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“Non tutti i bastardi sono di Vienna”

“Non tutti i bastardi sono di Vienna”, di Andrea Molesini, Sellerio editore.

Un romanzo che nasce  da un diario, la vita vera che si trasfigura nella fantasia per essere meglio evidenziata, e per fare questo chiama a raccolta tutta l’immaginazione che lo scrittore riesce a mettere in campo, da tramutare poi nelle parole giuste della narrazione, con uno sguardo che in questo caso è sempre in presa diretta, con l’io narrante che segue tutto in prima persona, di sequenza in sequenza, ciascuna inanellata nell’altra, primi piani dei personaggi di quel microcosmo isolato e tranquillo in un angolo di mondo appartato, tra pianura e montagna, con Venezia sullo sfondo ma mai presente davvero, remota, quasi a rimarcare che qui la Storia non è di casa, ma poi la Storia arriva, presa in scacco sulle rive di quel fiume, e all’improvviso quel microcosmo non è più appartato, si ritrova al centro di grandi o forse anche piccole strategie, tra Storia e storie, dipende tutto dai diversi punti di vista, ogni personaggio inizia a misurare qui, di nuovo, perché ciascuno ha già una storia precisa e non emerge dal nulla, si trova a rimisurare il senso di sé, una metamorfosi nuova e più potente, che nessuno ha invocato o cercato, ma che tutti affrontano, con la calma delle abitudini di giorno dopo giorno, che si ripetono anche se non sono più le stesse, perché nulla alla fine sarà come prima, né potrà ovviamente esserlo. Ma di questa ovvietà ce ne accorgeremo davvero e senza via d’uscita soltanto dopo, dovremo arrivare alle ultime pagine per rendercene conto.
“Non tutti i bastardi sono di Vienna”: prima o poi, mentre leggevo, ho aspettato con curiosità crescente di vederli in azione, chi fossero davvero questi altri bastardi, e quando all’improvviso entrano in scena è una vera sorpresa la prospettiva di ogni senso che si ribalta, e ci mostra il lato in fin dei conti ovvio, che è già cresciuto pagina dopo pagina,  ma che ancora non vedevamo o non ammettevamo con chiarezza, la metamorfosi già avvenuta, quasi a nostra insaputa. L’ho trovato interessante questo libro, ricco anche di tanti altri aspetti, informazioni, dettagli perchè è dai dettagli che si osserva meglio la realtà dell’insieme, il modo allora, un secolo fa, di sentire e concepire la vita, la visione del mondo e delle cose, e poi le relazioni i tra i generi e tra le classi sociali, e poi la guerra, e le abitudini e la vita quotidiana, gli angoli visuali che restituiscono un mondo reale. Immagino che l’autore abbia compiuto un approfondito lavoro di ricognizione, e di assimilazione, prima di ripresentarci questo attraverso le proprie parole.

(“Non tutti i bastardi sono di Vienna” è il libro su cui abbiamo conversato con Alessandro Seri all’ultimo incontro del circolo di lettura presso la Biblioteca Planettiana di Jesi; il prossimo appuntamento è il 18 aprile con “Accabadora” di Michela Murgia, Einaudi)

L’odore della notte, di Andrea Camilleri (circolo di lettura il 20 dicembre)

L’odore della notte, Andrea Camilleri.   Mercoledì 20 dicembre  alle ore 21.15, secondo appuntamento con il circolo di lettura alla Biblioteca Planettiana.

Di Camilleri e di questo libro, che abbiamo scelto per  la lettura di questo mese, parleremo insieme mercoledì sera; intanto, vi propongo qui la scheda di un altro libro, che già dal suo titolo promette di entrare direttamente nel tema della lingua, e quindi anche della lingua “inventata” da Camilleri: «La lingua batte dove il dente duole», nel quale lo stesso Andrea Camilleri discute con il linguista Tullio De Mauro.

Dal sito dell’editore Laterza:

“Il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare. Come diceva Pirandello, la parola del dialetto è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto. A me con il dialetto, con la lingua del cuore, che non è soltanto del cuore ma qualcosa di ancora più complesso, succede una cosa appassionante. Lo dico da persona che scrive. Mi capita di usare parole dialettali che esprimono compiutamente, rotondamente, come un sasso, quello che io volevo dire, e non trovo l’equivalente nella lingua italiana. Non è solo una questione di cuore, è anche di testa. Testa e cuore”. Andrea Camilleri

“Il dialetto non è solo la lingua delle emozioni.L’ho capito in Sicilia, da non siciliano, quando sono arrivato lì, professore all’università, accolto dalle famiglie dei colleghi. Si partiva con l’italiano, nel senso che tutti parlavano in italiano. Ma appena la discussione si accendeva – e quando c’era Sciascia capitava spesso – e magari si passava alla politica, improvvisamente cambiavano registro linguistico. Un po’ alla volta slittavano nel dialetto, e dell’italiano si scordavano. Gli uomini, per parlare di argomenti più impegnativi intellettualmente, usavano il dialetto. Perché a Venezia come a Palermo, quando il discorso si fa serio, si usa il dialetto”. Tullio De Mauro

Cos’è la lingua, e cos’è il dialetto? cosa esprimiamo con l’una e cosa esprimiamo con l’altro? In un susseguirsi di riflessioni, aneddoti e memorie, in cui trovano posto Manzoni e Gassman, Pasolini e il commissario Montalbano, Benigni e Pirandello, oscuri maestri elementari e professori di educazione fisica, poesia, romanzo e teatro, Andrea Camilleri e Tullio De Mauro raccontano come la lingua esprima chi siamo veramente. E una profonda, giusta, verità: in Italia abbiamo tante lingue.

Le  conversazioni con Andrea Camilleri e Tullio De Mauro nelle trasmissioni Fahrenheit e Pane quotidiano.

QUI il calendario dei prossimi appuntamenti

Baudolino, di Umberto Eco (circolo di lettura, 29 novembre)

Mercoledì 29 novembre ore 21.15 primo appuntamento mensile con il circolo di lettura alla Biblioteca Planettiana; il primo incontro di questo nuovo ciclo di letture  è con il libro BAUDOLINO, di Umberto Eco; di seguito l’intervista  “Con “Baudolino” Eco torna al romanzo”  di Laura Lilli pubblicata da repubblica.it, 11 settembre 2000

E così eccoci qui, dopo vent’anni, a parlare di nuovo con Umberto Eco di un suo romanzo che sta per uscire. Vent’anni fa era “Il nome della rosa”, il primo e imprevisto romanzo di uno studioso. Forse l’unico, pensarono in molti, esterrefatti. Lui stesso ne era sorpreso. “Mi è scappato di farlo tutto lì”, mi disse allora. Adesso è “Baudolino”, romanzo numero quattro che, dopo “Il pendolo di Foucault” (1988) e “L’isola del giorno prima” (1994), uscirà entro novembre. Come sempre da Bompiani, come sempre di circa cinquecento pagine. Eco lo ha annunciato ieri a Mantova, concludendo il festival letterario. Di solito, mentre scrive o rivede i suoi romanzi, è evasivo e si rifiuta di fare anticipazioni su tempi o titoli. A Mantova, però, posto di fronte a una domanda diretta, non ha potuto mentire, perché il suo “Baudolino” è ormai in tipografia. Lo scrittore ha accettato di parlarcene in anteprima, come fece nel 1980 per “Il nome della rosa” e nell’88 per “Il pendolo di Foucault”.

Umberto Eco, sono passati sei anni da L’isola del giorno prima, il suo terzo romanzo, mentre ne erano trascorsi otto fra il primo e il secondo. Lei ha preso un andamento regolare.

“Sarebbero sei anni, ma non è proprio così perché per due anni ho seguito un’altra pista, che poi ho abbandonato. Ero fermo su un punto a metà. Tutto il resto lo avevo pensato, ma quel punto no, e se non lo risolvevo gli altri non si incastravano nel mosaico. Così mi ero disaffezionato. Poi, quest’estate sono stato due mesi in campagna, l’ho ripreso in mano e l’ho finito al volo, con lo stesso anticipo col quale è nato, un mese fa, il mio primo nipotino. Che sia un parto gemellare?”

Prima che lei entri nel vivo di Baudolino, vorrei chiederle se e in che modo il successo del Nome della rosa ha cambiato la sua vita.

“Mah. Non mi sembra che l’abbia cambiata. O forse, sì, ha ridotto un po’ la lunghezza del raggio della mia vita sociale: niente festival perché ti saltano addosso per sapere il tuo parere, vedere solo amici fidati, in privato. Paradossalmente, ne sono stato impoverito. Una persona di cui non posso rivelare il nome mi ha scritto pochi mesi fa: “ogni volta che non ti vedo in tv ho per te una crisi di ammirazione”.

Però i diritti d’autore non l’hanno precisamente impoverito.

“Certo che no. Ma contro ogni visione angelicata dello scrittore, io dichiaro il mio legittimo orgoglio”.

Si aspettava un successo di queste dimensioni?

“Anche il più infimo poetastro, mentre scrive, spera che milioni di lettori recitino a memoria le sue rime di “cuore” con “amore”. Comunque, la verità è che avevo in mente di darlo a Franco Maria Ricci per la sua “collana blu”. Di farne dunque un oggetto da nicchia. Poi, però, lo lesse il direttore editoriale della Bompiani di allora, Di Giuro. Fu entusiasta e dichiarò: “ne faccio trentamila copie!”. Io pensai che fosse matto”.

Chi è Baudolino?

“E’ un ragazzo che vive nella campagna presso Marengo, più o meno là dove nel 1168 nascerà la città di Alessandria, il cui patrono sarà appunto San Baudolino. Baudolino è un furfantello, simile a quelli che esistono in molte mitologie indigene: in Germania lo chiamano Schelm, in Inghilterra Trikster God. Il libro, che in questo senso è picaresco, racconta le sue avventure in terre diverse. Il padre di Baudolino è il mitico Gagliaudo Aulari, che salva Alessandria dall’assedio di Federico Barbarossa con la storia della sua vacca”.

Quale storia?

“Eh, gli alessandrini la sanno e gli altri la leggeranno nel mio romanzo”.

Lei è nato ad Alessandria: con questo libro torna alle sue radici?

“Certamente. Racconto della mia città, cerco di imitarne il dialetto, il modo di parlare. Mi ha sorpreso trovare nei documenti ufficiali dell’epoca i nomi degli alessandrini che hanno fondato la città, sono gli stessi dei miei compagni di scuola! Con la lingua ho avuto qualche difficoltà, perché il primo capitolo è scritto direttamente da Baudolino su pergamena quando aveva quattordici anni, stava appena imparando il latino e scrive in un volgare della sua zona su cui ovviamente non abbiamo alcun documento. Mi sono divertito molto”.

Pensa che si divertiranno anche i lettori siciliani?

“Lo spero. Non ho preteso di fare filologia. Ho inventato un italiano immaginario. Non sono pagine erudite, sono pagine comiche”.

E alla Lega piacerà questo libro?

“Non credo. Ho riletto la battaglia di Legnano, le irriducibili lotte fra i Comuni. Che erano contro il Barbarossa, ma in perfetto disaccordo reciproco, e cambiavano continuamente alleanze pur di farsi dispetto a vicenda. Quando Federico si ritira da Alessandria, che non è riuscito a conquistare, potrebbero facilmente colpirlo, invece gli permettono di raggiungere Pavia. Si odiavano, ma avevano bisogno di un padre per litigare e non hanno osato commettere il parricidio. Studiando quell’epoca ho capito molte delle ragioni di crisi della politica italiana di oggi”.

In ogni caso, come in Il nome della rosa, qui racconta un’altra una vicenda medievale.

“Sì, ma con molte differenze. La Rosa raccontava del mondo monastico e dei contrasti interni alla Chiesa, questo parla del mondo laico, della corte imperiale di Federico Barbarossa. Baudolino infatti viene adottato a tredici anni da Federico, e vive con lui tutte gli scontri tra impero e Comuni, la battaglia di Legnano, la Terza Crociata (a cui lo spinge lui stesso) e via continuando. La Rosa è colto, questo è popolare. La Rosa è in stile alto, questo è in stile basso. Il linguaggio è quello dei contadini dell’epoca, o degli studenti parigini che parlano come i ladri. Niente latino, salvo qualche parola. C’è il solito gioco di qualche citazione posteriore, nascosta, ma con l’idea che siano frasi inventate proprio da Baudolino, e gli altri in seguito potrebbero averle copiate”.

E’ un gran bugiardo, questo Baudolino.

“Eh, sì. Inventa sempre fandonie, ma ogni volta tutti ci credono, e le sue fandonie producono la grande storia. In fondo rileggo la storia di quel periodo come frutto delle invenzioni di un ragazzino, che poi cresce e con una banda di amici inventa la legittimazione dell’impero da parte dei giuristi bolognesi, parte dell’epistolario di Abelardo ed Eloisa, la leggenda del Graal come sarà poi raccontata da Wolfram von Eschenbach”.

Dunque senza Baudolino la storia avrebbe potuto essere diversa?

“Proprio così. Sono lui e i suoi amici a inventare la mitica lettera del Prete Gianni, che ha davvero circolato in quell’epoca, descrivendo un leggendario regno cristiano nel lontano Oriente (ne parlerà anche Marco Polo). E alla fine tutti ci credono, e Baudolino parte con Federico alla ricerca di questo regno remoto. “Però poi Federico muore nel 1190 in circostanze che io faccio diventare misteriose, impiantandovi sopra una vicenda tipo omicidio in una camera chiusa”.

Non le chiedo di svelarci chi è l’assassino, però forse può dirci che ne è di Baudolino senza Federico.

“Fino a quel punto seguo la sequenza delle vicende. Dopo la morte di Federico, inizia un viaggio fantastico coi suoi amici in terre misteriose abitate da mostri, dove Baudolino ha avventure incredibili, incluso un amore a cui tengo molto. Direi che scrivendo mi sono innamorato della protagonista femminile della storia mentre dovevo far innamorare Baudolino!”

E lui non si innamora?

“Eh, no, il resto non lo dico, altrimenti non valeva la pena di scrivere un libro di cinquecento pagine, bastava questa intervista. Posso dirle che tutto quello che si viene a sapere è raccontato da Baudolino, che per definizione è un bugiardo, a un grande storico bizantino, Niceta Coniate nel 1204, mentre Costantinopoli brucia e viene saccheggiata dai crociati. Niceta ha scritto di quei giorni quasi in cronaca diretta, ma ovviamente non ci ha lasciato nessuna traccia del racconto di Baudolino, perché (dico io) non sapeva se fosse vero. Naturalmente non lo sa neppure il lettore, altrimenti dovremmo rivedere tutta la storia di quei secoli”.

Questo libro è un’apologia della bugia?

“Casomai è un’apologia dell’utopia, di quelle invenzioni che muovono il mondo. Colombo ha scoperto l’America per sbaglio: credeva che la Terra fosse molto più piccola. Non è vero che solo lui pensasse che fosse tonda, come la gente dice ancora: che fosse tonda lo sapevano prima di Platone. E che dire dell’Eldorado? Si conquista un continente seguendo un mito”.

 

La letteratura italiana dal 2000 al 2017 (le schede dei libri)

Stuzzichiamo la lettura, circolo di lettura promosso dalla Biblioteca Planettiana e dalle associazioni culturali Altrovïaggio di Jesi e Licenze Poetiche di Macerata.
Il circolo di lettura si svolge parallelamente ad altri gruppi di lettura della zona di Macerata, coordinati da Alessandro Seri.

Ieri sera, 24 ottobre, si è svolto presso la Biblioteca Planettiana l’incontro di presentazione del nuovo ciclo annuale, che per noi è il terzo: due anni fa il tema fu La letteratura americana del Novecento, e lo scorso anno le letterature contemporanee dei paesi del medio oriente.

Quest’anno il filo conduttore è la La letteratura italiana dal 2000 al 2017; i libri proposti e le date in cui si terranno gli incontri sono:

(29 novembre 2017)  Baudolino, Umberto Eco, Bompiani, 2000, pp530
Si narra la storia di Baudolino, un giovane ragazzo di campagna piemontese proveniente dalla Frascheta dove successivamente sorgerà Alessandria, che nel 1154, all’età di tredici anni, viene adottato dall’imperatore Federico Barbarossa. Il giovane si rivela un bugiardo incallito, ma come per incanto tutto quello che inventa finisce per fare storia, come la canonizzazione di Carlo Magno, il Graal o la creazione della lettera del Prete Giovanni. Per seguire il suo sogno di scoprire il regno del Prete, Baudolino parte con un gruppo di amici verso Oriente e vengono raccontate le loro peripezie in terre leggendarie e il loro incontro con creature fantastiche. Tornati a casa a mani vuote dopo molti anni di viaggio, Baudolino comprende che la sua vita è legata per sempre alla ricerca di quella mitica terra, mentre non c’è niente nel suo mondo che lo possa trattenere, così riparte verso est per il suo ultimo viaggio da cui non farà ritorno.
Il libro è una summa di fonti storiche, miti, tradizioni e leggende medievali che lo rendono un’opera enciclopedica di quel particolare periodo storico. È stato tradotto in molte lingue e pubblicato in diversi paesi.

 

(20 dicembre 2017) L’odore della notte, Andrea Camilleri, Sellerio 2001, pp221
Camilleri dà fondamento reale alle sue storie ispirandosi qui, come scrive in una nota al termine del romanzo, a un fatto di cronaca oggetto di un articolo redatto dal suo amico Francesco, “Ciccio” La Licata. Il tragico e suggestivo finale riprende altresì l’atmosfera decadente del racconto di William Faulkner intitolato Omaggio ad Emilia. Dall’opera è stato tratto uno sceneggiato televisivo trasmesso da Rai Uno il 6 febbraio 2007 con l’attore Luca Zingaretti nella parte del commissario Montalbano.
Su Vigàta e dintorni si è abbattuto un tifone che ha spazzato via un mucchio di soldi. È la solita storia del finanziere truffatore che attirando gli ingenui in un primo momento con la corresponsione di alti interessi, poi si dà alla fuga con il malloppo. Nelle indagini che Montalbano svolgerà incontrerà i più svariati personaggi vittime del truffatore mago della finanza che ha agito su vasta scala. Una sola persona in tutto il paese continua ad avere fiducia nel ragioniere Emanuele Gargano, che ora probabilmente sta prendendo il sole su spiagge esotiche, ed è la sua affezionatissima, anzi innamorata persa, segretaria, la signorina Mariastella Cosentino.

 

(24 gennaio 2018) Il passato è una terra straniera, Gianrico Carofiglio, Rizzoli 2004, pp 297
Si tratta di un romanzo noir con toni da romanzo picaresco. È stato il vincitore del Premio Bancarella nel 2005, e il regista Daniele Vicari ne ha tratto l’omonimo film con protagonisti Elio Germano e Michele Riondino, uscito nelle sale nell’autunno 2008. Giorgio, un giovane e brillante studente di giurisprudenza, conosce Francesco e con quest’ultimo condivide serate al tavolo verde dove, grazie alle conoscenze di cartomagia di Francesco, i due riescono a vincere molti soldi. Giorgio è però combattuto tra la sua vita di una volta, tutta casa, libri e università e la sua nuova vita, fatta di poker, telesina, alcolici, belle donne: il senso di colpa nei confronti dei genitori cresce a dismisura, così come cambia il suo rapporto con Francesco, dalla venerazione iniziale al compatimento. In parallelo si intreccia la storia di una serie di aggressioni notturne a giovani donne da parte di uno sconosciuto maniaco. Il titolo del libro riprende alla lettera la prima frase del libro L’età incerta di L. P. Hartley, che recita originariamente: “The past is a foreign country: they do things differently there.”

 

(28 febbraio 2018) L’amica geniale, Elena Ferrante,  Edizioni E/O, 2010, pp400
L’amica geniale è il primo volume di un ciclo del quale sono usciti altri tre libri: Storia del nuovo cognome (2012), Storia di chi fugge e di chi resta (2013), Storia della bambina perduta (2014). Il primo volume, diviso in due parti, “Infanzia” e “Adolescenza”, è dedicato alla storia di due bambine, Elena (Lenù) e Raffaella (Lila), di un quartiere di Napoli. Entrambe molto intelligenti, insofferenti delle rigide regole di comportamento del “rione” dove abitano, negli anni dell’infanzia si legano di un’amicizia stretta; con la fine della scuola elementare, però, le loro vite si separano, perché per ragioni economiche il padre di Lila, calzolaio, non può farle proseguire gli studi; il padre di Lenù, usciere comunale, riesce invece a permettere alla figlia di continuare alla media, poi al ginnasio. I percorsi delle due ragazzine continuano però ad intrecciarsi, ancor più quando intervengono le prime complicazioni sentimentali. L’ultima pagina narra il matrimonio di Lila. Il libro si apre con le poche pagine del Prologo (Cancellare le tracce), che con forte prolessi narrativa presenta un adulto, figlio di Lila, che chiede invano aiuto a Lenù per ritrovare la madre. La narrazione è condotta in prima persona da Elena; attraverso il suo sguardo si scopre una folla di personaggi, una quantità di ambienti e di usanze, di una Napoli che dalle difficoltà del dopoguerra si apre progressivamente a un modesto benessere, incoraggiato o minacciato dalla presenza della malavita.

 

(28 marzo 2018) Non tutti i bastardi sono di Vienna, Andrea Molesini, Sellerio 2011, pp376, Premio Campiello 2011.
Orgoglio, patriottismo, odio, amore: passioni pure e antiche si mescolano e si scontrano tra loro, intorbidate più che raffrenate dal senso, anch’esso antico, di reticenza e onore. Villa Spada, dimora signorile di un paesino a pochi chilometri dal Piave, nei giorni compresi tra il 9 novembre 1917 e il 30 ottobre 1918: siamo nell’area geografica e nell’arco temporale della disfatta di Caporetto e della conquista austriaca. Nella villa vivono i signori: il nonno Guglielmo Spada, un originale, e la nonna Nancy, colta e ardita; la zia Maria, che tiene in pugno l’andamento della casa; il giovane Paolo, diciassettenne, orfano, nel pieno dei furori dell’età; la giovane Giulia, procace e un po’ folle, con la sua chioma fiammeggiante. E si muove in faccende la servitù: la cuoca Teresa, dura come legno di bosso e di saggezza stagionata; la figlia stolta Loretta, e il gigantesco custode Renato, da poco venuto alla villa. La storia, che il giovane Paolo racconta, inizia con l’insediamento nella grande casa del comando militare nemico. Un crudo episodio di violenza su fanciulle contadine e di dileggio del parroco del villaggio, accende il desiderio di rivalsa. Un conflitto in cui tutto si perde, una cospirazione patriottica in cui si insinua lo scontro di psicologie, reso degno o misero dall’impossibilità di perdonare, e di separare amore e odio, rispetto e vittoria.

 

(18 aprile 2018),  Accabadora, Michela Murgia, Einaudi, 2010, pp166
Con questo libro l’autrice ha vinto la sezione narrativa del Premio Dessì nel settembre 2009. Nel maggio 2010 il romanzo è stato premiato con il SuperMondello, il riconoscimento più importante del Premio Mondello e, nel settembre dello stesso anno, con il Premio Campiello.
Nei primi anni cinquanta del XX secolo a Soreni, un piccolo paesino della Sardegna, dove tutti sanno tutto di tutti facendo finta di non sapere, la piccola Maria Listru, ultima e indesiderata di quattro sorelle orfane di padre, viene adottata da Bonaria Urrai, anche lei vedova benestante, ma senza mai essere stata sposata. Maria diventa così una filla de anima, come appunto “i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell’altra”. Maria e Tzia Bonaria, sarta del paesino, vivono come madre e figlia consapevoli entrambe di non esserlo. Si scoprirà alla fine del romanzo che Bonaria aveva deciso di adottare Maria, quando un giorno l’aveva vista rubacchiare delle ciliegie, senza che sul volto della piccola trapelasse “né vergogna né consapevolezza… e le colpe come le persone iniziano ad esistere se qualcuno se ne accorge”. A Maria, infatti, “Non le era ancora passato quel vizio, quello di rubare piccole cose di cui non aveva bisogno, ma che desiderava”.

 

(30 maggio 2018) L’amore graffia il mondo, Ugo Riccarelli, Mondadori, 2013, pp219
È come se portasse il destino nel nome. Signorina: suo padre, capostazione in un piccolo paese di provincia, l’ha chiamata così ispirandosi al soprannome di una locomotiva di straordinaria eleganza. E creare eleganza, grazia, bellezza è il suo talento. Potrebbe diventare una grande stilista, ma ci sono il fascismo, la povertà, la guerra… È così che Signorina rinuncia a desideri e aspirazioni, soffocando anche la propria femminilità, con una generosità istintiva e assoluta. E quando anche lei si scopre donna e conosce l’amore, il sogno dura troppo poco, sopraffatto da doveri, fatiche e dalla prova più difficile: un figlio nato troppo presto e nato malato. Ancora una volta Signorina sfodera il suo coraggio e la sua determinazione… “L’amore graffia il mondo” è il ritratto appassionante di una donna più forte delle proprie fragilità e del vento della storia, ma è anche la saga di una grande famiglia, l’epopea dell’amore viscerale e della speranza più visionaria. Ed è la celebrazione della forza dell’immaginazione: perché bastano pochi semplici gesti per vestire di bellezza il mondo.

 

(27 giugno) Le otto montagne, Paolo Cognetti, Einaudi, 2017, pp208
È proprio vero che ognuno di noi ha le sue montagne. Le mie sono nell’alta Val Venosta, incastrate lassù, in quell’angolo tra l’Austria e la Svizzera. È lì che ho scoperto il profumo delle pinete e dei rododendri. Che ho imparato che cos’è la fatica, e quanto a volte può essere ripagata. Che ho visto paesaggi talmente belli da lasciarti senza fiato, che ho respirato un’aria fresca e pungente così diversa da quella della campagna e che riconoscerei ovunque. La montagna di Pietro sorge sopra Grana, un paesino ai piedi del Monte Rosa. Ha iniziato ad andarci quando era ancora bambino, d’estate, con i suoi genitori. Ci tornerà tutti gli anni. Un ragazzo di città, solitario e fragile, che scopre il verde dei prati, il rumore dei ruscelli, la bellezza della natura. E conosce Bruno, che in quel di Grana ci vive, che è ancora bambino ma è già costretto a lavorare accompagnando le mucche al pascolo. La loro prima estate insieme è fatta di corse nei prati, di esplorazioni di case diroccate, di tuffi nei torrenti. Di avventura e libertà. Tra i due nascerà un legame profondo, un’amicizia che non vive di parole ma di azioni, così forte da sopravvivere alle stagioni più dure e alla distanza. Perché il tempo e lo spazio nel loro rapporto non contano poi tanto. Non basteranno l’immaturità e l’egoismo dell’adolescenza ad allontanarli; non serviranno il viaggio di Pietro in Asia e la nuova famiglia di Bruno, le incomprensioni e il senso di perdita; tutte le difficoltà della vita non riusciranno a rompere quel rapporto. Qualunque sia la strada che ognuno ha deciso di intraprendere prima o poi passerà ancora una volta dalla quella montagna.

Circolo di lettura, incontro il 24 ottobre

Circolo di lettura, terza annualità 2017/2018
Incontro di presentazione martedì 24 ottobre, ore 21.15

Riprende a breve il ciclo annuale di incontri del Circolo di Lettura presso la Biblioteca Planettiana di Jesi.  Il primo incontro, introduttivo, si terrà presso i locali a piano terra della Biblioteca martedì 24 ottobre alle ore 21.15, per la presentazione dei libri che leggeremo e discuteremo quest’anno.

Il tema scelto questa volta è la letteratura italiana degli anni duemila: ogni anno un salto, dopo esserci “allontanati” e aver affrontato due anni fa la letteratura americana del Novecento, e lo scorso anno le letterature dei paesi del medio oriente, quest’anno “torniamo” alla contemporaneità di casa nostra, che offre ugualmente la possibilità di un viaggio interessante e ricco di sorprese.

Il Circolo di lettura è un’esperienza avviata dalla Biblioteca Planettiana con la collaborazione delle associazioni culturali Altroviaggio e Licenze Poetiche.

Per chi non ha mai partecipato, consiste in un ciclo di 8 incontri mensili (definiremo insieme il calendario esatto) da qui fino a giugno; ogni volta ciascuno leggerà a casa il libro del mese che è stato scelto e poi ci incontreremo per parlarne insieme e scambiarci opinioni e impressione; il conduttore degli incontri è Alessandro Seri.

La pertecipazione è libera.

Per ogni informazione rivolgersi a:
planettiana@comune.jesi.an.it – tel. 0731/538346 (ore 8,00-14,00)
info@altroviaggio.org – tel. 328 1967178

Per seguire gli aggiornamenti, consultare:

http://www.altroviaggio.org/category/circolo-di-lettura/
www.bibliotecaplanettiana.it