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Non dirmi che hai paura, di Giuseppe Catozzella

Mercoledì 19 dicembre ore 21.15, secondo appuntamento al circolo di lettura presso la Planettiana di Jesi, dedicato quest’anno alla La letteratura delle migrazioni.

Titolo: Non dirmi che hai paura     
Autore: Giuseppe Catozzella
Casa editrice: Feltrinelli

(Brani estratti dall’intervista di Patrizia La Daga a Giuseppe Catozzella, pubbblicata il 15 maggio 2014)

So che l’idea di scrivere Non dirmi che hai paura è nata dopo aver ascoltato la storia di Samia Yusuf Omar in Tv. Come è andata esattamente?
Io stavo facendo delle ricerche per un altro libro che doveva trattare dei i campi taliban e per questo mi trovavo in Kenya. Una mattina, mentre facevo colazione, ho sentito parlare della vita e della tragica morte di Samia e in me sono accadute due cose: da un lato sono stato investito dalla potenza di questa storia e dall’altro mi sono sentito responsabile, in quanto italiano, per la morte di questo talento. Mi sono reso conto che fino a quel momento non avevo mosso un dito per quella gente e dato che il mio modo di “stare al mondo” mi impone di essere solidale, ho deciso che avrei raccontato la storia di Samia e così ho fatto.

Per arrivare a scrivere avrai dovuto fare molte ricerche, cosa non facile visto che Samia era somala. Come ti sei mosso?
Avevo l’ovvia necessità di incontrare chi la conosceva bene, di farmi raccontare di lei dai suoi familiari. Ci sono state diverse persone fondamentali per la mia ricerca: Igiaba Scego, scrittrice italo-somala che mi ha aiutato nelle ricerche preliminari e Teresa Krug, giornalista di Al Jazeera che aveva scritto diversi articoli su Samia e aveva finito per diventare amica sua e della famiglia. È stata lei che mi ha passato il contatto di Hodan, la sorella di Samia che vive ad Helsinki.

Cosa è successo quando hai contattato la sorella?
Ci sono voluti sei o sette mesi perché mi rispondesse, non ne voleva sapere di me e delle mie richieste di incontrarci. È stato necessario l’aiuto di una mediatrice culturale, Zara Omar, per avvicinarmi. Senza di lei questo libro non esisterebbe. È stata Zara che scrivendo a Hodan in somalo ha ottenuto che potessimo andare a Helsinki per una settimana.

Come è stato l’incontro?
Hodan ci ha accolto in modo gentile nella sua piccola casa prefabbricata, spoglia ma calda, che il governo finlandese assegna ai rifugiati come lei. Zara cercava di sciogliere il ghiaccio e, dopo i convenevoli, ci siamo spostati in una stanza dove c’erano solo un tappeto e un divano, io ho estratto il registratore ma non ho nemmeno fatto in tempo a fare la prima domanda: appena ho fatto il nome di Samia, Hodan ha reagito con un fiume di lacrime. Per quasi un’ora abbiamo tentato di parlare, ma era inutile, Hodan non faceva che piangere. A quel punto ho detto a Zara di dire a Hodan che mi ero reso conto di avere sbagliato tutto, che ce ne saremmo andati l’indomani e che non se ne sarebbe fatto nulla, probabilmente non era stata una buona idea quella di voler scrivere questa storia così dolorosa. Finalmente ci siamo rilassati tutti e abbiamo riso. Poco prima di andarmene ho deciso di dire a Hodan il vero motivo per il quale avevo pensato di scrivere la storia di sua sorella, ovvero perché mi sentivo responsabile per la morte di Samia.

Che cosa è accaduto a quel punto?
Non dimenticherò mai gli occhi di Hodan mentre le spiegavo come mi sentivo. Da lì è cambiato tutto. In quel momento Hodan ha deciso di affidarmi la storia, ha deciso di prendersi il rischio che comportava il racconto di questa vita, il rischio provare tanta sofferenza.

Il dietro alle quinte del libro è quasi emozionante quanto il romanzo stesso. E poi come è andata la settimana con Hodan?

A quel punto la settimana è trascorsa in modo intensissimo, tra momenti di lacrime collettive, canti e grandi risate; è stata un’esperienza indimenticabile.

Quanto ci hai messo in tutto per terminare il libro?
Un anno e mezzo, più o meno.

Hai mantenuto i rapporti con Hodan?
Sì, ci sentiamo spesso. Proprio l’altro giorno l’ho informata che il Comune di Milano ha intitolato una pista d’atletica a sua sorella Samia Yusuf Omar. All’evento di inaugurazione c’erano 650 ragazzi che gareggiavano in varie discipline, una festa bellissima.

Dopo aver scritto questo libro come vedi il problema dell’immigrazione?
Immergersi così tanto nella vita anche di uno solo di questi migranti ti cambia per sempre. Prima mi facevo condizionare dalle frettolose cronache dei Tg, non avevo sviluppato alcuna sensibilità rispetto al tema e mi facevo trasportare dal pregiudizio; ero portato a considerare questa gente non dico come numeri, ma quasi. I Tg, in fondo, ce li raccontano così. Adesso, invece, ho ben chiaro che ognuna di queste persone è portatrice di una storia cento volte più interessante della mia. Per raccontare il viaggio di Samia ho incontrato decine di ragazze, anche di sedici anni che hanno fatto il viaggio e solo guardandole negli occhi si capisce che hanno già vissuto l’equivalente di quattro vite mie.

Exit West, di Mohsin Hamid

Titolo: Exit West     
Autore: Mohsin Hamid
Casa editrice: Einuadi

Exit West è stato il primo libro affrontato dal circolo di lettura presso la Planettiana di Jesi, mercoledì 21 novembre, nel nuovo ciclo annuale di incontri, il quarto, dedicato questa volta alla letterature delle migrazioni.  Si ripropone qui l’articolo di Licia Ambu pubblicato sul blog Nazione Indiana: Exit West è lo stato dell’arte.

La prima frase di Exit West fa sentire al sicuro.
In una città traboccante di rifugiati ma ancora perlopiù in pace, o almeno non del tutto in guerra, un giovane uomo incontrò una giovane donna in un’aula scolastica e non le parlò.

Tre righe e collochi la storia che stai per conoscere anni luce lontano da te. Perché un paese traboccante di rifugiati, con autobombe e sparatorie, in bilico tra guerra e pace, è qualcosa che tu vedi alla televisione, seduto comodo, ti dici, da spettatore.
Invece Exit West è lo stato dell’arte.
Anche il tuo.

Infatti, quello che pensi dopo aver finito Exit West, con buona probabilità tutto d’un fiato, è che hai in mano un libro che ti sta parlando di te: della tua geografia, della tua ansia e delle tue preghiere. Non in modo retorico. Non in maniera pedante. Non ti guarda dall’alto in basso, ma dritto negli occhi. Mohsin Hamid ti guarda dritto negli occhi quando scrive. E anche quando ti parla, mentre risponde alle domande durante un incontro in una libreria di Milano, ti guarda negli occhi.

In una città senza tratti particolari, Saeed e Nadia si incontrano in un’aula scolastica. Lui è timido, lei indipendente. Si conoscono, in qualche modo si parlano, e vorrebbero danzarsi intorno con cautela per un po’. Ma siccome la geografia è destino, sono costretti a scappare da una città assediata dal conflitto. Comincia così il loro pellegrinaggio per la sopravvivenza, in un paese in cui la guerra si porta via le persone e inverte il normale rapporto con le cose: le finestre fanno entrare la morte al posto della luce, i luoghi di sempre diventano pericolosi, e rumori nuovi e allarmanti cambiano il ritmo delle faccende quotidiane. È durante questo momento di disorientamento che si sparge la voce dell’esistenza di porte misteriose che istantaneamente conducono altrove. «Scrivo con una notevole quantità di realismo ma mi piace che ci sia sempre un dettaglio che non torna» spiega Hamid. «Un po’ come quando un bicchiere di vino o una notte con il cielo stellato ti permettono di sbloccare un potenziale vittima del realismo. Le porte non sono realisticamente accurate ma sono completamente reali, considerando che le distanze si stanno annullando, e mi hanno permesso di riassumere due o tre secoli di migrazioni in un anno». Su Lahore, la città in cui ha trascorso metà della sua vita, ha basato la città che descrive, il teatro di partenza per una storia che non si sofferma sulla parte più drammatica per i migranti: il viaggio. «Soffermarsi su questo aspetto non è altro che un alibi per poter sentire le persone diverse da noi, dal momento che io non ho dovuto strisciare sotto il filo spinato per entrare in America o attraversare il Mediterraneo su un canotto. L’enfasi sul viaggio è un modo per separarci, e la porta è un espediente per far venire meno questa distanza». Dunque il racconto di un movimento. Quello di chi si sposta ma anche quello di chi resta immobile. Per tutti quelli con la geografia in tregua, infatti, c’è da fare i conti con il panorama. All’unica signora ferma di tutto il romanzo si muove il contorno, e le basta uscire di casa per rendersi conto di essere rimasta da sola, nel suo pezzo di terra, per come le si è fissato nella testa. Dopo minuti, anni e stagioni, dalla sua postazione può solo ammirare un panorama completamente diverso, perché siamo tutti migranti attraverso il tempo. L’ansia furiosa di dover cambiare, la paura che il nostro mondo venga sconvolto ci rendono immobili. Invece Saeed e Nadia sono in movimento, un movimento obbligato ma anche fiducioso.

Il libro di Hamid è un libro di universali, di stesse barche e di infinite diversità che messe tutte insieme, alla fine, sono quello che abbiamo in comune: siamo uguali nell’essere diversi. Fa pensare al discrimine tra giusto o sbagliato quando diventa un elemento per giudicare, respingere o fare una guerra. Per dirne una: «Saeed è credente, su di lui la religione ha un influsso positivo che lo rende gentile e lo aiuta a cogliere la bellezza. Nadia non è credente ma anche lei, in modo diverso, nota la bellezza nella vita. È un errore pensare alla dimensione religiosa e a quella non religiosa come a due elementi in conflitto. La religione è importante per tantissime persone, pensiamo alla madre che perde un figlio a causa della guerra, poi magari lo sogna e ti dice che questo le ha dato conforto. Sarebbe folle, e poco umano, dirle che non ha senso. Perché mettere in dubbio questo elemento quando il sogno rappresenta un legame? Anche in tutto ciò che non è religioso ci sono dubbi e illusioni, io agisco pensando di avere libero arbitrio ma la scienza mi dice che una parte del mio cervello è fatta in modo da dirmi se mi piace la cioccolata o quella donna».

Apparentemente tutto questo potrebbe già bastare. Ma più si va avanti e più nascono domande, vorresti ricoprire Hamid e i libri e tutto il pomeriggio, di domande. Gli chiedono se la sua opera può considerarsi politica, risponde che tutto ciò che viene scritto ha una rilevanza politica e chi dice il contrario sta solo prendendo le distanze. «Nella narrativa c’è la preziosa possibilità di coinvolgere il lettore in una conversazione emotiva, chiedendogli cosa pensa, rilevando la sua posizione e i suoi sentimenti rispetto a qualcosa, in questo senso, la narrativa, ha un compito preciso dal punto di vista politico», e questo è precisamente quello che ha fatto con Exit West. La domanda più grande ce l’ha lui per noi. Ci chiede dove siamo e cosa pensiamo di fare. Lo chiede una voce estremamente intelligente, riuscendo nella magia di rendere la narrazione di una storia fatta di preoccupazione e guerra, un monito di fiducia, una letteratura lenitiva. La sua narrazione si sposta verso la possibilità: siamo in un guaio ma abbiamo il finale ancora in ballo «perché l’immaginazione narrativa ci libera dalla tirannia dell’era e dell’è  per aprire la strada a ciò che potrebbe essere». Exit West è una preghiera laica per il nostro pianeta, un incantesimo come quello che può fare un mago, un prete, uno scrittore. Exit West è lo stato dell’arte, il preciso momento in cui siamo. E soprattutto una domanda fortissima.

Gruppi di lettura 2018/2019

La letteratura delle migrazioni: Circolo di lettura 2018/2019 presso la Biblioteca Planettiana di Jesi. Martedì 23 Alessandro Seri ha presentato il programma del quarto anno del circolo di lettura e ha illustrato i libri proposti; anche quest’anno l’attività si svolge in parallelo agli incontri di altri circoli della zona di Macerata, con un coinvolgimento complessivo di circa 150 lettori.  Per quanto riguarda Jesi la data del primo incontro, con il libro EXIT WEST, è Mercoledì 21 novembre.  Le date dei successivi incontri mensili saranno concordate in seguito.

EXIT WEST di Moshin Hamid – Einaudi 2017 p.160
Saeed è timido e un po’ goffo: così, per quanto sia attratto dalla sensuale e indipendente Nadia, ci metterà qualche giorno per trovare il coraggio di rivolgerle la parola. Ma la guerra che sta distruggendo la loro città, strada dopo strada, accelera il loro cauto avvicinarsi e, all’infiammarsi degli scontri, Nadia e Saeed si scopriranno innamorati. Quando tra posti di blocco, rastrellamenti, sparatorie, la morte appare l’unico orizzonte possibile, inizia a girare una strana voce: esistono delle porte misteriose che se attraversate, pagando e a rischio della vita, trasportano istantaneamente da un’altra parte. Inizia così il viaggio di Nadia e Saeed, il loro tentativo di sopravvivere in un mondo che li vuole morti, di restare umani in un tempo che li vuole ridurre a problema da risolvere, di restare uniti quando ogni cosa viene strappata via. Con la stessa naturalezza dello zoom di una mappa computerizzata, Mohsin Hamid sa farci vedere il quadro globale dei cambiamenti planetari che stiamo vivendo e allo stesso tempo stringere sul dettaglio sfuggente e delicato delle vite degli uomini per raccontare la fragile tenerezza di un amore giovane.

NON DIRMI CHE HAI PAURA di Giuseppe Catozzella – Feltrinelli 2015 p. 240 (data incontro: mercoledì 19 dicembre ore 21.15)
Samia è una ragazzina di Mogadiscio. Ha la corsa nel sangue. Ogni giorno divide i suoi sogni con Alì, che è amico del cuore, confidente e primo, appassionato allenatore. Mentre intorno la Somalia è sempre più preda dell’irrigidimento politico e religioso, Samia guarda lontano, e avverte nelle sue gambe magre e velocissime un destino di riscatto per il paese martoriato e per le donne somale. Gli allenamenti notturni nello stadio deserto e le prime affermazioni la portano a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino. Arriva ultima, ma diventa un simbolo per le donne musulmane in tutto il mondo. Il suo vero sogno, però, è vincere. L’appuntamento è con le Olimpiadi di Londra del 2012. Ma tutto diventa difficile. Gli integralisti prendono ancora più potere, Samia corre chiusa dentro un burqa ed è costretta a fronteggiare una perdita lacerante, mentre il “fratello di tutta una vita” le cambia l’esistenza per sempre. Rimanere lì, all’improvviso, non ha più senso. Una notte parte, a piedi. Rincorrendo la libertà e il sogno di vincere le Olimpiadi. Sola, intraprende il Viaggio di ottomila chilometri, l’odissea dei migranti dall’Etiopia al Sudan e, attraverso il Sahara, alla Libia, per arrivare via mare in Italia.

CHE PAESE L’AMERICA di Frank McCourt – Adelphi 2000 p. 446 (data: mercoledì 23 gennaio, ore 21.15)
Vista dal parapetto di un bastimento, l’America era sembrata al giovane McCourt l’immagine stessa del riscatto da quel che nelle Ceneri di Angela ci era stata raccontata come il più atroce, oltreche il piu ilare, dei mondi possibili. Qui la scena, diversa e più tumultuosa, è invece quella di New York nel secondo dopoguerra. Una New York proletaria, dove fra case di mattoni rossi, pub di emigrati irlandesi e banchine ingombre di merci, con la quinta strada lontana e irraggiungibile di Manhattan, Frankie si trova a percorrere, passo dopo passo, un faticosissimo apprendistato. lnserviente in un grande e lussuoso albergo, militare durante la guerra di Corea, scaricatore di porto e infine insegnante – in aule e fra scolaresche che ricordano piuttosto da vicino le rumorose classi di Limerick -, McCourt mantiene prodigiosamente intatto il suo timbro inconfondibile, e la capacita di trasformare qualsiasi fatto, le avances di un prete alticcio come l’arrivo di Angela dall’lrlanda, quattro chiacchiere con i vecchi lustrascarpe italiani di Staten Island come il ritorno in patria e l’incontro col padre, in una grande, irresistibile storia.

PARTIRE di Tahar Ben Jellou – Bompiani 2014 p. 270 (data: mercoledì 27 febbraio, ore 21.15)
Azel ha poco più di vent’anni e il futuro davanti: una laurea, molti sogni, la voglia di vivere e l’ambizione che si hanno a quell’età. La vita a Tangeri, tuttavia, non permette molto; povertà e corruzione fanno intravedere la felicità solo dall’altra parte dell’oceano, in Spagna. Partire è l’unica salvezza possibile. Ma anche partire è difficile, rischioso e richiede compromessi. Per AzeI partire ha il prezzo del tradimento, degli altri e di se stesso. Ha il costo di un amore in cui non crede, di una relazione omosessuale cui cede per necessità. Sembra non esserci scampo per la dignità, in questo mondo di opportunismi, prostituzione, clandestinità, sessualità tradita. Per fortuna ci sono i sogni. Ben Jelloun compone un affresco straordinario, di denuncia e poesia: il ritratto di un mondo di immigrazione e clandestinità in cui la felicità sta sempre altrove.

LA FESTA DEL RITORNO di Carmine Abate – Mondadori 2014 p. 172 (data: mercoledì 20 marzo, ore 21.15)
Un padre e un figlio. Il primo racconta la sua vita di emigrante, sospesa tra partenze e ritorni, tra Francia e paese; il secondo ricorda il suo spaesamento e la sua rabbia nei periodi senza il padre, ma anche l’incanto dell’infanzia, immersa in un paesaggio vivido, saturo di profumi. Davanti a loro, un grande fuoco acceso sul sagrato, la notte di Natale. Entrambi hanno un segreto da nascondere, un segreto legato all.amore della figlia maggiore per un uomo misterioso… Ambientato nella mitica Hora (la trasfigurazione romanzesca della nativa Carfizzi) e narrato da due voci inconfondibili per l’abile intarsio di parole e ritmi plurilinguistici, questo romanzo mette in scena l’epos del passaggio di testimone tra due generazioni. Un padre e un figlio che trovano la capacità di parlarsi, e di far ardere i propri cuori intorno allo stesso fuoco, con commovente intensità. “La festa del ritorno” è, così, una preziosa testimonianza sulla nostra emigrazione, un romanzo di formazione e una storia.

LA NIPOTE DEL SIGNOR LINH di Philippe Claudel – Ponte alle grazie 2005 p. 116 (data: mercoledì aprile, ore 21.15)
Il signor Linh viene da un Paese lontano: il suo villaggio è stato distrutto dalla guerra e tutti i suoi cari sono stati uccisi dalle bombe. Porta con sé sua nipote, che ha solo pochi mesi. Giunto in una città francese, dove viene ospitato in un centro di accoglienza, incontra il signor Bark, vedovo e altrettanto solo. E’ l’inizio di una toccante amicizia che sarà capace di sfidare le barriere della solitudine e dell’indifferenza umane.

 

 

NEL MARE CI SONO I COCCODRILLI di Fabio Geda – Baldini e Castoldi 2017 p. 151 (data: 22 maggio, ore 21.15)
Se nasci in Afghanistan, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, può capitare che, anche se sei un bambino alto come una capra, e uno dei migliori a giocare a Buzul-bazi, qualcuno reclami la tua vita. Tuo padre è morto lavorando per un ricco signore, il carico del camion che guidava è andato perduto e tu dovresti esserne il risarcimento. Ecco perché quando bussano alla porta corri a nasconderti. Ma ora stai diventando troppo grande per la buca che tua madre ha scavato vicino alle patate. Così, un giorno, lei ti dice che dovete fare un viaggio. Ti accompagna in Pakistan, ti accarezza i capelli, ti fa promettere che diventerai un uomo per bene e ti lascia solo. Da questo tragico atto di amore hanno inizio la prematura vita adulta di Enaiatollah Akbari e l’incredibile viaggio che lo porterà in Italia passando per l’Iran, la Turchia e la Grecia. Un’odissea che lo ha messo in contatto con la miseria e la nobiltà degli uomini, e che, nonostante tutto, non è riuscita a fargli perdere l’ironia né a cancellargli dal volto il suo formidabile sorriso. Enaiatollah ha infine trovato un posto dove fermarsi e avere la sua età.

ANCORA di Hakan Gunday – Marco Y Marcos 2016 p. 416 (data: 19 giugno, ore 21.15)
Il nuovo romanzo di Hakan Günday entra con impeto e passione amara nel tema attuale dei migranti e del traffico d’uomini. Il viaggio di Gaza sino in fondo all’inferno incarna mali sociali da combattere; il suo ritorno alla luce riaccende la speranza. Prima parte: SFUMATO.”Ancòra”: è l’unica parola turca che sanno i migranti clandestini. Ancora acqua, ancora aria, ancora speranza. Gridano “Ancòra” chiusi nel camion, sul barcone che attraversa il Mare Egeo dalla Turchia alla Grecia. Gaza è il figlio di un trafficante di uomini e fin da piccolo impara a fare l’aguzzino in questo mondo spietato e confuso. Cresce nell’odio e l’unico affetto lo riceve da Cuma, un clandestino che lo tratta da amico e gli regala una rana di carta. Seconda parte: CANGIANTE . Cuma muore, vittima delle angherie dei trafficanti. Il male travolge Gaza come un unico blocco nero. Il camion carico di clandestini si ribalta: lui perde il padre e resta intrappolato tra i corpi per tredici giorni. Sopravvive, ma con la fobia di ogni contatto umano. Terza parte: CHIAROSCURO. In orfanotrofio si nutre di libri, e uno psichiatra se lo prende a cuore. Gaza intravede sprazzi di luce tra le ombre del mondo, ma non è ancora pronto al riscatto. La violenza è ancora il suo elemento: si unisce a razzisti e reazionari, partecipa a linciaggi. Quarta parte: UNIONE. Solo un viaggio nella patria di Cuma, tra i Buddha giganti di Ba-miyan, restituirà a Gaza la pace.

LA LETTERATURA DELLE MIGRAZIONI

CIRCOLO DI LETTURA 2018-2019, martedì 23 OTTOBRE ore 21.15 alla Biblioteca Planettiana, presentazione della quarta edizione del circolo di lettura.
Dopo la bella partecipazione degli anni precedenti, siamo pronti a ripartire con un nuovo ciclo di 8 incontri mensili, fino al mese di giugno. Quest’anno il tema filo conduttore per i libri che saranno proposti è “LA LETTERATURA DELLE MIGRAZIONI”.
La partecipazione è libera, chi vuole può venire, nel corso dell’incontro Alessandro Seri illustrerà il perché di questo tema, così attuale, e i titoli dei libri. Insieme definiremo anche il calendario degli incontri successivi, previsti con cadenza mensile fino al mese di giugno.
Le edizioni precedenti del circolo di lettura sono raccontate QUI: http://www.altroviaggio.org/category/circolo-di-lettura/