Ezio Bartocci

Foto in vetrina: PRIMO MAGGIO alla SIMA

La gente che in questi giorni attraversa la Galleria del Torrione, dove insieme al supermercato omonimo ci sono gli altri negozi del Centro commerciale, può vedere  esposte nella vetrina di Binci, il fotografo, alcune gigantografie originali in bianco e nero, degli anni Cinquanta, fissate su pannelli e incorniciate “a giorno” da un profilato di plastica bianca.
Queste  e tante altre  foto simili arredavano le pareti  di uffici e corridoi della moderna palazzina in fondo a via Mazzini disegnata dall’architetto Marco Zanuso insieme agli arredi, anch’essi dispersi o distrutti durante lo smantellamento dell’importante complesso industriale. Sul terreno un tempo occupato dalla SIMA sono sorti i suddetti negozi, gli studi privati, gli appartamenti  e il posteggio. Anche se sono passati solo alcuni decenni dalla chiusura della fabbrica,  anche la maggior parte delle persone che passano qui abitualmente, o che ci abita o ci lavora, ignora che qui per anni è stata attiva la principale e più avanzata industria della zona. Industria che ha dato lustro alla città e lavoro fino ad oltre settecento dipendenti.
Queste  poche foto Rappresentano solo un modesto ma significativo Ricordo della SIMA, l’industria leader nel settore delle macchine olearie e, nel giorno della Festa dei Lavoratori, un pensiero a  tutti coloro che qui si  sono avvicendati giorno dopo giorno al suono della sirena.
Ezio Bartocci, Jesi, 1 Maggio 2023

Dal libro “La Simeide” di Tullio Bugari, (Seri editore, 2019):
… la Sima torna a crescere e nel 1952 rinnova gli stabilimenti e la palazzina degli uffici. Il progetto è di Marco Zanuso. I due capannoni nuovi, non visibili dalla strada perché nascosti da quello più vecchio, hanno spazi più ampi e funzionali, alti, luminosi e arieggiati. Zanuso è giovane e all’inizio di una carriera che gli procurerà riconoscimenti in tutto il mondo. Inizia a collaborare con Adriano Olivetti per il quale realizzerà gli stabilimenti di Scarmagno a Ivrea e altri in Argentina e in Brasile. Per descrivere il suo lavoro viene coniato il termine “umanesimo zanusiano”: le fabbriche di Zanuso hanno una loro ‘urbanistica interna’, fatta di relazioni, spazi aperti e chiusi, flussi di persone e materiali, rapporti fra esterno e interno. Le funzioni accessorie si dislocano con logica intorno alle zone produttive, esercitando anche un ruolo di mediazione e raccordo con il paesaggio circostante e con il contesto che vive intorno alla fabbrica. La composizione in pianta e gli ambienti che vengono creati non sono disgiunti dallo studio approfondito di strutture e impianti, che a loro volta si integrano tra loro, evitando, appunto, la giustapposizione di elementi. Zanuso realizza anche la palazzina uffici, un edificio visibile ancora oggi in via Mazzini. Curò anche gli interni e i dettagli, i mobili e altri oggetti che finirono all’asta all’inizio degli anni Novanta, al tempo della demolizione dei capannoni.  Nella sua carriera Zanuso crea radio, televisori, telefoni e altri ancora oggi riportati nei cataloghi specializzati. Nel 1959 vince un premio anche per una macchina olearia della Sima, un separatore d’olio. Si dedicò anche alla ricerca e applicazione di materiali innovativi, quali il poliuretano, o l’uso della gommapiuma nelle poltrone o sedili per automobili…

MARCO ZANUSO (Milano, 14 maggio 1916 – Milano, 11 luglio 2001)

Ezio Bartocci. Poeti scrittori e altri ritratti a Cesenatico.

Il titolo Segnalibri, in maiuscolo, seguito da poeti, scrittori e altri ritratti nel manifesto della mostra aperta dal 25 giugno al 25 settembre alla Casa Museo Marino Moretti di Cesenatico, data la tipologia del minuscolo oggetto, il periodo e la località, può far pensare a una esposizione senza pretese come tante proposte ai turisti durante l’estate.

Niente di più sbagliato! La mostra è tutt’altro ma per accorgersene bisogna visitarla attentamente; non limitandosi all’excursus veloce tra una stanza e l’altra.

Occorre osservare ciascun ritratto e conoscere almeno un po’ il singolo scrittore e la sua unicità per apprezzare non solo le differenti fisionomie ma l’idea, la soluzione grafica o pittorica che caratterizza ogni soggetto.

Bartocci, quali siano le opere che propone evita le facili soluzioni ripetitive, di maniera e di comodo. Nel caso dei ritratti degli scrittori la scelta del segnalibro, del modulo tipico lungo e stretto, conferma la volontà di mettersi alla prova, per superare in questo caso il limite del formato facendo leva sulle abilità tecniche e in primis sulla fantasia.

Parte dei segnalibri presenti a Casa Moretti sono stati in mostra nell’estate del 2017 alla Biblioteca Nazionale di Firenze, altri sono stati usati dalla Regione Marche nel 2019 per l’edizione d’arte fuori commercio “Tra le pagine” distribuita al Salone del Libro di Torino, con la presentazione di Claudio Piersanti, da cui l’estratto seguente: … Bartocci non dialoga soltanto con i tratti somatici degli scrittori (altrimenti non sarebbero altro che caricature), ma anche e soprattutto con la loro opera. Più che il letterato, in Umberto Eco, vede soprattutto lo studioso, acuto, profondo, un po’ sornione, dubbioso, ostinato. Eppure la figura è ottenuta soltanto con le tre lettere del suo nome, con l’aggiunta di pochissime linee taglienti e molto geometriche, in perfetta relazione tra loro. Sigaretta e baffi sembrano spinti dalla stessa energia del pensiero, che è quasi un vento.

In un altro ritratto la valle di Salinas si trasforma nel viso dell’autore di Furore, Steinbeck, un viso che dice di un’avventura quieta, senza la disperazione di Faulkner: il senso chiaro dei confini, un’idea di convivenza civile. Gli occhi sono grandi e sereni, i baffi dritti come una siepe appena tagliata, le labbra predisposte alla cordialità e al sorriso accogliente.

Altri due ritratti, inevitabilmente accostati dal caso, si prestano al commento: Sartre e Camus, si fronteggiano come nella vita. Avendo optato in giovinezza per l’autore de L’étranger mi trovo a non aver cambiato idea, anzi avendo appena riletto L’homme révolté ammiro più di prima il suo ritratto sui tre quarti, e lo trovo perfetto. Sguardo aperto, curioso, porta il nome scritto nella capigliatura. Fa freddo, è l’inverno parigino, il cappotto ha i baveri rialzati, anche a proteggere la sigaretta dal vento. Camus è un passante come noi, Sartre è l’uomo di marmo, lo sguardo ipnotizzato e perso nella geometrica realtà industriale che lo esalta ma nello stesso tempo lo soffoca. Come se non bastasse il suo nome è scolpito nel marmo, alla base del monumento. Zio di entrambi segnalo anche il ritratto di Gide, con le sue varie facce, e quasi ci si aspetta di veder sbucare anche quella di Claudel, suo antico amico-antagonista.

Bartocci sa benissimo che Gide aveva portato dai suoi viaggi alcune maschere africane, e tra queste una la ebbe Picasso, che come si sa ne fece buon uso. Così trasforma Gide stesso in una maschera e nei suoi multipli.

Non salta subito all’occhio ma ogni ritratto è realizzato con un taglio diverso. Un segno quasi sbiadito e occasionale ritrae perfettamente mezzo viso di Celine, uno dei ritratti più sorprendenti. Ispido com’era sicuramente ma anche candido ( …); Thomas Eliot, dal vasto viso composto solo di parole, inquieto amico di Virginia (Woolf), trova un suo rigore e una sua pace, religiosa e estetica. Eugenio Montale, scolpito in osso di seppia, si presenta come un paesaggio marino, abbandonato al sole nella risacca. Sembra scolpito dall’acqua ma invece è vivo, e l’occhio che ci fissa è profondo, sprofondato nell’aldilà sembra che ci parli con il pensiero.

Descrivo per ultimi i due ritratti forse più sorprendenti: Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Una matita rossa vaga sul foglio, senza un progetto apparente, ma all’improvviso si esclama “è proprio Moravia”. Nella sua essenza: è l’uomo che guarda. Il rosso, che domina anche il ritratto di Pasolini, non li unisce anzi li allontana. Il rosso diventa collera e sangue, martirio della croce (San Pasolini, direbbe Arbasino).

Bartocci è artista poliedrico, ma non ama le contaminazioni. È grande incisore quando lavora alla lastra e si immerge nelle sue amate carte (è nato a Cupramontana, il paese d’origine di Luigi Bartolini), è pittore raffinato quando usa i pennelli, per esempio nei suoi stupendi paesaggi marchigiani, quasi astratti, vere esplosioni di colori, geometrie che anziché perdersi nell’indistinto ti fanno scoprire particolari invisibili al primo sguardo. In fondo è una sorta di eremita ironico, moderno e antico, commercialmente incollocabile. (…)

Attraversate le diverse stanze della Casa Moretti, la mostra continua nello spazio della ex legnaia, passato il vialetto imbrecciato del giardino.

Lo spazio espositivo qui è meno articolato e molto più aperto, si presta a ospitare opere di formato più grande.

Appena entrati ci accolgono alcuni lavori ormai d’antan introdotti da un’antica stampa al bulino per far capire quanto l’esercizio del disegno un tempo fosse fondamentale specie nella ritrattistica. Da qui in avanti la mostra si snoda presentando tutta una serie di ritratti ottenuti dalla combinazione di iniziali e caratteri alfabetici. Nel catalogo della mostra in qualche pagina l’artista riassume questi suoi lavori così dicendo: Affascinato dalle antiche scritture ideografiche quanto dalle famiglie di caratteri tipografici, e ritenendo la fantasia e l’esercizio ludico due elementi affatto trascurabili, ho eseguito in periodi diversi vari ritratti di prestigiosi committenti, quali Re, Papi, Santi insieme ai profili di professionisti più abbordabili: Ing., On., Arch., Prof., Ins., Poeta, Mago, Attore, Genio, Vice.

Ritratti rigorosi, essenziali come le inconfondibili facce da Ebete, da Avaro, da Ladro.

L’dea m’è venuta tantissimi anni fa, mentre facevo anticamera in un ufficio di un professionista plurititolato trastullandomi col suo biglietto da visita. I titoli abbreviati e in corsivo “Cav. Prof. Ing.”, bene in evidenza prima del nome, erano elegantemente cancellati da un sottile tratto di penna, come per dire: non ci tengo affatto ai titoli (…)

La mostra si conclude con le opere esposte nel soppalco ricavato all’interno della stesso ambiente (ex legnaia). Qui non potevano mancare alcuni volti fantastici eseguiti in varie occasioni e per chiamate diverse. La scelta di un artista non vincolato dal mercato che può disporre del suo tempo per rispondere alla libera committenza, offre la possibilità di inventare a seconda delle occasioni. Nel caso specifico lo provano alcuni bozzetti per copertine e manifesti di iniziative letterarie o edizioni d’arte per ricorrenze particolari.

Già tantissimi anni fa Nicola Ciarletta scriveva per la cartella dei Manifesti metapubblicitari (Al Muro! Carucci,1978) … il riferimento all’uomo non manca mai nella grafica di Bartocci, anche nelle sue produzioni più astratte, la cui attrazione è tanto maggiore quanto più esse mostrano il senso motorio della loro genesi, che ha origine dalla linea. La linea è la capillare matrice della grafia di Bartocci, ne è il gesto iniziale, spoglio d’ogni potere simbolico e consegnato alla sua mimica, a quel modo che, nel teatro di Beckett, la “storia senza parole” è priva di favella e si svolge come pantomima. Tuttavia come in Beckett la favella, benché spenta, appare potenziata proprio dalla sua cessazione, così nell’opera di Bartocci la traccia dell’uomo è tenace, non foss’altro che nel retaggio gestuale della pura linea.

Il catalogo che sintetizza e riassume la singolarissima mostra nella casa del poeta col lapis non poteva concludersi meglio che con l’Alternativa al curriculum.

(a cura di Tullio Bugari)

Ezio Bartocci. Segnalibri. Poeti, scrittori e altri ritratti.

Cesenatico, Casa Moretti dal 25 giugno al 25 settembre 2022

Si apre sabato 25 giugno alle 18.00 la mostra di Ezio Bartocci, allestita a Casa Moretti per l’estate 2022.
L’artista marchigiano porterà infatti nelle stanze della casa museo i suoi Segnalibri con i ritratti di poeti e scrittori dell’Otto e Novecento non soltanto italiani. Materiali che troveranno una magica sintonia con quanto conservato nell’istituto di Cesenatico e in particolare con la “libreria casalinga” di Marino Moretti.

«Come in una parata silenziosa ma carica di significati», queste opere di piccolo formato, da collocarsi tra le pagine dei libri, sono capaci «di iconizzarne gli autori, smerigliandone l’anima, talvolta, come un identikit. Ci si potrebbe perdere tra questi ritratti e innescare altre imprevedibili storie sdoppiando vite e racconti, aprendo voragini spesse e giravolte, un pò come aveva fatto Alberto Arbasino nel suo Ritratti e immagini sorta di racconto moltiplicato degli incontri e delle tessiture relazionali avute con intellettuali e scrittori» (Bernucci).

Marino Moretti

I Segnalibri di Bartocci si dispongono infatti, con la discrezione delle loro minute dimensioni, lungo il percorso all’interno delle stanze, affianco ai libri dell’Otto e Novecento posseduti dal padrone di casa, Moretti. I Ritratti e le opere di maggiori dimensioni padroneggiano invece lo spazio più neutro della Legnaia ammiccando oltre quel giardino che tanti di quegli autori del secolo scorso ha ospitato e rappresentano una mini-antologica coprendo un lungo arco di produzione che va dagli anni Ottanta a oggi e offre anche una luce anche sul tratto evolutivo dell’artista.

La chiave dell’ironia, che subito balza all’occhio, è lo strumento usato da Bartocci per farci scivolare, quasi senza che ce ne si accorga, senza enfasi e senza retorica, nella riflessione. La sua riconosciuta attitudine ludica, del resto, come è stato scritto, «è strumentale all’inventiva e non intacca la dignità dei contenuti, talché, per gioco, di volta in volta affiorano nelle sue opere impegno sociale, ironiche annotazioni di costume, riflessioni esistenziali, desiderio di memoria, intimismo, poesia» (Del Gobbo).

Dimostrando capacità di vivere un rapporto sempre nuovo e prolifico con la tradizione culturale che rappresenta, Casa Moretti a Cesenatico ha saputo in questi anni declinare la sua attività, attorno alla letteratura e all’arte, rinnovando ogni volta la sua proposta, attenta alle esperienze espressive che emergevano in questi campi pur sempre sempre fedele alla fisionomia e mission dettate a suo tempo dal “padrone di casa”.

Luogo di ricerca, ma anche museo vivo e attivo, ogni anno Casa Moretti sa rinnovarsi con originali allestimenti temporanei, ospitando artisti del contemporaneo e opere che sappiano coniugare l’immagine con la parola. L’arte di Ezio Bartocci che espone i suoi Segnalibri e Ritratti ha la forza di questa novità e la sapiente discrezione che si armonizza con gli ambienti di una casa museo di scrittore. Artista di un’altra regione, le prossime Marche, egli ha sentito affine gli spazi del vivere e dello scrivere morettiano anche perché capace di essere ospitale, ugualmente con gli amici scrittori di allora come oggi con gli stessi, “ritratti” dal pennello bartocciano sui segnalibri che contrappuntano un suggestivo percorso accanto alla libreria casalinga dell’autore.

CASA MORETTI, via Marino Moretti 1, Cesenatico
Info: casamoretti@comune.cesenatico.fc.it
fb: casamoretticesenatico, instagram. museomarinomoretti 

Orari. tutti i giorni dalle 16.30 alle 22.30. catalogo in sede (ingresso libero)

Buon Primo Maggio

 Un testo di Ezio Bartocci e una poesia di Maria Lenti  dedicati al significato che questa giornata ha sempre avuto per i lavoratori: “Salutiamo con giubilo questo giorno solenne…”

Buon Primo Maggio
di Ezio Bartocci

Il manifesto del Primo Maggio 1906, semplicissimo nella composizione, è un foglio interessante per il contenuto sociale. E’ una prova di stampa tipografica su carta rossa, sottile; un documento locale ormai unico.
Le tipografie delle piccole città, tranne rare eccezioni, non hanno avuto impianti litografici né richieste tali da giustificarli. Per stampare manifesti economici, come quello qui riprodotto, fino a verso la metà del 900 si sono adoperati generalmente massicci torchi in ghisa piantati su supporti a zampa di leone, o attrezzi simili rimasti quasi invariati da secoli.
Il tipografo rullava l’inchiostro nero di volta in volta sui caratteri mobili composti a mano, tirando foglio dopo foglio fino ad arrivare a due o tre decine di copie, stante la disponibilità degli spazi esterni autorizzati per le affissioni, e dei tabelloni dei circoli.
Non conosco la data d’istituzione del circolo jesino né so dire chi redasse il foglio; so però che la Federazione Giovanile Socialista Italiana era nata a Firenze nel 1903.
L’associazione politica locale composta da studenti e lavoratori antimilitaristi, anticapitalisti, anticlericali probabilmente è successiva di un anno o due.
Il manifesto invita i lavoratori italiani delle officine e dei campi a festeggiare il Primo Maggio e a protestare, in questo giorno più d’ogni altro, contro la borghesia affamatrice ricordando la giornata della solidarietà proletaria internazionale proclamata durante il Congresso Socialista Internazionale di Parigi del 1889.
Chiamando tutti a unirsi nella lotta di classe per liberare il paese dalla spada, dal tridente* e dal capitale, il manifesto, in attesa di tempi più maturi, mediante il linguaggio tipico d’allora invitava a imitare i compagni francesi impegnati nella lotta per le otto ore lavorative.
Quando sono andato a ritirare il manifesto e il file dal fotografo, ripercorrendo a memoria un po’ di storia sindacale e operaia ho commentato insieme a lui qualche frase pensando alla trasformazione della comunicazione, dei suoi strumenti, del lavoro stesso. Mio padre trascorreva nella sua officina tantissime ore – mi ha detto- lavorava all’occorrenza anche il sabato. La sera quando rincasava odorava di ferro. Molti lavoratori e lavoratrici di lavori pregnanti sapevano del loro mestiere restando diversamente segnati, non solo per gli infortuni.

Più recentemente, nel 1988, fui chiamato a collaborare a una iniziativa per festeggiare il Primo Maggio in maniera diversa dal solito.
L’amministrazione comunale d’allora volle rendere omaggio alla principale attività manifatturiera delle donne jesine e alle ultime superstiti impegnate per decenni nelle filande.
La mostra intitolata La Seta fu accompagnata da un catalogo per il quale scelsi insieme alle immagini il formato dell’album. Da qui il sottotitolo Album del Lavoro e l’intenzione di ripetere annualmente la formula, dedicando rassegna e Album a un settore lavorativo diverso, per far conoscere le caratteristiche, la storia, le problematiche d’ognuno.
Molto significative le testimonianze delle vecchie lavoratrici, da anni in pensione, raccolte dalla loro voce: le condizioni non erano certo le migliori, seppure le filande erano ampie, solide, a mattoni, con alte ciminiere… Le filandaie, ossia le sedarole, com’erano chiamate qui, umiliandosi per necessità, pagando pegno ma non arrendendosi allo sfruttamento, hanno contribuito a migliorare progressivamente la coscienza sindacale, le condizioni generali di lavoro, il rispetto individuale e quello più generale di tanti sconosciuti dipendenti.
Purtroppo, nonostante le buone intenzioni dichiarate, a quella prima iniziativa non ne sono seguite altre. Il primo Album del lavoro è rimasto unico, ma non perché sia stato superato il problema dello sfruttamento del lavoro, qui e in ogni parte del mondo.

* Nota. Il Tricorno era il tradizionale cappello a tre punte usato dagli ecclesiastici.

Copertina del primo album del lavoro La Seta

Colomba

L’ho vista dietro ai vetri
– aperto a tutto campo
il campo delle ali –

alitava la colomba
un vento di qualche bel tempo.

Maria Lenti
(dalla raccolta Ai piedi del faro, 2016)

 

 

 

Sulla Breccia per ricordare i 150 anni della presa di Porta Pia per Roma Capitale. A cura di Ezio Bartocci

Sulla Breccia, di Antonio Emiliani
Cartella (a cura di) Ezio Bartocci
Edizione di Garofoli, Sassoferrato

Giovedì 8 ottobre alle 21.15, per il primo incontro con Le Marche in Biblioteca 2020, presentazione della cartella di Ezio Bartocci  “Sulla Breccia” nel 150° della conquista di Roma attraverso lo sfondamento di Porta Pia (20 settembre 1870) per l’annessione al regno e l’elezione di Roma a Capitale d’Italia.

«La copertina della cartella – scrive Monica Cirillo sulla rivista La Voce del tabaccaio dell’11 settembre – propone un festoso ritratto patriottico di Vittorio Emanuele II.  Il titolo “Sulla Breccia” è lo stesso dell’ultimo capitolo del libro “Bozzetti: sulla via di Roma” di Emiliani. Il giovane patriota (Falerone, 1848 – Montegiorgio 1916) pubblicò i suoi ricordi a Fermo, dopo diciannove anni dalla storica vicenda a cui aveva partecipato rimanendo ferito.
La riscoperta, scrive Bartocci nella bandella interna, insieme alla biografia di Emiliani, è stata favorita in questo caso dalla forzata clausura dei mesi scorsi:  “… mi sono soffermato sul capitolo conclusivo che descrive le ore salienti di quel memorabile 20 settembre di centocinquant’anni fa. Pagine che tornano interessanti e in qualche modo attuali grazie al meccanismo che scatta in occasione delle ricorrenze.   Decido di riproporle insieme ad alcune immagini appropriate per dar forma ad una edizione originale…”. »

La presentazione della cartella sarà accompagnata dalle letture del gruppo Arci Voce e dagli interventi musicali di David Uncini.

Caratteristiche: cartella a tre ante, formato chiuso cm.17x 33,5, aperto cm.55×58; contenente 4 fogli doppi/16 facciate; formato chiuso cm. 16,5×33 – aperto cm. 33×33; stampa digitale a colori su cartoncino Tintoretto Fedrigoni da gr.200; costo di 25 euro; per info e acquisti: info@manifestiindigitale.it o tel. 0732/95159 – 0732/619352).

Un Primo Maggio anomalo: il lavoro che cambia.

di Ezio Bartocci
La ricorrenza del primo maggio, come le festività pasquali e del 25 aprile, quest’anno vedrà milioni di lavoratori costretti a casa ad interrogarsi sul come, quando e se potranno riprendere regolarmente il lavoro.
E’ bastato un virus micidiale per modificare radicalmente i rapporti della gente e bloccare il sistema produttivo delle maggiori potenze industriali della terra.
Osservo una dozzina di francobolli che ho avuto qualche anno fa da Alberto, il vecchio caro falegname, mentre apprezzavo a casa sua la serie completa denominata Italia al lavoro o Regioni d’Italia.
“Valgono poco!” – mi disse – “Prendi!, questi li ho doppi”.

Riguardandoli oggi, come allora, mi riportano ad un periodo dell’infanzia, quando quasi tutti i fanciulli d’Italia nati nel dopoguerra, me compreso, provavano a mettere insieme un personale illusorio tesoretto costituito da valori postali viaggiati e monete fuori corso.
I disegni mi fanno pensare innanzitutto al primo articolo della nostra Costituzione che recita: l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Non sul lavoro nero sottopagato e disonesto che fa arricchire chi non lavora; non c’è scritto ma dovrebbe essere sottinteso.
La serie utilizzata dal 1950 al 1958 si compone di 19 abbinamenti, quante le regioni d’Italia,
essendo Abruzzo e Molise ancora insieme.
Ogni singolo pezzo alterna un tipico lavoro agricolo o di artigianato tradizionale, ambientando sullo sfondo un monumento per far conoscere anche all’estero alcune attrattive italiane.
Nell’insieme si ha l’idea di una terra laboriosa, prevalentemente agricola e manifatturiera;
non certo una moderna nazione industriale.
L’Italia evolverà in fretta, dalla fine degli anni cinquanta in avanti, modificando la sua immagine e le sue abitudini col boom economico del ’60.
Il decantato benessere dato dal nuovo modello di sviluppo, per contro, acuiva la crisi di tantissimi artigiani costretti a chiuder bottega per ripiegare nel lavoro a catena delle fabbriche del nord, o all’estero.
I diversi soggetti della mia infima raccolta filatelica infantile, neanche la metà della serie, li avevo messi insieme svaporando pigramente qualche busta affrancata o facendomi comprare occasionalmente da mia madre certi cubetti gelatinosi di marmellata, molto pubblicizzata e accattivante per via dei francobolli abbinati alla confezione.
La composizione realistica, minuziosa, ma non forzata di ciascun esemplare è apprezzabile anche per le variazioni monocromatiche. Quale fosse il valore facciale di ciascun francobollo me lo faceva ritenere di maggior pregio rispetto a quasi tutti agli altri, specie quelli dozzinalissimi col volto dei sovrani, o del duce di profilo coll’elmetto e la mascella taurina.
La scelta del formato grande ha contribuito a valorizzare le composizioni scenografiche di Corrado Mezzana, rigoroso disegnatore e apprezzato scenografo romano.
L’Italia uscita a pezzi dalle vicende della guerra, ma finalmente libera dal giogo della dittatura aveva voglia di rifiorire presto. Per farlo doveva credere nel lavoro come valore fondante, nelle diverse risorse individuali, artistiche e materiali, tipiche degli italiani, oltre che nelle sue peculiarità geografiche e paesaggistiche.
Per prendere le distanze dall’immagine del passato regime fascista, dalla ridondanza di aquile svettanti, di soldati armati, motti retorici e bellicosi le Poste Italiane non potevano fare una scelta promozionale migliore.
La serie incornicia regione per regione entro uno stesso modulo, fornendo in sintesi
la visione di una nazione compatta, operosa e orgogliosa della sua tradizione abbinando eccellenti lavoratori e lavoratrici a opere esemplari di ogni epoca in ogni località.
In settant’anni le trasformazioni produttive ed esistenziali hanno determinato sostanziali cambiamenti della penisola e dei suoi abitanti.
Il consumismo, interpretato in genere come panacea, ha contribuito all’egoismo individuale facendo perdere la tradizionale ricerca dei rapporti di equilibrio per stare civilmente al mondo, rispettare il contesto generale e guardare tutti insieme al futuro.
Basti pensare all’incidenza progressiva dell’immondizia ( ‘a monnezza) ed ai conseguenti problemi igienici delle città (all’inquinamento, allo smaltimento delle montagne di rifiuti ed alle losche speculazioni di gente di malaffare).
La pandemia che ha colpito ovunque nei primi mesi dell’anno, e l’Italia più di altre nazioni, poteva essere evitata o essere meno disastrosa? Ci insegnerà qualcosa? E’ corretto paragonarla ad una guerra, come molti informatori ripetono; guerra disastrosa che non si sa quando finirà, quante saranno le vittime, quali le conseguenze dei blocchi, delle trasformazioni delle attività produttive e dei cambiamenti dei rapporti?
Durante la guerra, per sfuggire ai bombardamenti, banchiere e mendicante potevano trovarsi di fronte nei rifugi con lo stesso problema e per un po’ sentirsi alla pari. E se il mendicante aveva con sé una borraccia d’acqua, avendo più dell’altro poteva essere il più generoso, invertendo le parti ed accorciando eccezionalmente le distanze.
Ora no, i privilegiati possono continuare a beneficiare delle loro lussuose residenze con parco ed ogni comfort standosene ancor più alla larga dagli emarginati, dai poco o nullatenenti.

Se la ripresa sarà graduale in ogni settore e con effetti economici imprevedibili, quanti individui, seppure professionalmente eccellenti, facenti parte di categorie poco organizzate,
già segnate pesantemente da anni di crisi, avranno la possibilità di continuare a vivere del proprio lavoro? Non è il caso di azzardare previsioni, ma se il paragone con la guerra è lecito, cessato il pericolo del Covid, com’è riuscita l’Italia postbellica a risollevarsi dal disastro con l’impegno di tutti, grazie anche all’umanità ed alla generosità dei più sensibili bisogna sperare in un virus altruistico contagioso: i francobolli di Alberto, quel suo di più, sono un esempio.
Quanti hanno già infinitamente più del necessario e stando alla sequenza di Fibonacci avranno esponenzialmente sempre di più fino a perdere il conto? Quanti si dimostreranno capaci da mettere in circolo parte dei loro surplus, non attraverso elemosine ma fornendo maggiori e migliori opportunità di lavoro ad altri?
Nei francobolli che ho descritto e riprodotto figurano in secondo piano o sullo sfondo opere architettoniche esemplari, identificative dei luoghi dove sono sorte.
Per le Marche c’è il Palazzo ducale di Urbino, creazione originalissima di Luciano Laurana coi suoi inconfondibili torrioncini racchiudenti i balconi sovrapposti.
Un palazzo equilibratissimo con scalinate agevoli e saloni dove non c’è un dettaglio casuale o raffazzonato, a dimostrazione che insieme ai grandi artisti hanno contribuito allo splendore della residenza una moltitudine di abili artigiani padroni dei loro mestieri.
Chiunque visitandolo anche a centinaia d’anni di distanza, apprezzando i risultati dell’impresa, tutto potrà dire del Duca meno che abbia dilapidato frivolmente le sue sostanze.
I dipinti commissionati, i marmi scolpiti, le tarsie dello studiolo come lo splendore della biblioteca ed ogni singolo volume manoscritto e miniato, così un mobile, un arazzo, un servizio da tavola; qualunque opera realizzata per lui e la sua corte, ovunque si trovi oggi è ammirata come o più di allora. Ogni espressione d’arte, d’alto artigianato e d’ingegno in genere, attesta in ogni epoca la volontà di non accontentarsi di fare per avere ma di provare a fare al meglio per dare; questo avviene tanto più quando chi ha i mezzi economici o le possibilità decisionali ha la sensibilità e la cultura per credere nel proprio contemporaneo.

Post Scriptum di Tullio Bugari.
Nei 19 francobolli della serie ” Italia al lavoro”, in parte riprodotti, sono sette le donne protagoniste; una percentuale inferiore rispetto alla rappresentanza maschile, ma ben più alta se paragonata alla quota di donne elette nell’assemblea costituente!
In quanto ai lavori che le donne rappresentano nei francobolli, beh, possiamo notare la raccoglitrice di olive, quella di arance, di uva, ci sono poi anche donne al telaio e al tombolo. Non mancano sullo sfondo nemmeno per loro, è vero, come evidenzia Bartocci soffermandosi per le Marche sul Palazzo ducale di Urbino, vedute architettoniche della nostra storia, da Castel Del Monte all’Abbazia di Pomposa.
Attira però la mia curiosità la donna del Friuli alle prese con il granoturco: m’è capitato di leggere testimonianze proprio di quegli anni, dalla pianura friulana del Cormor, di come utilizzando le foglie delle pannocchie riuscissero a ricavare un po’ di tutto, anche borse o cinture, esistevano anche laboratori artigianali, per raggranellare un po’ di reddito (ma dev’essere stato come per i francobolli che Alberto regalò ad Ezio: valgono poco!), ma tanto era nelle famiglie di contadini senza terra. Quando il lavoro, appunto, scarseggia.
Ma come le immagini proposte dai francobolli, quei tempi sono lontani.
Volendo allegare un’immagine meno romantica Ezio mi ha suggerito quella di una sua copertina del ’95 che eseguì per un numero di Prisma i cui articoli centrali si occupavano di Pari opportunità in generale, non solo la superficialità del lavoro. La donna nel cartello dei lavori in corso, già allora, quando me la propose, mi sembrò subito una buona provocazione. Trasmetteva e trasmette ironia. Richiama l’attenzione, rivendica un ruolo attivo fuori dai canoni. Poteva o potrebbe essere un francobollo originale per il Primo Maggio, ho pensato per un attimo, ma oramai la posta tradizionale è quasi un ricordo: i francobolli sono un genere in disuso e se qualcuno dovesse usarli oggi, guai ad applicarli come facevamo abitualmente!

(Italia al lavoro, la serie completa).

Cartoline

(articolo di Ezio Bartocci)
Non sono cartodipendente ma negli anni ho raccolto tanti generi di stampati, tra questi un assortimento di cartoline natalizie e di cartoncini affini, qualche letterina ed alcune antiche Natività calcografiche interessanti anche perché segnate dalla ripetuta esposizione annuale. Ho messo insieme questo materiale pensando di ricavarne un giorno un bel catalogo ed un’apprezzabile esposizione.
Le cartoline di auguri vanno dall’inizio del ‘900 agli ultimi decenni del secolo.
Ora che hanno fatto il loro tempo si prestano ad una ricognizione e a varie letture.
La mostra dedicata ai bambini, arricchita da manufatti ed oggetti attinenti, allestita tra dicembre e gennaio potrebbe richiamare le famiglie ed ogni singola persona interessata all’iconografia natalizia, alla religiosità ed alle tradizioni popolari.
La varietà di cartoline e dei cartoncini un tempo comuni, tirati in migliaia di copie, scelti in base ai gusti ed alle disponibilità individuali, sono interessanti anche nel verso caratterizzato dalla calligrafia e dalla firma, dagli auguri e dai saluti, dagli indirizzi del destinatario e del mittente. Stesso dicasi per gli stampati in busta, ritenuti più chic, quindi usati prevalentemente dai professionisti e dalle aziende.
Chi poteva immaginare che sarebbe bastato qualche clik per mettere in crisi un sistema perfezionato sotto vari aspetti che ha dato lavoro a generazioni di grafici, fotografi, stampatori, cartolai e postini.
Un vecchio cartolaio spiritoso, ora in pensione, dice che era inevitabile ed è meglio così.

I francobolli costano e gli stampati pure; la posta virtuale non costa niente e viaggia veloce.

Finalmente possiamo esser sicuri che gli auguri di Natale arrivano appena il bambinello nasce, non quando sta per mettere il primo dente.

Nel catalogo, oltre alle riproduzioni anastatiche dei pezzi più significativi, voglio mettere la foto di un sacco postale durante la levata e quella di un postino in bicicletta: il messaggero che secondo qualcuno suonava sempre due volte.

Prima dell’avvento dalle E-mail o di WhatsApp il postino era molto atteso, anticipava la festa; la sua borsa di cuoio appoggiata sul portapacchi, o portata a spalla, a dicembre era gonfia quasi quanto il sacco della Befana o di Babbo Natale, personaggio vincente quest’ultimo, oggi più capzioso commercialmente, ma un tempo più mimetico e fuori dalla nostra tradizione.
Nelle immagini più antiche, come la cartolina del 1901 qui riprodotta, ha l’aspetto di un antico pacifico montanaro mitteleuropeo.
Assai diverso quello stampato a due colori da una tipografia locale nel ’44.
L’autore anonimo del foglio probabilmente faceva parte del Trentesimo Squadrone Aereo del Sudafrica stanziato all’aeroporto militare di Jesi durante la liberazione dalla dittatura nazifascista. Indubbiamente sapeva il fatto suo: ha saputo incidere il linoleum abbinare la scritta all’immagine e mantenere un equilibrio d’insieme, ma i destinatari del suo Babbo Natale col sacco pieno di bombe sicuramente non gli hanno fatto i complimenti.
E’ passato molto tempo da allora. Oggi fortunatamente nel mondo non ci sono più né dittature né massacri. Non se ne ha notizia. E il modo di far propaganda e di comunicare non è più quello degli stampati tipografici. E’ ultraveloce ed efficiente. Non sfugge niente.
Apprendiamo, ad esempio, che il presidente americano grazia ufficialmente un tacchino.
Una prova in più che il mondo è migliore di quanto spesso immaginiamo.
Possiamo esser certi che presto, dopo una perdurante crisi di commesse, per evitare il fallimento, le fabbriche di armamenti militari saranno riconvertite in industrie alimentari, di giocattoli e libri di favole.

Auguri di Buone Feste a tutti!

Giornata mondiale dei pesci fuor d’acqua

PESCI DI CARTA di Ezio Bartocci, ex edicola, primavera 2019. Presentazione il 30 marzo al Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano.
«Il 4 ottobre 1582 dopo aver sgombrato la tavola, serrato l’uscio, spento il lume o il mozzicone di candela, come ogni sera ci siamo coricati per passare la notte. Il giorno appresso qualcuno ci vorrebbe far credere che non è il 5 ottobre ma il 15, come se avessimo dormito dieci notti e dieci giorni filati. I signori più informati dicono che il Papa ha voluto cambiare il calendario per aggiornarlo, dopo circa mille e seicento anni di onorato servizio.
La gente del popolo abituata agli scherzi, in genere stupidi e pesanti, forse divertenti per altri ma non per i poveri derisi, si è fatta sospettosa e non si cura di certe notizie. Sa bene che qualcuno abile con la penna, o con la lingua, ha fatto la sua fortuna descrivendo l’ingenuità dei gonzi. Chi vive alla giornata, forse trascura gli editti, di certo non guarda l’orologio e non conosce Copernico, ma da povero analfabeta continua a lottare per la sopravvivenza: per lui domani sarà la stessa campana a scandire il tempo; anno bisestile, giuliano o gregoriano che sia.»

Inizia così Ezio Bartocci nel presentare Pesci di carta, la sua ultima invenzione, arrivata giusto in tempo per salutare la primavera 2019: 12 tavole originali, una edizione “ex edicola” tirata in 250 copie, di cui 100 con un’acquaforte firmata e numerata, stampata su carta a mano con filigrana speciale prodotta dal Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano. Il lavoro è  di grande eleganza, nel segno e nell’ironia – “leggeri, fantastici, profumati, ideali per festeggiare la Primavera” – e sarà presentato il 30 marzo a Fabriano proprio al Museo della Carta e della Filigrana; le tavole resteranno esposte fino al primo maggio.

Anche solo leggendo le prime righe della cartella, o nel dare queste semplici informazioni sulla presentazione, avvertiamo già il senso dell’immersione nel tempo e nelle epoche, nella profondità dei cicli annuali della vita, da non ridurre solo a ricorrenze che si ripetono, e in quella vitalità che sempre cerca il modo di trascendere le banalità dell’ovvio, infondendovi con la leggerezza del segno altri strati di significato:
«Il pesce molto stilizzato, inciso, graffito o tracciato alla buona è stato tra i simboli di riconoscimento e di appartenenza più usati dai cristiani che dovevano manifestare la propria fede in segreto per evitare le persecuzioni. Tacciare una linea arcuata sul terreno con una canna o uno stecco poteva essere un fatto del tutto casuale, ma se il vicino in risposta tracciava l’altra metà della linea, facendo assumere a quel segno geometrico l’aspetto di un pesce, il messaggio era inequivocabile.»

Leggere il testo della cartella, che ci accompagna attraverso questa storia dei pesci, di simbolismi, di miti, di significati – e anche di scherzi e di burle, il Poisson d’avril, come giustamente deve essere, perché occorre burlarsi dell’ovvio – è altrettanto piacevole che osservare e gustare le tavole, nelle quali le parole dell’autore diventano segno grafico e ripropongono con l’eleganza dell’ironia  quelle ciclicità dei tempi della vita: “…insieme alle rondini per far primavera”.
Anche se da tempi immemorabili, ricorda Bartocci, da noi nel vecchio continente al ritorno della primavera e della fatidica data del primo aprile non si parla più di festa ma di ricorrenza.

E allora, in un’epoca come quella attuale, schiacciata addirittura sul suo stesso e unico presente, nel quale le euforie collettive si mescolano alle depressioni nel tentativo continuo di annullare tutto prima ancora che qualcosa riesca davvero a nascere, e nemmeno le ricorrenze riescono quasi più a “ricorrere” e rimettersi in pista, ecco che Bartocci ci propone una “giornata mondiale dei pesci fuor d’acqua”, magari da inaugurare proprio questo primo aprile 2019.

Non riesco a non attribuire una precisa intenzione a Bartocci – dovrò chiederglielo – per quel filo che regge il pesce all’amo dentro di lui e poi esce dal quadro verso l’alto, dove noi possiamo soltanto immaginare, secondo il nostro estro, ma appunto non è affatto ovvio questo sforzo d’immaginazione, chi è che può averci fatto abboccare. E se non ci fosse nessuno?

Buon Poisson d’avril a tuttiLa presentazione è il 30 marzo, l’esposizione resta aperta fino al primo maggio (Museo della Carta e Filigrana di Fabriano; coordinamento e comunicazione Associazione culturale SANTINERI).

 

 

All’insegna del Martin pescatore: dal bestiario di Eugenio Montale e di Luigi Bartolini

San Severino Marche, 17 ottobre 2018, ore 21, Sala di udienza. Palazzo dei Governatori

Ezio Bartocci
All’insegna del Martin pescatore: dal bestiario di  Eugenio Montale e di Luigi Bartolini

L’incontro del 17 ottobre, rientra tra le iniziative programmate due anni fa a San Severino Marche per ricordare i cinquant’anni dalla pubblicazione degli Xenia; incontro rinviato a causa del terremoto.
Con la raccolta Xenia, Montale rompe un silenzio decennale. L’amico studioso Giorgio Zampa incaricato della stampa fa rispettare alla lettera dalla tipografia Bellabarba il menabò. L’opuscolo in memoria della moglie, in sole cinquanta copie, per uso strettamente personale, viene consegnato nell’autunno del ’66.  Montale ha conosciuto Drusilla Tanzi a Firenze nel ’27, quando vi si era trasferito per un modesto impiego presso l’editore Bemporad, come si apprende da una lettera del 20 giugno indirizzata allo scrittore triestino Italo Svevo.
Drusilla, soprannominata mosca a causa dei suoi occhiali dalle lenti spesse, diventa l’amica, la compagna inseparabile ed infine la moglie del poeta.
Il periodo fiorentino, nonostante le difficoltà dal ’38 fino alla caduta del fascismo, è ricordato dal poeta con rimpianto per le tante frequentazioni, le amicizie e gli incontri più fortunati.
Ezio Bartocci, artista visivo e  grafico di lungo corso, prende spunto da un’incisione tra le più importanti del ‘900 per mettere in evidenza il ruolo dei circoli culturali, dei luoghi di ritrovo, dei rapporti diretti tra estimatori ed artisti, sottolineando la conoscenza tra Montale e Bartolini per la complicità del Martin pescatore, al centro di una delle più note poesie di Montale “Gloria del disteso Mezzogiorno“, nonché protagonista del capolavoro all’acquaforte di Bartolini, di cui Montale, neo appassionato di grafica, s’innamorò e riuscì ad acquistare.
Varie sono le presenze animali nelle poesie di Montale ed altrettante nell’opera incisa e letteraria di Bartolini. L’accostamento per un bestiario tra poesia e grafica attraverso le opere  di due maestri del ‘900 dai modi espressivi così diversi è stimolante: invita a conoscere ed a riconsiderare presenze dimenticate, anche attraverso opere oggi poco note ma emblematiche.
Nella copertina del volume “Tutte le poesie”, curato da Giorgio Zampa, una foto di Ugo Mulas mostra Montale che sfiora col naso il becco dell’upupa, uno dei due pennuti impagliati ricevuti in dono da Goffredo Parise, tenuti in casa tra le sue cose più care.
Mi fanno compagnia nella mia camera” diceva, “tra i due preferisco il Martin pescatore forse perché è più piccolo e mi sembra così indifeso“.