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“La fortezza” di Meša Selimović (incipit)

Titolo: La fortezzaLa_fortezza_4ec6378b53a00_133x190
Autore: Meša Selimović
Casa editrice: Besa

Non posso narrare quello che accadde a Hoćin nelle lontane terre russe. non perché non ricordi, bensì perché non voglio. Non vale la pena raccontare di terribili massacri, della paura dell’uomo, della bestialità degli uni e degli altri, non bisognerebbe ricordare né compiangere né glorificare. La cosa migliore è dimenticare, affinché muoia il ricordo umano di tutto ciò che è brutto e i bambini non intonino canti di vendetta.

Dirò soltanto che sono tornato. Se non fossi tornato non lo avrei annotato, nessuno avrebbe saputo niente di quel che era accaduto. Ciò che non è scritto non esiste; era ed è svanito. Ho attraversato il Dnestr, gonfio delle piogge, nuotando, e così mi sono salvato. Gli altri sono stati sgozzati. Con me è venuto anche Mula Ibrahim, scrivano militare, con il quale ho stretto amicizia durante questi tre mesi di viaggio verso casa, verso la patria lontana; perché nuotando ho tirato la sua barca sfasciata fuori dal fiume minaccioso e perché, malato, per metà viaggio l’ho portato sulle spalle e per metà l’ho trascinato, gli ho dato coraggio quando crollava sulle ginocchia o si sdraiava per terra e immobile fissava l’oscuro cielo straniero, desiderando di morire.

A nessuno ho raccontato di questo Hoćin quando siamo tornati. Forse perché ero stanco e smarrito, perché tutti di Hoćin mi sembrava incredibile, come se fosse avvenuto in un’altra vita, e io stesso ero un altro, non colui che osservava la propria città con le lacrime agli occhi, riconoscendola a stento. Non avevo rimpianti, non ero ferito, non mi sentivo tradito, mi sentivo soltanto vuoto e confuso. Quando ho lasciato l’impiego di insegnante, e i ragazzi ai quali insegnavo, credevo di andare verso la gloria, verso la luce, e invece mi sono sprofondato nel fango, nelle immense paludi intorno a Hoćin, tra i pidocchi e le malattie, le ferite e la morte, nell’indescrivibile miseria umana.
Di questa mostruosità chiamata guerra ho impressa nella mente una miriade di particolari, ma soltanto due sono gli avvenimenti che intendo narrare, non perché più tragici degli altri, ma perché non riesco a dimenticarli.

(Incipit di “La fortezza” di Meša Selimović, traduzione di Vesna Stanić)