Le Marche in Biblioteca, 2018

“Il silenzio del mare”, finalista al Premio Mattarella


“Il silenzio del mare” di Asmae Dachan (Castelvecchi editore) è finalista al Premio Letterario  Piersanti Mattarella, la cerimonia di premiazione è il prossimo 24 novembre. Con Asmae Dachan e il suo libro abbiamo concluso giovedì scorso il ciclo di incontri con scrittori marchigiani “Le Marche in Biblioteca” terza edizione 2018, tutti tenuti nei locali della Biblioteca Planettiana di Jesi.

Ha introdotto e conversato con l’autrice Alessandro Seri; molti i temi trattati, da quelli più strettamente inerenti la genesi del libro e le scelte di tipo narrativo e letterario più adeguate a trasferire quei temi in un’opera da proporre ad un pubblico più ampio possibile, e in una forma capace soprattutto di resistere alla velocità con cui nei tempi attuali si consumano purtroppo velocemente, sui media tutti, anche le storie più dense di immediata umanità, a quelli inerenti in modo più diretto anche alla situazione reale attuale della guerra in Siria, la sua complessità e i drammi che investono la popolazione civile.

La vicenda narrata nel romanzo ci mostra la fuga di una coppia di fratelli, che avviene nei primi mesi di quella guerra interna scatenata dallo stesso regime contro l’opposizione della popolazione civile, che sull’onda delle primavere arabe chiedeva più democrazia, e attraverso questa fuga ci mostra anche i drammi che riguardano un viaggio non scelto ma obbligato, attraverso paesi non sicuri e poi attraverso un mare reso ancora più pericoloso da chi approfitta dei drammi degli altri, e poi l’arrivo in un paese di cui all’inizio non si conosce nemmeno la lingua, e che è stato scelto per di più come via di passaggio e non come meta definitiva, ma nel quale si resta invischiati, e quindi i primi contatti, le relazioni con le persone conosciute e incontrate qui, mentre continuano ad arrivare le notizie tragiche dal proprio paese, dai familiari e dagli amici rimasti, ma tra i quali ci sono anche quelli di cui non si ha più notizia.

Tutto vissuto e narrato dal punto di vista dei singoli, come potrebbe accadere a ciascuno di noi. La letteratura consente in più proprio questo rispetto ad un saggio o ad un reportage che comunque è importante per conoscere e approfondire. La letteratura ci fa immedesimare direttamente nella situazione, ci fa simulare le emozioni e sentirle, ci aiuta a definire meglio la prospettiva dalla quale valutare ciò che accade, e i dettagli che allora incontriamo, quella specifica situazione, la battuta o lo sguardo che un estraneo ci getta addosso, queste piccole cose diventano il centro del racconto, svelano in modo diverso un mondo diverso e  aggiungono significati in più.

Come in tutte le serate proposte con Le Marche in Biblioteca, anche questa volta la conversazione con Asmae Dachan è stata accompagnata dalle letture,  di Elisabetta Benedetti, Cristina Gregori e Maria Grazia Tiberi dell’associazione Arci Voce, con tre brani estratti dall’incipit del libro e cioè il momento della partenza, poi alcuni mesi dopo ecco i  familiari che ancora non hanno notizie dei ragazzi, e infine un brano nel quale ancora qualche tempo dopo il ragazzo, nel nuovo paese, si trova alle prese con la gente del posto. E insieme alle letture, si sono alternati alla conversazione anche gli interventi musicali, curati per l’occasione dal cantautore Silvano Staffolani, accompagnato da Lorenzo Cantori, con tre brani del suo  repertorio inerenti al tema della della serata: Sogni alla deriva, Viandanti e Forestiera.

(Le Marche in Biblioteca” è una iniziativa promossa dalle associazioni culturali Altrovïaggio e Licenze Poetiche e organizzata insieme alla Biblioteca Planettiana, con un contributo del Ciomune di Jesi, Assessorato alla Cultura).

Il silenzio del mare, di Asmae Dachan

Giovedì 25 ottobre alle ore 21.15, alla Biblioteca Planettiana di Jesi, quarto appuntamento della rassegna Le Marche in Biblioteca, edizione 2018.
Presentazione del romanzo di Asmae Dachan “Il silenzio del mare”
Il libro è finalista al Premio Letterario Giornalistico Piersanti Mattarella, la finale e la premiazione avranno luogo a Palermo il prossimo 24 novembre.

Titolo: Il silenzio del mare
Autore: Asmae dachan
Casa editrice: Castelvecchi Editore.

La recensione della scrittrice Maria Lampa (dal blog Diario di Siria)

Protagonista del romanzo è il silenzio a cominciare dal titolo  “Il silenzio del mare”.  Il mare non grida,  mormora, culla dolcemente i sogni, alimenta il desiderio per carezze affettive, tratta con tenerezza i cadaveri, trattiene i segreti, custodisce le speranze, miscela le idee, e il suo è un silenzio attivo, vivo anche se non pronuncia parole. A volte dolce, a volte burrascoso e rumoreggiante ma instancabile nel movimento che è Vita. Ha un suo specifico linguaggio ed è compreso, accettato da chi si mette muto ad osservarlo e ascoltarlo non solo con l’udito ma soprattutto con l’anima. Il mare che alimenta speranze, la paura e custodisce con discrezione segretamente tante storie. Il silenzio di Fadi che preferisce l’ascolto al parlare, la sua scelta di andare sulla spiaggia, al porto da solo per sentire il rumore dei propri pensieri che si muovono come le onde.

D30_3369Il silenzio di Dafne che utilizza per ritrovare se stessa, per comprendere le sue angosce, per capire cosa non va della sua vita, per riordinare i pensieri. Sceglie il silenzio quando si trova in un ambiente sconosciuto, nella casa di accoglienza in mezzo a persone estranee. Preferisce il silenzio  piuttosto che chiedere, chiarire con il marito e interrogarlo su certi comportamenti, e sceglie di tacere i suoi pensieri e tormenti.

Il silenzio usato come soluzione dalla suocera di Dafne per evitare discussioni dolorose in famiglia. Il pescatore Gino che osserva e legge molto più nei silenzi che dalle parole, il dramma che sta vivendo Fadi, e quei silenzi diventano solidarietà, comprensione, compassione, partecipazione.

D30_3266.JPGI protagonisti del romanzo sono due siriani costretti a fuggire con i barconi e solo uno arriva vivo in Italia. La storia di Fadi e di Ryma simile a quella di migliaia di profughi di cui nessuno parla. Il silenzio sulla storia della Siria, dei giornalisti che non raccontano, delle autorità che se ne avvalgono per aumentare le uccisioni e le repressioni violente.

Il silenzio del mondo che non interviene ed evita di pubblicare il dramma che sta vivendo quel popolo. Il silenzio di tutti gli innocenti martoriati in Siria che non possono più raccontare.

D30_3436.JPGAsmae l’autrice,  non tace ma racconta con una penna sottile, raffinata ciò che viene taciuto. Entra nel cuore dei protagonisti e con un filo di seta tesse la trama dei loro pensieri, delle angosce e speranze, degli ideali che danno la motivazione e il coraggio per combattere. La penna di Asmae fa scorrere sui fogli, cuori intrisi di sofferenza e ricolmi di amore, di intensità e di silenzi che riempiono, avvolgono i vari personaggi.

Tutto il romanzo scorre lentamente, ogni respiro viene descritto e vissuto consapevolmente ed ogni personaggio è visto dal di dentro più che da fuori, dalle azioni, gesti e parole. Dialoghi sintetici, scarni, essenziali e grande spazio all’intimità, ai pensieri, impressioni, sensazioni ed emozioni e ai tanti dubbi che accompagnano gli eventi.

Il lettore è preso delicatamente per mano e condotto dentro la storia, come se l’autrice volesse accostare i lettori, senza alcuna pretesa, alla Siria, a ciò che sta accadendo per farli sentire partecipi, vicini e in qualche modo protagonisti.

D30_3566.JPGC’è un senso di appartenenza al mondo e noi tutti siamo cittadini del pianeta, vicini o lontano che ci troviamo logisticamente, siamo tutti bisognosi di libertà di espressione, e quindi ugualmente responsabili di una pace che va vissuta e mantenuta ogni giorno in ogni angolo e qualsiasi contesto del pianeta Terra proprio perché come uomini, indipendentemente dal colore della pelle, siamo tutti esseri umani che in modo naturale desiderano amare ed essere amati.

Il romanzo è la testimonianza concreta che l’amore, il rispetto, la comunicazione, l’accettazione sono alla base della civile convivenza che fa sentire ogni essere umano ricco e felice di esistere.

 

“Uno sciopero della vita, Edo!” (La musica vuota, di Corrado Dottori)

Una lunga e interessante conversazione con Corrado Dottori, partendo dal suo romanzo La musica vuota, che dagli anni rappresentati nelle riflessioni, ricordi e riscoperte o ricostruzioni del suo passato che fa il protagonista, ci ha riportato continuamente a questo nostro tempo presente. La vicenda del romanzo, alle prese con il passato, sembra altra rispetto a questo presente, ed è un’altra, ma passato e presente si contengono uno dentro l’altro ed entrambi si comprendono meglio se riusciamo ad osservarli nel loro insieme. Ma non è facile. E così è un viaggio assai inquieto quello che compie, dentro se stesso, il protagonista Edoardo Alessi, private banker ancora negli anni dieci del duemila in una banca milanese, ma nato a metà degli anni Settanta e ventenne negli Anni Novanta, che ha lasciato alle spalle le utopie coltivate negli anni della Pantera all’università, di fatto rimuovendole e insieme scontrandosi anche con la sua storia d’amore, che era un tutt’uno con le loro aspirazioni o scelte di stili di vita, per ritrovarsi dentro altre altre scelte. O forse è più esatto dire ‘non scelte’.  Ma non c’è solo questo passato ‘privato’, che già da solo non è soltanto ‘privato’.
C’è anche il passato dei suoi genitori, padre e madre, giovani di una generazione precedente, quella degli Anni Settanta di cui negli anni si è fatto sempre fatica a parlarne con tranquillità. Ed è un passato che si complica ancora di più dopo la disgregazione della famiglia – il padre in prigione, la madre fuggita, il piccolo Edoardo rimasto con i nonni – la quale sopravvive unita soltanto dentro sette scatoloni che l’Edoardo adulto ritrova in una vecchia soffitta, e dentro vi ritrova un po’ di lettere della madre, diari del padre, appunti vari mescolati e perfino i racconti di Edoardo ragazzino che il padre aveva raccolto e mischiato li dentro, insieme a vecchi vinili e copertine di LP, come si chiamavano allora. Gli scatoloni non sono solo un espediente letterario, per consentire all’autore di sviluppare, intrecciandoli insieme, i diversi piani narrativi. Sono anche una metafora delle nostre tracce materiali, con le loro ruvidezze e imperfezioni di allora (‘spero che mio padre non li abbia letti davvero’, commenta tra sé Edoardo quando ritrova anche i suoi scritti giovanili), non ancora appiattite dalla universale digitalizzazione odierna, della tecnologia e degli sguardi, in cui ogni ruvidezza e superficie viene smussata, gli angoli tolti, i caratteri omologati. Nel romanzo c’è molto, l’espediente letterario consente di citare anche documenti e momenti di storia reali, che si sommano ai racconti soggettivi dei vari personaggi, lungo una trentina di anni di storia, di situazioni, da riordinare e rivalutare oggi e non confondere nel mucchio di un qualcosa di indistinto, perché possono aiutarci a capire meglio dove siamo arrivati. E anche le scelte o non scelte individuali, e degli errori e fallimenti.
Cosa fare del passato?
“Elevarlo a simbolo” – si chiede il protagonista in una pausa tra le sue letture, o tra i suoi impegni di consulente finanziario, perché sono le pause che ci aprono la possibilità di nuovi sguardi – “Farne leggenda. Farne il romanzo non già di un singolo ma di centinaia, migliaia, milioni di scelte individuali che si fondono in scelte sociali. Che si fanno storia, che si fanno destino. Questo potrei fare, se fossi uno scrittore”.
Sembra quasi il manifesto estetico che sorregge la scrittura di questo romanzo. Che ci riporta anche, per questa strada, a ripensare i nostri stili di vita odierni, che non ci lasciano quieti.
“Uno sciopero della vita, Edo! – dice a Edoardo un altro personaggio, un reduce di quegli anni rimasto ancora fedele a se stesso, come un eremita, l’altro lato di quegli scatoloni ritrovati in soffitta – Non uno sciopero in fabbrica. Uno sciopero della vita, da questa vita. Smettere di fare. Fermarsi. Scendere dal treno. Smettere di produrre, di consumare… Smettere di ascoltare musica di merda, spegnere la televisione. Staccare la spina. Tutti. Nel medesimo istante.” L’utopia ha sempre immagini radicali, ma anche verosimili, che si possono immaginare davvero.

E la musica, citata anche in questa sorta di invocazione di questo personaggio? La musica è tutto, c’è già nel titolo, e c’è un disco che lega padre e figlio, lasciato in quello scatolone, e che poi ritorna più volte nel romanzo, è Exile on Main st. dei Rolling Stones, 1972, ma ne sono citati anche molti altri, da Nebraska di Bruce Springsteen a Grace di Jeff Buckley e tanti altri, in fondo al libro Corrado Dottori ha aggiunto una scheda di due pagine con tutti gli autori citati. La musica è tutto, è la costruzione di un’identità, un modo di guardare il mondo per volerci restare ancorati, anche quando al tempo stesso se ne avverte il disagio, la musica è in questa tensione. Se perde questa tensione diventa vuota.

La conversazione con Corrado Dottori è stata accompagnata da alcune canzoni eseguite da Federico Fabbretti della Scuola Musicale Pergolesi di Jesi, e dalle letture di alcuni brani dal libro eseguite da Maria Grazia Tiberi e Tullio Bugari dell’associazione ARCI Voce.

LE MARCHE IN BIBLIOTECA 2018
Sul libro di Corrado Dottori, vedi anche:
la foto di Mario Boccia, nella copertina del libro
la recensione di Valerio Calzolaio

 

“Music is a dark sound”

La foto di copertina del romanzo di Corrado Dottori, “Pianoforte a Grbavica”, è di Mario Boccia, che la scattò a Sarajevo. “La musica vuota” non parla di quella guerra, la foto però è tale da  evocare anche altre inquietudini interiori della nostra epoca.
La foto è accompagnata nel libro da un ricordo dello stesso Mario Boccia, e dalla poesia che le dedicò il poeta cheyenne Lance Henson:
“La guerra è finita e la città riunificata in applicazione degli accordi di Dayton. Un pianoforte è rimasto in una casa abbandonata. la ragazza che mi accompagna sperava di trovare tracce di una sua amica che abitava lì. Una casa tanto vicina alla prima linea da essere parzialmente trasformata in una postazione per mitragliatrici. “Su quel pianoforte abbiamo imparato a suonare insieme”, mi disse. Lance Henson, poeta cheyenne, ha scritto una poesia su questa foto: The Abandoned Piano. Dopo avermi ascoltato a lungo mi ha chiesto: “Mario, ma chi sono i nativi di Bosnia?”
The abandoned piano
di Lance Henson

Music is a dark sound
when the sorrow of the world
cannot forget itself
it is a siren lost
upon tumultuos sea
in a time of danger and despair
as sudden as an eye
captured in the forgotten frame
of a photograph
music is a dark sound
yet even hope prevails
even if it is a lone piano
in a war ravaged room

La musica è un suono cupo
quando il dolore del mondo
non riesce a dimenticare se stesso
è una sirena persa
in un mare in tumulto
in un momento di pericolo e disperazione
improvviso come un occhio
catturato nell’inquadratura dimenticata
di una fotografia
la musica è un suono cupo
eppure prevale la speranza
anche se è un piano solitario
in una stanza devastata dalla guerra

(traduzione dal blog dell’associazione Il Cerchio)  

La musica vuota, di Corrado Dottori

Giovedì 18 ottobre alle ore 21.15, alla Biblioteca Planettiana di Jesi, terzo appuntamento della rassegna Le Marche in Biblioteca: I Giovedì letterari della Planettiana, edizione 2018.
Presentazione del romanzo di Corrado Dottori “La musica vuota”

Titolo: La musica vuota
Autore: Corrado Dottori
Casa editrice: Italic Pequod

 La recensione di Valerio Calzolaio
(dal settimanale della Fondazione Italiani)

Da Milano verso altrove. 1973-2017. Edoardo Alessi è nato a fine 1973 ed è cresciuto quasi sempre con i nonni. I due genitori erano settantasettini più che sessantottini, gli hanno lasciato geni e passioni in eredità, ma sono stati fisicamente prima distratti poi assenti. Il padre Darth Vader e la madre Nina si erano messi insieme a scuola proprio all’inizio del 1973, neanche diciottenni, si erano trovati con un bimbo travolti dall’impegno politico nell’estrema sinistra, militavano nel movimento in giro per l’Italia, talora col figlio in tenda e sacco a pelo, fra concerti e sagre, fra collettivi e comuni, fra occupazioni e auto-riduzioni, dal 1987 la galera l’uno (senza aver ammazzato nessuno) la fuga l’altra. Da oltre 20 anni Edoardo si era trasformato da esponente della Pantera in trader finanziario, private banker, consulente essenziale del capitalismo. Nel 2012 aveva trovato nella casa in montagna dei nonni sette scatoloni di diari, lettere, documenti, poesie, fotografie scolorite, probabilmente nascosti lì dal padre prima di morire, ci sono anche diari suoi, scritti chissà quando, trovati chissà come, buttati nel mucchio. Aveva preso tutto e se l’era portato a Milano. Edoardo aveva cominciato a leggere i diari del padre, capendo subito di avere molto in comune, innanzitutto gusti musicali e pulsioni narrative. A quel tempo stava con la bellissima poco amata Raffaella; quando la compagna vede cosa sta leggendo è l’inizio della fine, lei capisce (come aveva già intuito) quanto era stata importante la storia con Maria, pur durata solo un quinquennio, nella seconda metà dei Novanta. Leggendo e scuficchiando Edo scopre molto altro, soprattutto fino al 2002- 2003 (quando il padre si ammala), scrive riflessioni nuove, contemporanee. Ne vien fuori un affresco sonoro sulla vita, un flusso di autocoscienza (perlopiù infelice) su viaggi e amori, speranze e passioni, aspettative e delusioni di un paio di generazioni italiane.

Corrado Dottori (Cupramontana, 1972) ha pubblicato nel 2012 il bel volume autobiografico Non è il vino dell’enologo. Lessico di un vignaiolo che dissente, con al centro il decisivo passaggio (circa venti anni fa) dalla professione squallidamente bancaria milanese al mestiere naturalmente vitivinicolo marchigiano. Esce ora con un pulsante romanzo, parte del testo giaceva nel cassetto dalla fine dei Novanta, ha finalmente trovato il filo (spesso cupo) per dipanare i pensieri affastellati allora e parlare dell’oggi. Il protagonista ha un anno di meno, è originario delle vigne della tirrenica Toscana (non dell’Adriatico), resta il caro Luke Skywalker dei Navigli e sceglie, al contrario, di continuare a vendere e comprare titoli di credito (tossici) per meglio soddisfare (economicamente) il portafoglio dei propri clienti. Impariamo a conoscere l’elegante altezzosa Alessandra Rossi, il commercialista puttaniere e giocatore d’azzardo Guidi, la maga Iris dagli immensi guadagni esentasse. Non se ne può proprio più. Ha rinviato la ribellione, non l’ha dimenticata. Non a caso Maria gli diceva: “Tu vivi emozionandoti! Non riesci a vivere al cinquanta per cento…”. Il padre suonava, anche Edoardo lo faceva, da tempo ha appeso al chiodo la Gibson Diavoletto da rocker bastardo. Continua ad ascoltare tanta musica, spesso la stessa del padre, come lui odiando quella “vuota”, che si canticchia e ci anestetizza. La colonna più sonora è Exile on Main St., The Rolling Stones, lp del maggio 1972, un classico dell’epopea r’n’r (omaggio a Los Angeles, stavolta più Keith Richards che Mike Jagger); sul vinile c’è ancora la bella inspiegabile dedica dello zio, ormai sperduto eremita, per capire va a trovarlo in Val d’Aosta. La scoperta degli scatoloni gli consente di ripercorrere i giri del passato, soprattutto quelli con Maria (da Berna a Parigi, dal Marocco alla Carinzia), di risentire l’istinto della fuga (da Raffaella) verso West Coast e Messico (con vari occasionali incontri), di programmare un nuovo lungo viaggio. La punteggiatura è consciamente frammentata. Alcune dinamiche appaiono interrotte e sospese, alcuni risvolti (anche noir) accennati e incompiuti. Emergono avvenimenti che segnarono la vita di generazioni di padri e figli, come l’assassinio di Fausto e Iaio del Leoncavallo nel marzo 1978. Vino, liquori e cocktail non mancano mai, soprattutto Daiquiri.

L’incontro con Maximiliano Cimatti


Le Marche in Biblioteca 2018. Si è svolto ieri 11 ottobre il secondo incontro di questa nuova edizione dedicata agli autori della nostra regione. L’ospite della serata è stato Maximiliano Cimatti, ravennate che da un po’ di anni si è trasferito nella nostra zona e vivendo qui ha trasferito le storie di questa terra in un romanzo ambientato nei primi anni dopo l’Unità d’Italia, nell’anno in cui viene realizzata la linea ferroviaria che collega la nostra valle a Roma e Ancona.

Il romanzo è “L’uomo di Elcito”, editore Meridiano zero, un libro uscito nel 2017 e che ha già riscosso molto interesse nella zona, anche per un sentimento di affetto verso il piccolo paese di Elcito, posto sulle pendici del San Vicino, attorno al quale le vicende del romanzo ruotano, nel senso letterale del termine, perché sulla scena, oltre alla costruzione della ferrovia e ai successivi episodi che accadono durante l’epidemia di colera che scoppiò – davvero, è un dato storico – nell’aprile di quell’anno, il 1866, ad Ancona, ci sono soldati e briganti con i primi alla caccia dei secondi, anche se non sempre è così chiaro chi da la caccia a chi. E durante questa caccia, il gruppo di soldati guidati dal sergente Anselmo Toschi “ruota” nella regione in un percorso quasi a spirale, da Ancona, Chiaravalle, Corinaldo, Fossombrone, Sassoferrato, Fabriano, Matelica, Macerata, prima di approdare ai paesini che preannunciano Elcito. Ma che cosa c’è davvero a Elcito, e chi, e che cosa fa? Non è la caccia di un cacciatore di taglie, quella del sergente Toschi, ma qualcosa di misterioso, di cui insegue e interpreta le tracce, raccoglie allusioni, indicazioni di cui non si conosce la precisione, mezze leggende che già crescono. Bisognerebbe andarci di persona, vedere con i propri occhi, e sentire con le proprie emozioni ma non si sa nemmeno dove si trovi, con esattezza, quel luogo. E inoltre, chi è che le conosce davvero queste nostre emozioni, le nostre inquietudini? Soldati e briganti, e in mezzo i contadini, i mezzadri, la vita dei paesi con le sue fatiche e durezze, le locande lungo la strada, il brulichio del mondo delle piccole cose quotidiane. Di questo e altro abbiamo conversato con l’autore del libro, sulla genesi del suo lavoro, la ricerca della documentazione necessaria, le scelte letterarie e linguistiche.

Gli interventi musicali, che come di consueto accompagnano la serata, sono stati curati da Silvano Staffolani e Lorenzo Cantori, già abituati a relazionarsi con lavori letterari attraverso i reading concerto realizzati con Tullio Bugari, dai quali hanno  tratto le tre canzoni per la serata. La prima, tanto per entrare in tema, dedicata al Brigante Piccioni, una canzone del musicista Marco Pietrzela dei Sibylla Morris; la seconda San Martino dedicata ai mezzadri e tratta dal libro L’erba dagli zoccoli; la terza una serenata popolare della nostra tradizione musicale regionale, Tra giorno e notte so’ ventiquattr’ore. Perché nel romanzo presentato da Maximiliano Cimatti c’è ad un certo punto anche una struggente storia d’amore. Struggente perché non salta fuori da qualche improvvisa passione ma cresce lentamente, dentro le storie e i corpi, e dentro gli angoli nascosti del piccolo paese e delle aspirazioni, ed  è tutt’uno con il senso della vita che i personaggi, anche in modi diversi tra loro, cercano.

Ciascuna delle tre canzoni è stata seguita dalla lettura di un brano tratto dal libro, a cura dell’Associazione ARCI Voce, con Laura Santoni, Cristiana Carotti e Nives Maria Piazza, fornendo così ogni volta nuovi spunti alla conversazione. Nel romanzo c’è anche molta natura, boscaglie, monti, sentieri che talvolta soltanto i cavalli sanno ritrovare, luoghi riparati, ritmi diversi del tempo. Viene voglia di andarci e camminarci dentro, in quelle storie che sono le nostre origini e nelle quali l’immaginazione letteraria può aiutarci ancora a immedesimarci.

(Le Marche in Biblioteca 2018 è un’iniziativa organizzata dalle associazioni culturali “Altrovïaggio” e “Licenze Poetiche” con la collaborazione della Biblioteca Planettiana e grazie a un contributo del Comune di Jesi, Assessorato alla Cultura; collaborano all’iniziativa, oltre agli autori e agli editori, anche la Scuola musicale Pergolesi, l’associazione Arci Voce, i musicisti Silvano Staffolani e Lorenzo Cantori).

L’uomo di Elcito, conversazione con l’autore Maximiliano Cimatti

Giovedì 11  ottobre, per il secondo appuntamento di “LE MARCHE IN BIBLIOTECA: i Giovedì Letterari della Planettiana”, incontro con Maximiliano Cimatti, per conversare con lui sul suo romanzo L’uomo di Elcito (editore Meridiano Zero);
durante la serata sono previsti interventi musicali di Silvano Staffolani e Lorenzo Cantori e letture di brani dal libro a cura del gruppo ARCI Voce.
Di seguito, l’intervista a Maximiliano Cimatti di Matteo Tarabelli, pubblicata il 23 gennaio 2018 sul giornale online Centropagina.

ROSORA – Un paese arroccato sulle montagne, ben serbato dall’Appennino, e dunque ignorato dalla modernità, che scorre “arrogante” a valle, lungo i binari in costruzione della tratta Ancona-Roma. Siamo nella seconda metà del 1800 e questo è il luogo dove un bandito fuorilegge si rifugia per sfuggire all’esercito che gli dà la caccia.
“L’uomo di Elcito”. È questo il titolo dell’opera prima di Maximiliano Cimatti, un ravennate che ha mollato la città per vivere nelle colline marchigiane e che, un anno fa, si è persino candidato a sindaco a Rosora.
Un romanzo, pubblicato nel 2017 da Meridiano Zero, in cui il monte San Vicino e la costa fanno da suggestivo e aspro sfondo a un percorso esistenziale e sociale. Dove banditi e tutori della legge si confondono scontrandosi. Dove il progresso diviene regresso semplicemente ribaltando la prospettiva.

Cimatti, qual è la genesi di questo romanzo?
«L’idea è nata appena mi sono trasferito nelle colline marchigiane per un cambio di vita radicale. Ho mollato il lavoro e le abitudini consolidate per venire a vivere in mezzo alla natura con Francesca, la mia compagna, per mettermi a scrivere e per tentare di recuperare l’unica ricchezza vera ma limitata di cui disponiamo tutti: il tempo. Quindi: colline marchigiane come scenario naturale del romanzo. Poi, c’era il mio immaginario, la mia formazione culturale: l’epica dei grandi spazi americani, la letteratura e il cinema della frontiera, il West selvaggio che diventa poi un mondo interiore, e poi i libri di McCarthy, Steinbeck, Conrad, ma anche un romanzo recente e clamoroso come “Il figlio” di Philip Meyer, per citarne alcuni. Da qui, l’obiettivo di trasportare il tutto nella realtà italiana. Il tempo della storia: l’800 post unitario come sfondo storico e politico, anche se la trama ne risente appena. Il 1866 per due favorevoli coincidenze storiche: l’inaugurazione della ferrovia Roma-Ancona e l’epidemia di colera ad Ancona. Poi volevo parlare dei fuorilegge e questo è il filo conduttore. Tutto molto romanzato e piegato alla mia necessità più importante: mostrare la natura complessa degli esseri umani».

Briganti contro Esercito. La rivolta è un crimine in questo romanzo? O una esigenza di vita?
«La disobbedienza è un tema cruciale. Esattamente come la percezione della libertà e della giustizia. I briganti disobbediscono alle leggi del nuovo Stato ma ne costruiscono di nuove, adatte al loro sogno e al loro senso di libertà. Eppure sono criminali. Il soldato Anselmo Toschi e i suoi uomini sono rappresentanti della legge e ubbidiscono per ragioni che a volte non capiscono, ma agiscono per senso del dovere e per portare le ragioni della legge, dell’Unità, del progresso. Sono “giusti”, eppure efferati come criminali. Nel romanzo ho tentato di non dividere i buoni dai cattivi. Ci sono gli uomini, le tenebre della natura umana, ma anche l’amicizia tra i personaggi e la loro umanità. E poi c’è lui, Anselmo Toschi, romagnolo che viene mandato in missione nelle Marche e che dovrà fare i conti con se stesso».

Elcito, invece, cos’è? Una prigione? Un sogno? Il suo percorso di vita?
«Elcito è l’utopia, il sogno di un paese libero, senza padroni, dove i problemi si superano attraverso il rispetto di regole condivise e l’aiuto reciproco. L’asperità del territorio è una specie di anello di congiunzione tra il buio dell’uomo e l’armonia brutale della natura. Un personaggio dice, a un certo punto: “il freddo tiene insieme le persone non meno delle regole”».

E il progresso? È, secondo lei, una ferrovia che corre verso l’orizzonte o un paesino circondato da roccia e boschi dove sognarlo quell’orizzonte?
«Il progresso del libro è la certezza che il mondo va avanti e che porterà la gente da un mare all’altro in poche ore, che curerà la pellagra, che porterà lavoro nei paesi lungo la ferrovia e nelle cave delle colline. Ma il progresso è anche la fine del sogno, l’eterna vittoria del più ricco, la perdita dei valori. Il tema del progresso è quello con maggiori riferimenti autobiografici, a bene vedere. Elcito rappresenta in effetti la scelta di tornare indietro dopo aver tentato di vivere secondo i canoni della società contemporanea (un facile riferimento può essere il rapporto dell’uomo con la tecnologia). Il progresso può diventare, quindi, la scelta del freddo, del poco e del difficile, delle giornate invernali sotto la neve, dell’isolamento. Elcito è un utopistico ritorno alla natura e a uno stato primordiale come risposta all’inadeguatezza di fronte al presente».

C’è anche tanta autobiografia, insomma, in “L’uomo di Elcito”.
«Nel romanzo sono presenti alcuni temi/valori della mia vita: la disobbedienza civile come affermazione di sé, il ritorno a una vita sobria, il senso della giustizia, l’idea che il destino degli uomini sia segnato dall’ambiente in cui nascono».

Classe 1971, Cimatti è autore di racconti apparsi in varie antologie, tra cui La semantica del crimine (Fernandel). Nel 2016 vince il primo premio al concorso letterario “Luciano Pittori” di Castelplanio (AN) per racconti inediti. Oggi tiene lezioni di scrittura per l’agenzia letteraria Scriptorama ed è cofondatore dell’innovativo format letterario fAutori.

 

Alcune recensioni al libro:

 

 

Non avrò parole oggi

Dall’antologia “Poesia di Strada 1998-2017” di Seri editore, con cui giovedì 4 ottobre si è aperta la terza edizione di “Le Marche in Biblioteca”, pubblichiamo qui una delle tre poesie proposte al pubblico nel corso della serata dal gruppo ARCI Voce.

 

 

 

NON AVRÓ PAROLE OGGI
di Fabio Franzin

Siamo in fila, gente da ogni angolo
del pianeta, oltre la porta di questa
agenzia interinale, siamo in coda,
ognuno col suo curriculum in mano,
la speranza fioca. Le addette dietro
il banco ogni tanto sbuffano, volgono
lo sguardo al soffitto come le sante
in estasi nei dipinti del rinascimento.
Non un dio la visione però, ma solo
una processione di poveri cristi che
insistono, pregano, chiedono l’elemosina
di un lavoro che non c’è più, per nessuno,
che non si crea neanche con un miracolo.

Siamo in fila, stanchi di stare lì per niente,
di tornare indietro coi soliti grattacapi.
Fuori è ormai buio, foglie gialle cadono
Dai rami, un vento rabbioso le fa correre
Per l’asfalto, le schiaccia nelle pozzanghere.
Ecco le nostre speranze, ecco dove vanno
A finire. Fra poco il ghiaccio le ghermirà

fra poco sarò a casa dai miei figli, dagli
occhi di mia moglie, e non avrò coraggio
di guardarli, non avrò parole, oggi, per loro.

L’incontro con “Poesia di Strada 1998-2017”

Le Marche in Biblioteca. Ha avuto inizio ieri, giovedì 4, la terza edizione di questi incontri letterari con autori marchigiani che, oramai di consuetudine, ci fanno ritrovare insieme ogni anno alla Biblioteca Planettiana nei giovedì di ottobre.  Il primo dei quattro appuntamenti in calendario quest’anno è stato dedicato alla poesia, con la presentazione dell’antologia Poesia di Strada 1998-2017.

L’incontro si è articolato in due parti. Nella prima, Alessandro Seri, che è anche editore dell’antologia e ne ha firmato l’introduzione, ha raccontato la genesi e lo sviluppo negli anni di questa che non è una semplice raccolta di poesie ma un vero e proprio cammino evolutivo, nato venti anni fa con un premio letterario e un festival di poesia di strada, nel paese di Colmurano – questo il luogo fisico di partenza – letteralmente per diffondere la poesia lungo le strade del paese, vicino alle persone, con le poesie incorniciate e appese sui muri esterni delle case, invitando i passanti e i curiosi che si fermavano a leggere a esprimere direttamente le proprie sensazioni.

Nascere dal cuore stesso del paese non ha significato diluirsi o ritrarsi nel particolare del borgo, al contrario ha costituito la premessa per un respiro più profondo e ampio, che è proprio della poesia. Densità e leggerezza fuse insieme nel raccogliere gli umori del mondo e dare loro forme nuove attraverso l’attenzione alle parole.
Il festival poi è evoluto e cresciuto, ha modificato il proprio iter e si è via via arricchito sempre più di nuove iniziative e partecipanti; ad un certo punto sono stati invitati pittori e artisti grafici a commentare e riproporre all’interno di una tela quelle stesse poesie appese all’inizio lungo i vicoli del paese, e ora riproposte nella nuova dimensione pittorica. Prende così il via una nuovo e ulteriore percorso, a cui hanno contribuito artisti attivi in diversi luoghi del mondo.

Alessandro Seri ha ricordato che nel corso dei venti anni del premio sono stati in totale circa cinquemila gli autori partecipanti, non solo della regione ma di ogni parte d’Italia, e tra loro molti nel frattempo hanno compiuto altrettanti percorsi personali di interesse e rilievo nella produzione poetica nazionale. L’antologia ora presentata ora raccoglie circa un centinaio di poeti, le cui opere sono state premiate o segnalate nelle varie edizioni del premio.

Nella seconda parte della serata la voce è passata direttamente a tre di questi poeti, che hanno letto le loro poesie inserite nell’antologia: Anna Elisa De Gregorio, Alessio Alessandrini e Alessio Ruffoni.

Subito sono state proiettate le foto delle opere della sezione iconografica, che costituisce una selezione delle opere realizzate in questi anni.

In sala erano state esposti alcuni originali delle nuove produzioni,  delle artiste Anna Valeria Ciccotti, Carla Pistola e Laura Vallesi, quadri che incorporano poesie, a commento dell’edizione in corso di “Poesia di strada”, e dunque non presenti nell’antologia. La lettura dei poeti e la visione delle opere ha consentito di assaporare direttamente il respiro internazionale e l’apertura di questo percorso poetico, che con i suoi linguaggi e i suoi temi e le sue sensibilità diventa anche un osservatorio di questa nostra contemporaneità, attraverso uno sguardo che non si limita a registrare ma ne assorbe, per rielaborarlo, il senso sottostante.

Come già abbiamo fatto negli anni precedenti, anche quest’anno la presentazione e conversazione con gli autori e sui libri stata inserita all’interno di una cornice formata da interventi musicali e letture ad alta voce.

Ci hanno accompagnato in questo i giovani Silvia Romualdi e Riccardo Stronati, allievi della scuola Musicale Pergolesi di Jesi, con alcuni motivi di musica classica riproposti con il flauto. Ogni intervento musicale è stato seguito dalla lettura del gruppo Arci Voce, con Cristina Corsini, Luigina Tantucci e Tullio Bugari, che hanno letto rispettivamente le poesie di Lella De Marchi, Barbara Pumhösel e Fabio Franzin.