di Ezio Bartocci
La ricorrenza del primo maggio, come le festività pasquali e del 25 aprile, quest’anno vedrà milioni di lavoratori costretti a casa ad interrogarsi sul come, quando e se potranno riprendere regolarmente il lavoro.
E’ bastato un virus micidiale per modificare radicalmente i rapporti della gente e bloccare il sistema produttivo delle maggiori potenze industriali della terra.
Osservo una dozzina di francobolli che ho avuto qualche anno fa da Alberto, il vecchio caro falegname, mentre apprezzavo a casa sua la serie completa denominata Italia al lavoro o Regioni d’Italia.
“Valgono poco!” – mi disse – “Prendi!, questi li ho doppi”.
Riguardandoli oggi, come allora, mi riportano ad un periodo dell’infanzia, quando quasi tutti i fanciulli d’Italia nati nel dopoguerra, me compreso, provavano a mettere insieme un personale illusorio tesoretto costituito da valori postali viaggiati e monete fuori corso.
I disegni mi fanno pensare innanzitutto al primo articolo della nostra Costituzione che recita: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Non sul lavoro nero sottopagato e disonesto che fa arricchire chi non lavora; non c’è scritto ma dovrebbe essere sottinteso.
La serie utilizzata dal 1950 al 1958 si compone di 19 abbinamenti, quante le regioni d’Italia,
essendo Abruzzo e Molise ancora insieme.
Ogni singolo pezzo alterna un tipico lavoro agricolo o di artigianato tradizionale, ambientando sullo sfondo un monumento per far conoscere anche all’estero alcune attrattive italiane.
Nell’insieme si ha l’idea di una terra laboriosa, prevalentemente agricola e manifatturiera;
non certo una moderna nazione industriale.
L’Italia evolverà in fretta, dalla fine degli anni cinquanta in avanti, modificando la sua immagine e le sue abitudini col boom economico del ’60.
Il decantato benessere dato dal nuovo modello di sviluppo, per contro, acuiva la crisi di tantissimi artigiani costretti a chiuder bottega per ripiegare nel lavoro a catena delle fabbriche del nord, o all’estero.
I diversi soggetti della mia infima raccolta filatelica infantile, neanche la metà della serie, li avevo messi insieme svaporando pigramente qualche busta affrancata o facendomi comprare occasionalmente da mia madre certi cubetti gelatinosi di marmellata, molto pubblicizzata e accattivante per via dei francobolli abbinati alla confezione.
La composizione realistica, minuziosa, ma non forzata di ciascun esemplare è apprezzabile anche per le variazioni monocromatiche. Quale fosse il valore facciale di ciascun francobollo me lo faceva ritenere di maggior pregio rispetto a quasi tutti agli altri, specie quelli dozzinalissimi col volto dei sovrani, o del duce di profilo coll’elmetto e la mascella taurina.
La scelta del formato grande ha contribuito a valorizzare le composizioni scenografiche di Corrado Mezzana, rigoroso disegnatore e apprezzato scenografo romano.
L’Italia uscita a pezzi dalle vicende della guerra, ma finalmente libera dal giogo della dittatura aveva voglia di rifiorire presto. Per farlo doveva credere nel lavoro come valore fondante, nelle diverse risorse individuali, artistiche e materiali, tipiche degli italiani, oltre che nelle sue peculiarità geografiche e paesaggistiche.
Per prendere le distanze dall’immagine del passato regime fascista, dalla ridondanza di aquile svettanti, di soldati armati, motti retorici e bellicosi le Poste Italiane non potevano fare una scelta promozionale migliore.
La serie incornicia regione per regione entro uno stesso modulo, fornendo in sintesi
la visione di una nazione compatta, operosa e orgogliosa della sua tradizione abbinando eccellenti lavoratori e lavoratrici a opere esemplari di ogni epoca in ogni località.
In settant’anni le trasformazioni produttive ed esistenziali hanno determinato sostanziali cambiamenti della penisola e dei suoi abitanti.
Il consumismo, interpretato in genere come panacea, ha contribuito all’egoismo individuale facendo perdere la tradizionale ricerca dei rapporti di equilibrio per stare civilmente al mondo, rispettare il contesto generale e guardare tutti insieme al futuro.
Basti pensare all’incidenza progressiva dell’immondizia ( ‘a monnezza) ed ai conseguenti problemi igienici delle città (all’inquinamento, allo smaltimento delle montagne di rifiuti ed alle losche speculazioni di gente di malaffare).
La pandemia che ha colpito ovunque nei primi mesi dell’anno, e l’Italia più di altre nazioni, poteva essere evitata o essere meno disastrosa? Ci insegnerà qualcosa? E’ corretto paragonarla ad una guerra, come molti informatori ripetono; guerra disastrosa che non si sa quando finirà, quante saranno le vittime, quali le conseguenze dei blocchi, delle trasformazioni delle attività produttive e dei cambiamenti dei rapporti?
Durante la guerra, per sfuggire ai bombardamenti, banchiere e mendicante potevano trovarsi di fronte nei rifugi con lo stesso problema e per un po’ sentirsi alla pari. E se il mendicante aveva con sé una borraccia d’acqua, avendo più dell’altro poteva essere il più generoso, invertendo le parti ed accorciando eccezionalmente le distanze.
Ora no, i privilegiati possono continuare a beneficiare delle loro lussuose residenze con parco ed ogni comfort standosene ancor più alla larga dagli emarginati, dai poco o nullatenenti.
Se la ripresa sarà graduale in ogni settore e con effetti economici imprevedibili, quanti individui, seppure professionalmente eccellenti, facenti parte di categorie poco organizzate,
già segnate pesantemente da anni di crisi, avranno la possibilità di continuare a vivere del proprio lavoro? Non è il caso di azzardare previsioni, ma se il paragone con la guerra è lecito, cessato il pericolo del Covid, com’è riuscita l’Italia postbellica a risollevarsi dal disastro con l’impegno di tutti, grazie anche all’umanità ed alla generosità dei più sensibili bisogna sperare in un virus altruistico contagioso: i francobolli di Alberto, quel suo di più, sono un esempio.
Quanti hanno già infinitamente più del necessario e stando alla sequenza di Fibonacci avranno esponenzialmente sempre di più fino a perdere il conto? Quanti si dimostreranno capaci da mettere in circolo parte dei loro surplus, non attraverso elemosine ma fornendo maggiori e migliori opportunità di lavoro ad altri?
Nei francobolli che ho descritto e riprodotto figurano in secondo piano o sullo sfondo opere architettoniche esemplari, identificative dei luoghi dove sono sorte.
Per le Marche c’è il Palazzo ducale di Urbino, creazione originalissima di Luciano Laurana coi suoi inconfondibili torrioncini racchiudenti i balconi sovrapposti.
Un palazzo equilibratissimo con scalinate agevoli e saloni dove non c’è un dettaglio casuale o raffazzonato, a dimostrazione che insieme ai grandi artisti hanno contribuito allo splendore della residenza una moltitudine di abili artigiani padroni dei loro mestieri.
Chiunque visitandolo anche a centinaia d’anni di distanza, apprezzando i risultati dell’impresa, tutto potrà dire del Duca meno che abbia dilapidato frivolmente le sue sostanze.
I dipinti commissionati, i marmi scolpiti, le tarsie dello studiolo come lo splendore della biblioteca ed ogni singolo volume manoscritto e miniato, così un mobile, un arazzo, un servizio da tavola; qualunque opera realizzata per lui e la sua corte, ovunque si trovi oggi è ammirata come o più di allora. Ogni espressione d’arte, d’alto artigianato e d’ingegno in genere, attesta in ogni epoca la volontà di non accontentarsi di fare per avere ma di provare a fare al meglio per dare; questo avviene tanto più quando chi ha i mezzi economici o le possibilità decisionali ha la sensibilità e la cultura per credere nel proprio contemporaneo.
Post Scriptum di Tullio Bugari.
Nei 19 francobolli della serie ” Italia al lavoro”, in parte riprodotti, sono sette le donne protagoniste; una percentuale inferiore rispetto alla rappresentanza maschile, ma ben più alta se paragonata alla quota di donne elette nell’assemblea costituente!
In quanto ai lavori che le donne rappresentano nei francobolli, beh, possiamo notare la raccoglitrice di olive, quella di arance, di uva, ci sono poi anche donne al telaio e al tombolo. Non mancano sullo sfondo nemmeno per loro, è vero, come evidenzia Bartocci soffermandosi per le Marche sul Palazzo ducale di Urbino, vedute architettoniche della nostra storia, da Castel Del Monte all’Abbazia di Pomposa.
Attira però la mia curiosità la donna del Friuli alle prese con il granoturco: m’è capitato di leggere testimonianze proprio di quegli anni, dalla pianura friulana del Cormor, di come utilizzando le foglie delle pannocchie riuscissero a ricavare un po’ di tutto, anche borse o cinture, esistevano anche laboratori artigianali, per raggranellare un po’ di reddito (ma dev’essere stato come per i francobolli che Alberto regalò ad Ezio: valgono poco!), ma tanto era nelle famiglie di contadini senza terra. Quando il lavoro, appunto, scarseggia.
Ma come le immagini proposte dai francobolli, quei tempi sono lontani.
Volendo allegare un’immagine meno romantica Ezio mi ha suggerito quella di una sua copertina del ’95 che eseguì per un numero di Prisma i cui articoli centrali si occupavano di Pari opportunità in generale, non solo la superficialità del lavoro. La donna nel cartello dei lavori in corso, già allora, quando me la propose, mi sembrò subito una buona provocazione. Trasmetteva e trasmette ironia. Richiama l’attenzione, rivendica un ruolo attivo fuori dai canoni. Poteva o potrebbe essere un francobollo originale per il Primo Maggio, ho pensato per un attimo, ma oramai la posta tradizionale è quasi un ricordo: i francobolli sono un genere in disuso e se qualcuno dovesse usarli oggi, guai ad applicarli come facevamo abitualmente!
(Italia al lavoro, la serie completa).