Giovedì 8 ottobre alle 21.15, primo incontro della rassegna Le Marche in Biblioteca 2020.
Il 20 settembre 1870 con la “breccia di porta Pia” cade il potere temporale dei papi e inizia il governo dello Stato laico. Più o meno. Il testo di Antonio Emiliani, originario di Falerone, riproposto ora da Ezio Bartocci con il titolo “Sulla Breccia” – tratto dall’ultimo capitolo del libro pubblicato a Fermo nel 1889 – e con una cartella pregevolmente curata – in copertina il festoso ritratto tricolore, essenziale, di Vittorio Emanuele II, focalizza con leggerezza tra il rosso della chioma e il verde del debordante “onor del mento” uno dei volti più caratteristici della nostra storia – stuzzica la mia curiosità verso un Fatto storico che non mi sembra sia proprio al centro delle attenzioni. Nonostante l’anniversario dei centocinquanta anni.
Senza nessuna velleità di storico, che non sono, ma con la leggerezza tranquilla del curioso, raccolgo qualche stimolo.
Il testo di Emiliani mi sembra che abbia una sua leggerezza particolare che lo distingue dai toni più enfatici o retorici di testi prodotti già allora e in tempo reale da scrittori e commentatori, o comunque dai toni di un immaginario popolato da atti fieri d’eroismo e da allegre marcette di bande militari. Emiliani è un testimone diretto di quel Fatto, di cui scrive però diciotto anni dopo, e lo fa col tono di chi racconta: me lo immagino davanti ad un gruppo di ascoltatori che un po’ legge dai suoi fogli e un po’ narra, rivivendo a distanza di tempo le diverse emozioni di allora, che non sono prive naturalmente di sentimento patriottico, avendovi partecipato in prima persona, o di immagini degli assalti e delle grida di gioia e di stupore dei vincitori, e insieme però con gli occhi attenti a tanti dettagli talvolta definiti minori, dalle macerie a terra, ai feriti, a chi si aggira prestando i primi soccorsi ai feriti, al rammarico dei perdenti, o al popolo memore delle recenti repressioni e che dunque si aggira ai margini della battaglia in cerca dei Pontifici in fuga, da arrestare. Insomma, la battaglia con i suoi slanci eroici, che commuovono ancora i suoi ricordi, e insieme anche i suoi risvolti umani, che quell’entusiasmo un po’ magari lo stemperano e lo avviano forse verso una maturità più pacata.
Porta Pia all’epoca. Immagine presente nella cartella.
Pio IX, il “nostro” Papa Mastai Ferretti, compare due volte nel racconto, come a sottolinearne l’attesa e poi il momento della decisione, mentre osserva o ascolta i fragori della battaglia e dell’assalto di Nino Bixio, e quando poi ordina la resa appena gli giunge la notizia che è stata aperta una breccia.
Mi pare che Pio IX fosse ben cosciente della netta superiorità del neo esercito italiano – contro cui non aveva alcuna chance, soprattutto dopo il ritiro delle guarnigioni francesi richiamate in patria per la guerra franco prussiana – tuttavia aveva ugualmente rifiutato fino all’ultimo qualsiasi accordo per la cessione del potere temporale, perché gli serviva dimostrare d’essere stato cacciato con la forza: diede così l’ordine di schierarsi per combattere ma già pronto ad arrendersi al primo ingresso dei bersaglieri in città. Ecco dunque la battaglia, i colpi di cannone e i morti, non molti, non migliaia ma alcune decine, ma pur sempre vittime sono.
Avevano tentato di convincere Pio IX anche con sollevazioni insurrezionali dall’interno, ma senza successo, erano state represse con violenza, così come era stato sconfitto Garibaldi a Mentana tre anni prima, quando ancora c’erano i francesi. A Roma vigeva la pena capitale e Pio IX esercitava ancora il potere di comminare condanne a morte. Toccò a Giovanni Monti e Gaetano Tognetti, decapitati nel 1867. Oltre al potere temporale aveva voluto consolidare ancora di più quello spirituale, se mi è consentita la battuta, infatti il 18 luglio 1870, qualche settimana prima della “breccia di Porta Pia” aveva istituito il dogma dell’infallibilità del papa in materia di fede e di morale. E magari fu a suo modo proprio un atto lungimirante, per lasciare a sé e ai suoi successori un potente strumento per poter almeno interferire nelle decisioni dei governi italiani a venire.
Il 2 ottobre, intanto, fu un plebiscito che con circa il 99% dei voti stabilì e legittimò l’annessione di Roma e del Lazio all’Italia e gettò le basi per Roma capitale. La città allora era compresa tutta all’interno delle Mura Aureliane e non arrivava a duecentomila abitanti , contro il quasi mezzo milione di Napoli o i circa 300 mila di Milano.
Tornando però al testo di Emiliani, da cui sono divertito anche per l’incontro con parole ed espressioni oramai desuete nella nostra lingua, ma forse anche allora usate più per rendere elegante il modo del raccontare, e meno nel linguaggio quotidiano; oltre a questo, però, mi traspare proprio da quel modo di raccontare, e da quel linguaggio e quello sguardo che non trascura i risvolti umani della battaglia, che non si tratta soltanto di rievocare un Fatto storico, quanto piuttosto un contesto, cioè un Mondo, un modo di sentire. Un sentimento, lo definirei.
Mi colpisce allora la cura dei dettagli, dello sguardo attento a soffermarsi, nel suo muoversi tra le barricate, lungo le strade solcate da ferite, tra gli schiamazzi che ode qui o gli squilli di tromba là, che in sottofondo arrivano quasi senza disturbare quell’aria, mi trasmette il senso del tempo, del suo ritmo e del suo scorrere, spingendomi a immaginare le vie più intime di Roma, quelle del cosiddetto popolo, degli artigiani, dei viandanti, un po’ spettatori e un po’ partecipi e coinvolti, un po’ liberati e che infatti poi votano in massa per l’annessione. Insomma, prendo in mano quelle pagine di Emiliani e mentre le leggo ad alta voce, sento mettersi in movimento un buon mare di suggestioni, il tono del suo racconto mi concilia in questo e mi stuzzica ad altro.
La cartella curata da Bartocci, il semplice lavoro di impaginazione, scelta delle immagini dei colori e dei caratteri, mi restituisce lo stesso tipo di sentimento, suggerendomi la sorprendente ricchezza di un mondo, sottratto a sbrigativi stereotipi retorici.
Così, quasi per paradosso, mi accade d’immaginare sullo sfondo del racconto proprio il Fatto storico, e la Storia non semplice e non poca sia di quei giorni complessi – da lì a pochi mesi, mentre Roma si festeggia “Capitale”, Parigi conosce le illusioni e la carneficina della Comune – sia degli anni a venire, fino ad oggi, con molte questioni ben aperte sul tema della laicità, eccetera e ancora eccetera. Mi viene in mente, da ultima, la beatificazione di Pio IX nel Duemila, l’anno del Giubileo.