli anni cinquanta, dopo che i contadini avranno tentato di emanciparsi da soli, in un modo più equo, occupando le terre su cui vivevano e lavoravano già da sempre, ma per il benessere degli altri. Dovranno andarsene anche loro, come gli afroamericani, verso le miniere o le grandi aziende del Nord.
Steinbeck ci porta magnificamente dentro questi meccanismi delle relazioni sociali che ci sembrano alieni, li aveva studiati scrivendo reportage di recente ripubblicati in Italia, e così nel romanzo li segue anche da dentro, dal punto di vista interiore dei suoi personaggi presi anche singolarmente, in gruppo eppure ciascuno anche per sé, e tutti insieme in cammino avendo alle spalle l’ombra del loro mondo ridotto letteralmente in polvere, mentre sperano ancora di ritrovarlo intatto anche se da un’altra parte. Non ricommento ora il libro, lo abbiamo appena letto tutti quanti ed è sicuramente un patrimonio di conoscenza e di stimoli, di emozioni, che resteranno a lungo dentro ciascuno di noi, a suggerirci nuove immagini, angolazioni, spunti di riflessione o di confronto.
Ritorno alla domanda da cui sono partito, sull’assenza nel libro degli afroamericani e dei temi della discriminazione sociale verso di loro, in quegli anni ancora molto forte. Mi ha stuzzicato a cercare ancora dentro altre pagine di Steinbeck, tra quelle lette tanto tempo fa e che nemmeno ricordavo più bene nei loro dettagli – ho ritrovato ad esempio alcuni personaggi interessanti, come il servitore nero Crooks in “Uomini e topi”, discriminato dagli altri uomini della fattoria – scoprendo però anche altre pagine nuove, che non conoscevo. Se avete voglia, cercate, troverete cose interessanti. Tra quelle che ho trovato, mi piace indicare un articolo pubblicato nel 1960 – quindi oltre venti anni dopo – su «The Saturday Review» e ripubblicato di recente in Italia su alcuni blog letterari: il titolo è “Noi bianchi e i neri”.
Inizia così: “Sono per me fonte di continua meraviglia le qualità che noi ci aspettiamo dai neri. Nessuna razza ha mai offerto così tanta stima a un’altra. Ci aspettiamo che i neri siano più saggi di noi, più tolleranti di noi, più coraggiosi, più dignitosi di noi, più controllati e autodisciplinati. Richiediamo a loro perfino più talento di quanto ne chiediamo a noi stessi. Un nero dev’essere dieci volte più dotato di un bianco, per ricevere uguale riconoscimento. Ci aspettiamo che i neri siano più resistenti di noi nelle competizioni atletiche, che siano più coraggiosi nella sconfitta, che possiedano un maggior senso del ritmo e più versatilità nella musica e nel ballo, che riescano a controllare maggiormente le emozioni (nel recitare) a teatro.” E poi prosegue.
Bene, dopo la lettura di questo articolo di Steinbeck, chissà quali squarci di California ci aprirà ora John Fante con “Chiedi alla polvere”? Insomma, già solo dal titolo ci viene da dire che la olvere lasciata in Oklahoma, forse non ce la siamo ancora scrollata da dosso. Ma sicuramente sarà un’altra storia. Buona lettura a tutti. L’appuntamento per parlarne insieme è mercoledì 3 febbraio, alle ore 21.15 alla Salara.
(nelle immagini in alto, la copertina di una delle prime edizioni, con un introduzione di Charles Bukowski, e un fotogramma del film del 2006 diretto da Robert Towne)