Leggere è un reato. Questa è la legge che vige nella società raccontata in “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, uno dei tre libri che lo scorso 27 gennaio abbiamo inserito nelle letture dell’iniziativa “AL ROGO, profezia & memoria“; il racconto è fantastico ma presenta molte analogie con tante realtà storiche e sociali, anche di recente attualità, come le distruzioni nel nord dell’Irak. Per ciò che riguarda più in particolare i libri e la libertà di lettura, forti analogie possiamo trovarle nella storia raccontata nel libro che di recente abbiamo scelto per dare il via nella nostra associazione ad un Circolo di lettura (“Leggere Lolita a Teheran”, di Azar Nafisi); anche in questa storia, vera e non di finzione, ci sono persone – come nella parte finale di Fahrenheit 451 – che caparbiamente ricercano i libri e si incontrano per leggerli e discuterne, quasi in segreto, creandosi quello che a volte dubitano sia un mondo parallelo; leggono alla ricerca dei classici e dei bei libri che riescono a “mostrarci la complessità degli individui” e non pretendono di indicarci o imporci modelli etici prestabiliti e da seguire. Mi fermo qui, per il momento, con “Leggere Lolita a Teheran”; invece, di seguito riporto la breve introduzione a Fahrenheit 451 e i due brani estratti e letti durante l’incontro dello scorso 27 gennaio.
Il libro è un classico, oramai molto noto, pubblicato da diversi autori e facilmente reperibile in rete, anche in lingua originale e anche in formato ebook o in pdf, da scaricare gratuitamente.
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Ray Bradbury scrisse Fahrenheit 451 nel 1953. Il titolo indica la temperatura in gradi fahrenheit alla quale bruciano i libri. La trama è abbastanza nota: i libri, l’informazione, la cultura, sono al bando. Di conseguenza sono bandite le riflessioni, il pensiero, la mente. Il messaggio del governo è: “Se non rifletti, se non ti soffermi sui problemi, se li ignori, non puoi essere che felice! Divertiti!”
Quindi “gli uomini, per essere felici devono essere protetti dalla cultura”. Il compito è assegnato ad una sorta di pompieri che invece di spegnere gli incendi sono pagati per appiccarli, e poi arrestare chi detiene illegalmente libri. Pompieri distruttori.
Guy Montag, il protagonista, è uno di loro. Ma nonostante lo svago senza sosta imposto dalla società, lui è infelice, qualcosa lo inquieta. Così un giorno, durante un incendio, nasconde un libro, e poi lo legge di nascosto, per capire che cosa mai c’è scritto. Inizia così una nuova storia, vede attorno a sé un mondo diverso e conosce i”ribelli”.
I ribelli sanno che il pensiero e la cultura prima o poi dovranno diffondersi nuovamente, ma fino ad allora vivranno nell’ombra, si nasconderanno, e custodiranno dentro di sé un libro, che ognuno impara a memoria e racconta ad altri, in attesa un giorno di riscriverli.
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«Credi davvero che allora il mondo ascolterà?»
«Se non ascolterà, dovremo semplicemente aspettare ancora. Trasmetteremo i libri ai nostri figli, oralmente, e lasceremo ai nostri figli il compito di fare altrettanto coi loro discendenti. Naturalmente, molte cose andranno perdute, con questo sistema. Ma non puoi obbligare la gente ad ascoltare, se non vuole. Dovrà tuttavia venire a noi a suo tempo, chiedendosi che cosa esattamente sia accaduto e perché il mondo sia scoppiato in aria sotto il suo governo. Non può durare così.»
«Ma in quanti di voi altri siete?»
«A migliaia, sulle autostrade, lungo le ferrovie abbandonate, vagabondi all’esterno, biblioteche dentro. Non è una cosa che sia stata progettata fin dal principio. Ognuno aveva un libro che voleva ricordare e che ha ricordato. Quindi, per un periodo di circa vent’anni, ci siamo incontrati, durante le nostre peregrinazioni, connettendo così la nostra amplissima ed elastica rete e gettando le basi di un piano. La cosa più importante che abbiamo dovuto piantarci duramente in testa fu che noi non contavamo, non eravamo importanti, non dovevamo considerarci e non dovevamo essere dei maestri: non dovevamo sentirci superiori a nessuno al mondo. Non siamo che sopracoperte di volumi, privi d’ogni altra importanza che non sia quella d’impedire alla polvere di seppellire i volumi. Alcuni dei nostri vivono in piccole città, in paesi e villaggi: il Capitolo Primo, il “Walden” di Thoreau, abita a Green River, il Capitolo Secondo a Willow Farm, Maine; diamine, c’è un paesino nel Maryland, con soltanto ventisette abitanti, nessuna bomba colpirà mai quel villaggio, che rappresenta la raccolta completa dei Saggi di un uomo chiamato Bertrand Russell. E quando la guerra sarà finita, uno di questi giorni, o uno di questi anni, si potranno riscrivere i libri, e la gente sarà chiamata, le persone verranno ad una ad una a recitare quello che sanno e noi ristamperemo ogni cosa, fino a quando le tenebre di un nuovo Medio Evo non ci costringeranno a ricominciare tutto da capo. Ma questa è la cosa meravigliosa dell’uomo: che non si scoraggia mai, l’uomo, o non si disgusta mai fino al punto di rinunciare a rifar tutto da capo, perché sa, l’uomo, quanto tutto ciò sia importante e quanto valga la pena di essere fatto.»
«E questa notte che cosa si dovrà fare?» domandò Montag.
«Attendere» disse Granger. «E spostarci un tantino a valle del fiume, non si sa mai…»
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Granger guardò nel fuoco. «La Fenice» disse.
«Che cosa?»
«C’era un buffissimo uccello, chiamato Fenice, nel più remoto passato, prima di Cristo, e questo uccello ogni quattro o cinquecento anni si costruiva una pira e ci s’immolava sopra. Ma ogni volta che vi si bruciava, rinasceva subito poi dalle sue stesse ceneri, per ricominciare. E a quanto sembra, noi esseri umani non sappiamo fare altro che la stessa cosa, infinite volte, ma abbiamo una cosa che la Fenice non ebbe mai. Sappiamo la colossale sciocchezza che abbiamo appena fatta. Conosciamo bene tutte le innumerevoli assurdità commesse in migliaia di anni e finché sapremo di averle commesse e ci sforzeremo di saperlo, un giorno o l’altro la smetteremo di accendere i nostri fetenti roghi funebri e di saltarci sopra. Ad ogni generazione, raccogliamo un numero sempre maggiore di gente che si ricorda.»
Tolse la padella dal fuoco, ed essi, dopo aver lasciato la pancetta raffreddarsi un poco, mangiarono, lentamente, riflettendo.
«Ora, risaliamo il fiume» disse Granger. «E ficcati bene in capo una cosa: tu non sei importante. Tu non sei nulla. Un giorno, il fardello che ognuno di noi deve portare può riuscire utile a qualcuno. Ma anche quando avevamo libri a nostra disposizione, molto tempo fa, non abbiamo saputo trarre profitto da ciò ch’essi ci davano. Abbiamo continuato come se niente fosse ad insultare i morti. Abbiamo continuato a sputare sulle tombe di tutti i poveri morti prima di noi.
Conosceremo una grande quantità di persone sole e dolenti, nei prossimi giorni, nei mesi e negli anni a venire. E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: “Noi ricordiamo”. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà il giorno in cui saremo in grado di ricordare una tal quantità di cose che potremo costruire la più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra. Vieni, ora. (…).»
Finirono di mangiare e spensero il fuoco. La giornata si faceva sempre più luminosa intorno, come se a una lampada rosata fosse stato allungato lo stoppino. Sugli alberi, gli uccelli ch’erano volati via in gran fretta, ora tornavano a rifare il nido. Montag si pose in cammino (…) ora lo attendeva una lunga passeggiata mattutina fino al mezzodì, e se gli uomini tacevano, tacevano perché c’era da pensare a ogni cosa e molto da ricordare. Forse, un po’ più avanti nella mattina, quando il sole fosse stato alto nel cielo e li avesse riscaldati, avrebbero cominciato a chiacchierare, o semplicemente a dire le cose che ricordavano, perché, non c’era dubbio, essi erano ben là, ad accertarsi che molte cose fossero al sicuro entro di loro. Montag sentiva il lento rimuoversi delle parole, il loro pigro ribollire.
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