Archivio tag: Infinito Edizioni

Casa editrice: Infinito Edizioni

“Alle origini”, di Monica Vincenzi e Luigi Casa

Copertina Alle origini.inddTitolo: Alle origini. Conoscere le vite dei nostri avi per liberarci dai condizionamenti familiari
Autori: Monica Vincenzi, Luigi Casa
Casa editrice: Infinito edizioni

“Tutto cominciò quando Gelsomina decise di andare a farsi leggere il futuro”. Inizia così il lungo racconto, quasi una saga familiare, di Monica Vincenzi e Luigi Casa. Il sottotitolo recita “conoscere le vite dei nostri avi per liberarci dai condizionamenti familiari” ma non rende davvero, mi sembra, l’intenzione degli autori se non si sottolineasse che il conoscere non è, come certe volte oggi giorno spesso si sottintende, acquisire una regola, una ricetta, un qualcosa di sbrigativo e risolutivo, bensì è un lento, graduale, tenace e indulgente comprendere. Comprendere le proprie origini, di cui siamo fatti, per non subirle inconsapevolmente. È questo lo spirito con cui ho letto questa saga familiare di persone normali, che parte da oltre un secolo addietro e arriva ai nostri giorni, attraverso le storie di tanti personaggi e di più generazioni. Continua a leggere

“Cascina Novecento”, di Gioacchino Allasia

coverchiusa-Cascina-Novecento-202x300Titolo: Cascina Novecento
Autore: Gioacchino Allasia
Casa editrice: Infinito edizioni

Tradizione contadina, emigrazione e radici nell’Italia del secondo dopoguerra. Prefazione di Amasi Damiani, introduzione di Luigi Botta.
Un lungo racconto nel quale sembra che a parlare non sia il protagonista e autore ma direttamente i luoghi, sempre presenti dentro lo sguardo narrante, non solo i luoghi dei ricordi del proprio paese, Murello,  nel cuneense, ma anche quelli dove l’autore vive nel momento in cui racconta – durante una permanenza a Boston, nel 1983 -, parlandone con altri amici a loro volta spinti a rammentare, immaginare e confrontare, come in una “maieutica” reciproca. Non c’è mai, però, alcun velo di nostalgia o di malinconico senso di lontananza. Al contrario, è un ricordare e ricostruire con serena leggerezza vite e tradizioni, storie umane ricche di significati che forse si riesce ad apprezzare più pienamente proprio grazie a quel trovarsi lontani, in nuovi luoghi che a loro volta non sono estranei ma accoglienti, come ulteriori prolungamenti di sé, perché anche loro sono luoghi sono carichi delle proprie storie, e delle storie di altre persone che ci hanno preceduto: “… sono qui a Boston; pensare che le strade che sto percorrendo sono le stesse che hanno calpestato Sacco e Vanzetti mi fa venire i brividi. Fremo nel ricordare le foto in bianco e nero dei cortei di protesta a difesa dei due anarchici innocenti…”
Bartolomeo Vanzetti veniva da Villafalletto, pochi chilometri da Murello. Il mondo è qui e là, siamo sempre noi che ci viviamo. Continua a leggere

“Morte agli italiani!”, di Enzo Barnabà

Titolo: Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes, 1893cop.aspx
Autore: Enzo Barnabà
Casa editrice: Infinito Edizioni

Aigues-Mortes, in italiano Acque morte, riferendosi cioè alle numerose paludi e stagni dove il delta del Rodano si confonde con il Mediterraneo. Durante il mercatino di Natale spiegavo ad una coppia di curiosi i libri che avevo disposto sul tavolo e ad un certo punto ho indicato “Morte agli italiani”, aggiungendo la battuta: “quando gli stranieri eravamo noi!”, e quindi descrivendo loro, che non lo conoscevano, sinteticamente, il massacro di Aiugues-Mortes del 17 agosto del 1893, in Camargue, nella Francia del sud. “Sì ma gli italiani erano bravi, non come quelli che vengono qui da noi adesso, che non hanno voglia di lavorare” è stata la risposta pronta, tranquilla e sicura, senza ombra di dubbio, della coppia. E’ incredibile come questo copione si ripeta sempre identico a se stesso, in tutti i tempi e a tutte le latitudini. Noi siamo bravi, gli altri no! Come replicare a percezioni così sicure? Come far sorgere anche un solo piccolo dubbio?  Mi spiazza sempre. Non basta certo una battuta, un dialogo occasionale. Dev’essere per forza il risultato di una lunga e costante campagna di disinformazione, a cui si può replicare soltanto se si rimettono in piedi modalità più corrette. Purché trovino, queste modalità, buone politiche e una corretta informazione a sostenerle, come ricorda anche Gian Antonio Stella nella prefazione.

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“Mala Dies”, di Angelo Lallo

copertinaMala-Dies-1Titolo: Mala Dies. L’inferno degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle istituzioni totali in Italia
Autore: Angelo Lallo
Casa editriceInfinito edizioni

“Liberate le false farfalle, perché da troppo tempo obbligate a difendersi dai selvaggi predatori delle passioni, costrette a mimetizzarsi sviluppando false teste e a camuffarsi per sopravvivere in un mondo ostile infestato da predatori senza scrupoli. Liberate le false farfalle, che si trasformino in farfalle immortali e così potranno riprendere la diginità rubata. Liberate le false farfalle, perché sono vulnerabili e hanno poca possibilità di difesa nonostante la bellezza, l’evidente diversità, la leggerezza.”
Le false farfalle rappresentano simbolicamente ogni cittadino e i predatori impersonano il dispotismo. Questo monologo, o comizio rivolto al mondo, corre lungo tutto il racconto, riemerge di continuo come da cavità carsiche tra le vicende vissute dalla protagonista. Perché si tratta di racconto di vita vissuta realmente. Ricostruita, recuperata, riordinata per sottolinearne il significato. Espressa dall’angolo estremo dei confini del reale, là dove lo sguardo soggettivo più intimo e solitario riesce a bucare il velo della propria coscienza per immergersi nella storia sociale di una moltitudine totale di eventi, confondendosi con loro, assorbendone il peso, e facendo leva proprio su questo peso per inseguire ancora se stessi e non perdersi.

La Ragione e la ‘Sragione’, una incommensurabile all’altra, una simile all’altra. Mi ha un po’ suggestionato questa lettura. Sarà che la protagonista, Bianca, è della mia stessa generazione e ha attraversato addirittura luoghi e momenti in cui me la sono ritrovata a fianco? E che ancora colorano qua e là tratti non trascurabili del mio sentire? Mi sono riaffiorati alla mente tanti libri letti allora, da L’Io diviso di Ronald Laing a L’istituzione negata di Franco Basaglia, da La morte della famiglia di David Cooper a La storia della follia nell’età classica di Michel Focault, quest’ultimo più volte citato in questo libro di Angelo Lallo. O le tante discussioni che si facevano su questi temi, quando li affrontavamo come impegno politico e sociale, qualche volta anche con il registratore in mano lungo i viali interni dell’ospedale psichiatrico di Ancona, per raccogliere voci da rimandare in onda in una delle radio libere di allora. O il Marco Cavallo, che uscì dalle mura dell’ospedale di Trieste per dilagare in città nelle stesse giornate del convegno di Bologna contro la repressione, nel settembre del 1977, che Bianca attraversa. Eravamo seduti fianco a fianco sulle gradinate del palasport e non me ne ero accorto! In quanti ci siamo persi come false farfalle, e quante farfalle vere abbiamo perso, e dimenticato, negli anni seguenti?

Il racconto attraversa un’intera epoca. Da Valle Giulia, al carcere di Stammheim, a tutti gli anni Settanta fino al rapimento Moro, l’uccisione di Guido Rossa e la bomba del 2 agosto alla stazione di Bologna. La protagonista fugge dalla comunità in cui è stata relegata per aggirarsi tra il dolore di quelle macerie, e di quei cadaveri, e poi anche di perdersi, come un caso fortuito o un’aporia del tempo capace di interrompere il cammino di chiunque: “Bianca tirò fuori la sua indignazione con coraggio, ma ebbe il torto di avvicinarsi pericolosamente al ministro, iniziando un rischioso scontro fisico e innescando una rissa clamorosa tra la scorta e molti cittadini…” Dopo, tutto è già accaduto e nulla è più come prima. Inizia così, con il Mala dies, il percorso definitivo e senza uscita nei gironi dell’istituzione totale, che lei attaversa con lucidità, fino ai giorni presenti, anche se la lucidità in questo contesto appare ancora più spigolosa: “L’internata Bianca era rimasta sempre lucida, nonostante l’inferno che aveva passato. Chi la conosceva poteva garantire che la paura della morte non le apparteneva, ma Bianca era più che convinta che fuori dal manicomio criminale sarebbe stata felice, finalmente nessuno le avrebbe fatto più del male…”

Mi sembra un libro importante, che innanzitutto ha il merito di restituire alla vita una storia che poteva essere dimenticata, e invece ora è possibile leggere; una storia che in qualche modo è anche un insieme di storie e grazie a questo rende possibile riaprire questo tema secondo un’angolazione che ci aiuta a estrarlo dalla dimensione “tecnica, medica o legale” – tipica del controllo – nella quale ci siamo cacciati, per restituirlo ad un contesto sociale, l’unico suscettibile di cambiamento. Anche se è tutto così complesso che a prima vista non si sa bene da che parte iniziare. Al punto estremo dell’istituzione totale troviamo gli opg, ospedali psichiatrici giudiziari.
Interessante anche il lungo racconto nel racconto, scritto da Bianca che così fa rivivere, attraverso un suo alter ego, le vicende dell’ospedale o luogo di detenzione di Bicêtre, durante la rivoluzione francese: quasi per ridefinire una parabola temporale completa delle istituzioni totali, nonché, ahimè, dei lati ciechi delle rivoluzioni.

(Flowers of the night, dall’album del 1973 “Baron von Tollbooth & the Chrome Nun” dei Jefferson Airplaine, il vinile che Bianca ha con sé quando entra nella sua prima comunità terapeutica)

(sul blog “Occhio critico” di Luca Leone un ricordo di Angelo Lallo)

“I labirinti del male”, di Rossella Diaz e Luciano Garofano

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Titolo: I labirinti del male
Autore: Rossella Diaz e Luciano Garofano
Casa editrice: Infinito Edizioni

“È una bella mattinata di sole autunnale a Roma. Filomena Di Gennaro vive in un appartamento a piano terra. Una scelta obbligata. Filomena ha un sorriso solare, di quelli che ti fanno sentire subito a tuo agio. È una bella ragazza, capelli castani e una carnagione di porcellana. Vive su una sedia a rotelle insieme a suo marito Peter in una bella casa, dalle pareti rosso intenso. È un appartamento che richiama energia, vivacità, allegria. E i giocattoli dei sui bellissimi gemelli sparsi ovunque danno un’idea di serenità e gioia. Filomena ha 35 anni, due bambini meravigliosi, un matrimonio perfetto ma una tragica storia da raccontare. Lo fa in salotto.”

Una recensione su Redattore Sociale