Il titolo Segnalibri, in maiuscolo, seguito da poeti, scrittori e altri ritratti nel manifesto della mostra aperta dal 25 giugno al 25 settembre alla Casa Museo Marino Moretti di Cesenatico, data la tipologia del minuscolo oggetto, il periodo e la località, può far pensare a una esposizione senza pretese come tante proposte ai turisti durante l’estate.
Niente di più sbagliato! La mostra è tutt’altro ma per accorgersene bisogna visitarla attentamente; non limitandosi all’excursus veloce tra una stanza e l’altra.
Occorre osservare ciascun ritratto e conoscere almeno un po’ il singolo scrittore e la sua unicità per apprezzare non solo le differenti fisionomie ma l’idea, la soluzione grafica o pittorica che caratterizza ogni soggetto.
Bartocci, quali siano le opere che propone evita le facili soluzioni ripetitive, di maniera e di comodo. Nel caso dei ritratti degli scrittori la scelta del segnalibro, del modulo tipico lungo e stretto, conferma la volontà di mettersi alla prova, per superare in questo caso il limite del formato facendo leva sulle abilità tecniche e in primis sulla fantasia.
Parte dei segnalibri presenti a Casa Moretti sono stati in mostra nell’estate del 2017 alla Biblioteca Nazionale di Firenze, altri sono stati usati dalla Regione Marche nel 2019 per l’edizione d’arte fuori commercio “Tra le pagine” distribuita al Salone del Libro di Torino, con la presentazione di Claudio Piersanti, da cui l’estratto seguente: … Bartocci non dialoga soltanto con i tratti somatici degli scrittori (altrimenti non sarebbero altro che caricature), ma anche e soprattutto con la loro opera. Più che il letterato, in Umberto Eco, vede soprattutto lo studioso, acuto, profondo, un po’ sornione, dubbioso, ostinato. Eppure la figura è ottenuta soltanto con le tre lettere del suo nome, con l’aggiunta di pochissime linee taglienti e molto geometriche, in perfetta relazione tra loro. Sigaretta e baffi sembrano spinti dalla stessa energia del pensiero, che è quasi un vento.
In un altro ritratto la valle di Salinas si trasforma nel viso dell’autore di Furore, Steinbeck, un viso che dice di un’avventura quieta, senza la disperazione di Faulkner: il senso chiaro dei confini, un’idea di convivenza civile. Gli occhi sono grandi e sereni, i baffi dritti come una siepe appena tagliata, le labbra predisposte alla cordialità e al sorriso accogliente.
Altri due ritratti, inevitabilmente accostati dal caso, si prestano al commento: Sartre e Camus, si fronteggiano come nella vita. Avendo optato in giovinezza per l’autore de L’étranger mi trovo a non aver cambiato idea, anzi avendo appena riletto L’homme révolté ammiro più di prima il suo ritratto sui tre quarti, e lo trovo perfetto. Sguardo aperto, curioso, porta il nome scritto nella capigliatura. Fa freddo, è l’inverno parigino, il cappotto ha i baveri rialzati, anche a proteggere la sigaretta dal vento. Camus è un passante come noi, Sartre è l’uomo di marmo, lo sguardo ipnotizzato e perso nella geometrica realtà industriale che lo esalta ma nello stesso tempo lo soffoca. Come se non bastasse il suo nome è scolpito nel marmo, alla base del monumento. Zio di entrambi segnalo anche il ritratto di Gide, con le sue varie facce, e quasi ci si aspetta di veder sbucare anche quella di Claudel, suo antico amico-antagonista.
Bartocci sa benissimo che Gide aveva portato dai suoi viaggi alcune maschere africane, e tra queste una la ebbe Picasso, che come si sa ne fece buon uso. Così trasforma Gide stesso in una maschera e nei suoi multipli.
Non salta subito all’occhio ma ogni ritratto è realizzato con un taglio diverso. Un segno quasi sbiadito e occasionale ritrae perfettamente mezzo viso di Celine, uno dei ritratti più sorprendenti. Ispido com’era sicuramente ma anche candido ( …); Thomas Eliot, dal vasto viso composto solo di parole, inquieto amico di Virginia (Woolf), trova un suo rigore e una sua pace, religiosa e estetica. Eugenio Montale, scolpito in osso di seppia, si presenta come un paesaggio marino, abbandonato al sole nella risacca. Sembra scolpito dall’acqua ma invece è vivo, e l’occhio che ci fissa è profondo, sprofondato nell’aldilà sembra che ci parli con il pensiero.
Descrivo per ultimi i due ritratti forse più sorprendenti: Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Una matita rossa vaga sul foglio, senza un progetto apparente, ma all’improvviso si esclama “è proprio Moravia”. Nella sua essenza: è l’uomo che guarda. Il rosso, che domina anche il ritratto di Pasolini, non li unisce anzi li allontana. Il rosso diventa collera e sangue, martirio della croce (San Pasolini, direbbe Arbasino).
Bartocci è artista poliedrico, ma non ama le contaminazioni. È grande incisore quando lavora alla lastra e si immerge nelle sue amate carte (è nato a Cupramontana, il paese d’origine di Luigi Bartolini), è pittore raffinato quando usa i pennelli, per esempio nei suoi stupendi paesaggi marchigiani, quasi astratti, vere esplosioni di colori, geometrie che anziché perdersi nell’indistinto ti fanno scoprire particolari invisibili al primo sguardo. In fondo è una sorta di eremita ironico, moderno e antico, commercialmente incollocabile. (…)
Attraversate le diverse stanze della Casa Moretti, la mostra continua nello spazio della ex legnaia, passato il vialetto imbrecciato del giardino.
Lo spazio espositivo qui è meno articolato e molto più aperto, si presta a ospitare opere di formato più grande.
Appena entrati ci accolgono alcuni lavori ormai d’antan introdotti da un’antica stampa al bulino per far capire quanto l’esercizio del disegno un tempo fosse fondamentale specie nella ritrattistica. Da qui in avanti la mostra si snoda presentando tutta una serie di ritratti ottenuti dalla combinazione di iniziali e caratteri alfabetici. Nel catalogo della mostra in qualche pagina l’artista riassume questi suoi lavori così dicendo: Affascinato dalle antiche scritture ideografiche quanto dalle famiglie di caratteri tipografici, e ritenendo la fantasia e l’esercizio ludico due elementi affatto trascurabili, ho eseguito in periodi diversi vari ritratti di prestigiosi committenti, quali Re, Papi, Santi insieme ai profili di professionisti più abbordabili: Ing., On., Arch., Prof., Ins., Poeta, Mago, Attore, Genio, Vice.
Ritratti rigorosi, essenziali come le inconfondibili facce da Ebete, da Avaro, da Ladro.
L’dea m’è venuta tantissimi anni fa, mentre facevo anticamera in un ufficio di un professionista plurititolato trastullandomi col suo biglietto da visita. I titoli abbreviati e in corsivo “Cav. Prof. Ing.”, bene in evidenza prima del nome, erano elegantemente cancellati da un sottile tratto di penna, come per dire: non ci tengo affatto ai titoli (…)
La mostra si conclude con le opere esposte nel soppalco ricavato all’interno della stesso ambiente (ex legnaia). Qui non potevano mancare alcuni volti fantastici eseguiti in varie occasioni e per chiamate diverse. La scelta di un artista non vincolato dal mercato che può disporre del suo tempo per rispondere alla libera committenza, offre la possibilità di inventare a seconda delle occasioni. Nel caso specifico lo provano alcuni bozzetti per copertine e manifesti di iniziative letterarie o edizioni d’arte per ricorrenze particolari.
Già tantissimi anni fa Nicola Ciarletta scriveva per la cartella dei Manifesti metapubblicitari (Al Muro! Carucci,1978) … il riferimento all’uomo non manca mai nella grafica di Bartocci, anche nelle sue produzioni più astratte, la cui attrazione è tanto maggiore quanto più esse mostrano il senso motorio della loro genesi, che ha origine dalla linea. La linea è la capillare matrice della grafia di Bartocci, ne è il gesto iniziale, spoglio d’ogni potere simbolico e consegnato alla sua mimica, a quel modo che, nel teatro di Beckett, la “storia senza parole” è priva di favella e si svolge come pantomima. Tuttavia come in Beckett la favella, benché spenta, appare potenziata proprio dalla sua cessazione, così nell’opera di Bartocci la traccia dell’uomo è tenace, non foss’altro che nel retaggio gestuale della pura linea.
Il catalogo che sintetizza e riassume la singolarissima mostra nella casa del poeta col lapis non poteva concludersi meglio che con l’Alternativa al curriculum.
(a cura di Tullio Bugari)