“Il mondo nuovo” di Aldous Huxley

il-mondo-nuovo1TitoloIl mondo nuovo – Ritorno al mondo nuovo
Autore: Aldous Huxley
Casa editrice: Mondadori

È uno dei libri da cui abbiamo tratto le letture la sera del 27 gennaio, nella serata “Al ROGO – Profezia & memoria“. Aldous Huxley scrisse “Il mondo nuovo” nel 1931. È una favola distopica, il contrario dell’utopia, descrive una società futura come non vorremmo che diventasse. La scrive poco prima dell’ascesa al potere di Hitler e del consolidamento in Unione Sovietica del terrore staliniano.
Sembra quasi una profezia ma il mondo immaginato da Huxley va anche oltre; nella sua favola il castigo è raro e di solito è mite: il governo realizza il suo controllo, che è ancora più perfetto ed efficace di quello basato sul terrore, ricorrendo a varie forme di manipolazione pressoché non violenta, fisica e psicologica, e utilizzando incentivi e premi.
E’ così che ottiene il comportamento desiderato, affinché ciascuno si senta pienamente felice facendo ciò che è utile al sistema, senza desiderare altro. Anzi, aborrendo di fare altro.
In questo mondo, in cui non si scampa dalla felicità e nessuno è mai solo, solo pochi individui potranno avere accesso ai libri, e solo ai libri che diffondano questa cultura della felicità di massa e non quelli che pongono dubbi.
Le altre persone dovranno odiarli i libri, tutti i libri, starne alla larga, anche perché, oltretutto, scrive Huxley, nella sua favola, un lettore seduto in poltrona con un bel libro, non consuma nulla, non è un consumatore e non sostiene lo sviluppo. Un certo tipo di sviluppo. È interessante vedere sullo sfondo come oggi, nel nostro paese, il numero dei lettori diminuisca ogni anno.
Nel 1958 Huxley ritorno sull’argomento, questa volta con un saggio, “Ritorno al mondo nuovo”; essendo libri di molti anni fa è possibile trovarne anche delle versioni in file pdf, in rete. Di seguito il brano estratto per la lettura la sera del 27 gennaio.
Il Direttore aprì la porta. Si trovarono in una camera nuda e spaziosa, molto chiara e soleggiata: poiché l’intera parete esposta a 
sud formava un’unica finestra. Una mezza dozzina di bambinaie, vestite coi calzoni e la giacca della bianca uniforme regolamentare di tela artificiale, coi capelli nascosti asetticamente sotto berretti
 bianchi, erano occupate a disporre dei vasi di rose in lunga fila sul pavimento. Grandi vasi, tutti pieni di fiori. Migliaia di petali, completamente aperti e sericamente morbidi, come le guance di innumerevoli cherubini, ma di cherubini che, in quella splendente luce, non erano esclusivamente rosei ed Ariani, ma anche luminosamente Cinesi; anche Messicani, anche apoplettici per il troppo soffiare nelle trombe celesti, anche pallidi come la morte, pallidi del candore postumo del marmo. Le bambinaie si irrigidirono sull’attenti.

«Disponete i libri» diss’egli brevemente.
 In silenzio le bambinaie obbedirono. Fra i vasi di rose furono distribuiti in bell’ordine i libri, ciascuno su un’immagine gaiamente colorata di quadrupede, di pesce o di uccello.

«Ora portate i bambini.»
 Uscirono in fretta dalla stanza e rientrarono dopo pochi minuti spingendo ciascuna una specie di scaffale su ruote i cui quattro ripiani di rete metallica erano carichi di bambini di otto mesi, tutti esattamente precisi (un Gruppo Bokanovsky, era chiaro) e tutti (poiché appartenevano alla casta Delta) vestiti di kaki.
 «Metteteli in terra.»
 I bambini furono scaricati.
 «Adesso voltateli in modo che possano vedere i fiori e i libri.»
 Appena voltati, i bambini tacquero immediatamente: poi cominciarono a strisciare verso quelle masse di colori brillanti, quelle forme così
 allegre e vivaci sulle pagine bianche. Mentre si avvicinavano, il sole
 uscì da un momentaneo eclissi dietro una nube. Le rose si infiammarono come per effetto d’una improvvisa passione interna; un’energia nuova e profonda parve diffondersi sulle brillanti pagine dei libri. Dalle
 file dei bambini striscianti uscivano piccoli gridi di eccitazione, gorgoglii e cinguettii di piacere.

Il Direttore si fregò le mani. «Benissimo!» disse. «Sembra quasi che 
sia stato fatto apposta.»
 I più veloci erano già giunti alla meta. Le manine si allungarono incerte, toccarono, afferrarono, sfogliando le rose transfigurate, sgualcendo le pagine illustrate dei libri. Il Direttore attese che
 tutti fossero allegramente occupati. Poi disse: «State bene attenti».
 E alzando la mano, diede il segnale. 
La Bambinaia in Capo, che stava in piedi vicino a un quadro di comando, abbassò una leva.
 Vi fu una violenta esplosione. Acuta, sempre più acuta, fischiò una sirena. I campanelli d’allarme squillarono disperatamente. 
I bambini sussultarono, urlarono; i loro visi erano alterati dal
 terrore.
 «E ora,» gridò il Direttore (poiché il rumore era assordante), «ora procediamo a rafforzare l’effetto della lezione mediante una leggera scossa elettrica.»
 Agitò di nuovo la mano e la Bambinaia in Capo abbassò una seconda leva. Di colpo i gridi dei bambini mutarono di tono. C’era qualcosa di disperato, di folle quasi, negli urli acuti e spasmodici che essi ora emettevano. I loro piccoli corpi si contraevano e si irrigidivano; le
 loro membra si agitavano a scatti come sotto l’azione di fili invisibili. 
«Noi possiamo far passare la corrente elettrica su tutta questa zona
 del pavimento» gridò il Direttore a guisa di spiegazione. «Ma basta ora»; e fece un cenno alla Bambinaia.

Le esplosioni cessarono, le suonerie si quietarono, l’urlo delle sirene scese di tono in tono sino a smorzarsi. I corpi, che si agitavano, e si irrigidivano, si distesero, e ciò che era stato singhiozzo e urlo di bambini impazziti si allargò di nuovo in urla normali di terrore ordinario. 
«Offrite loro ancora i fiori e i libri.»
  Le bambinaie obbedirono; ma, all’avvicinarsi delle rose, alla semplice vista di quelle immagini gaiamente colorate del micio, del chicchirichì, della pecora che fa bee bee, i bambini si tirarono indietro terrorizzati; l’intensità delle loro urla aumentò improvvisamente.

«Osservate» disse il Direttore trionfante, osservate.» 
I libri e il fracasso, i fiori e le scosse elettriche: già nella mente 
infantile queste coppie erano unite in modo compromettente; e dopo duecento ripetizioni della stessa o d’altre simili lezioni, sarebbero indissolubilmente fuse. Ciò che l’uomo ha unito, la natura è impotente 
a separare. 
«Essi cresceranno con ciò che gli psicologi usavano chiamare un odio ‘istintivo’ dei libri e dei fiori. I loro riflessi sono 
inalterabilmente condizionati. Staranno lontano dai libri e dalla botanica per tutta la vita.» Il Direttore si rivolse alle bambinaie: «Portateli via».

I bambini vestiti di kaki, sempre urlanti, furono caricati sui loro 
scaffali a ruote e spinti fuori, lasciandosi dietro un odore di latte 
acido e un silenzio molto gradito.
 Uno degli studenti alzò la mano; e benché capisse molto bene perché non si poteva permettere alle caste inferiori di sprecare il tempo 
della Comunità coi libri, e che c’era sempre il rischio che essi leggessero qualcosa capace di alterare in modo non desiderabile uno dei loro riflessi, tuttavia… ebbene, non riusciva a comprendere la faccenda dei fiori. Perché darsi tanta pena per rendere psicologicamente impossibile ai Delta l’amore dei fiori?

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