Factotum, di Charles Bukowski (mercoledì 23 al circolo di lettura)

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Mercoledì 23 marzo alle 21.15 appuntamento con Factotum di Charles Bukowski, per il sesto incontro del circolo di lettura presso la Biblioteca Planettiana di Jesi. La lettura di Factotum è come un salto, nel nostro percorso, sia per gli anni – è del 1975, mentre il precedente Fahrenheit 451 era del 1953 –, sia per i temi, sia per il suo modo di raccontare. Ne parleremo insieme mercoledì prossimo. Di seguito riporto due brevi brani estratti da interviste a Bukowski; nel primo parla del suo rapporto con John Fante, che in quegli anni era stato del tutto dimenticato – “continui a citare Fante, è uno scrittore reale?” chiede a Bukowski il suo editore –,  e nel secondo di come Hollywood uccide gli scrittori. Entrambi i brani li ho trovati in rete in una più ampia raccolta di interviste allo scrittore.

«Dimmi della tua amicizia con John Fante…»
«Da ragazzo, di giorno gironzolavo per le biblioteche e di notte per i bar. Poi ho finito le cose da leggere. Tiravo via i libri dagli scaffali, ancora e ancora. Leggevo solo le prime righe e sentivo la falsità e li rimettevo a posto. Era un vero show dell’orrore. Niente di legato alla vita, perlomeno non alla mia e a quella in strada e a quella della gente che vedevo in strada e a quello che erano costretti a fare e a quello che erano diventati. E un giorno successe che ho tirato fuori un libro di un tizio chiamato Fante. Le righe mi assalirono. Fuoco. Niente stronzate. Non avevo mai sentito parlare di Fante, nessuno parlava di Fante. Era lì e basta. Un libro. Era intitolato Chiedi alla polvere. Non mi piaceva il titolo ma le parole erano semplici e oneste e piene di passione. Cazzo, pensai, quest’uomo sa scrivere! Bene, ho letto tutti i libri che sono riuscito a trovare e ho capito che c’era ancora gente speciale sulla terra. Fu decenni più tardi che citai “Fante” nei miei scritti. Non erano ancora stati pubblicati tutti ma erano stati spediti a John Martin della Black Sparrow Press, e una volta lui mi chiese, credo fosse a telefono, «Continui a citare Fante? È uno scrittore reale?». Gli ho detto che lo era e che avrebbe dovuto leggerlo. Presto l’ho risentito, era eccitatissimo: «Fante è grandioso! Grandioso! Non riesco a crederci! Pubblicherò i suoi libri!». E allora è uscita la serie di Fante per la Black Sparrow. Fante era ancora vivo. Mia moglie mi suggerì che visto era una specie di eroe per me dovevo andarlo a trovare. Era in ospedale, moribondo, cieco e amputato; diabete. Andavamo all’ospedale e una volta a casa, dopo che l’avevano dimesso per un po’ di tempo. Era un piccolo bulldog, coraggioso senza provarci. Ma se ne stava andando. Scrisse ancora un libro in quello stato, dettandolo alla moglie. Black Sparrow l’ha pubblicato. Fu uno scrittore fino alla fine. Mi raccontò anche della sua idea per il prossimo romanzo: una donna che gioca a baseball fino ad arrivare alle grandi squadre. «Vai avanti, John, scrivilo», gli dissi. Ma presto se n’è andato…» (Beat Scene/Transit Magazine, 1994).

«Col cinema com’è andata?»
«Ho sempre considerato Hollywood al di là dei soliti luoghi comuni, come un luogo infernale che ha spolpato e distrutto gli scrittori. Poi fare gli sceneggiatori è una cosa stupida e ridicola e non ha niente a che vedere con la letteratura. lo sono autore di poemi, di poesie, di racconti brevi, non me ne frega un cazzo delle sceneggiature, non ho bisogno di vendermi, ho soldi a sufficienza per fare quello che mi pare, non devo certo andare a farmi sbattere a Hollywood per rimediare fica fresca di Beverly Hills, donne pazze e disperate si possono conoscere comunque, anche frequentando diverse compagnie. Scrivere sceneggiature è un atto insulso, molti scrittori si sono fatti intrappolare perdendosi. Guarda quello che è successo a Scott Filzgerald, si è fatto ammazzare da Hollywood, si è fottuto da solo bevendo e facendosi uccidere dall’alcool.» (l’Unità, 1989).

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