Letture di rifugiati (giornata mondiale del rifugiato)

Il 20 giugno è la giornata mondiale del rifugiato. Un tema che rischia di perdersi in mezzo a tante altre importanti giornate mondiali dedicate a tanti e troppi problemi, o in mezzo a tanti anniversari ciroQsimbolici che si susseguono, ma che invece mio avviso dovrebbe spiccare sugli altri, non per una sorta di graduatoria che possa assegnare all’argomento un indice di gradimento più alto, come ci stiamo tutti abituando a fare in ogni momento della nostra giornata, in questa era dominata dal televoto, ma perché rappresenta una specie di nodo estremo della società globale attuale, nel quale si concentrano le nostre contraddizioni, di cui stiamo perdendo la consapevolezza della ragione. La problematica dei rifugiati, trasformata prima in una permanente emergenza  al pari di un’accidentale danno collaterale, ha assunto oramai i caratteri di un’ideologia su cui giocare gli scontri politici e mobilitare le coscienze, in modo populistico o anche altrettanto ideologico seppure con pretese antagoniste; occorre recuperare la dimensione sociologica del fenomeno, leggervi correttamente il dramma di lacerazione esplosiva di cui è simbolo, e legare a questo nodo specifico una analisi della società attuale e della crisi dei modelli di rappresentanza che ci stanno spiazzando.
Di seguito, e senza nessuna pretesa di completezza o di coerenza – l’argomento è così vasto da perdersi – propongo alcuni spunti di lettura, limitandomi ad alcuni dei pochi libri che personalmente, negli ultimi anni, ho avuto occasione di leggere o di consultare.

2821830-GattiBILAL_300-280x431-1Bilal,  Il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi”, di Fabrizio Gatti (Rizzoli) “Un viaggio nell’impero di chi si arricchisce commerciando carne umana”, è scritto in alcune recensioni: è un reportage realizzato viaggiando attraverso il Sahara in mezzo a tanti ragazzi africani in fuga, e popi mimetizzato e “clandestino” all’interno del centro di raccolta di Lampedusa, come funzionava allora, nell’era della politica dei respingimenti: “approdare vivi a Lampedusa è come sopravvivere a un incidente aereo”, scrive l’autore. In rete e su youtube sono facilmente reperibili diversi filmati; tra questi segnalo “Sulla via di Agadez”, larotta dell’Uranio e del clandestini. Nei tanti racconti contenuti nel libro, mi ha colpito un momento di dedilcata poesia, mentre stanno viaggiando stipati su un camion: s’è appena fatta note e un ragazzo che sogna di arrivare in Germania, guarda la bellezza  delle stelle e scandisce qualcosa di insolito: “Attimo fermati, sei bello”, citando il Faust di Goethe.

copertina Il mare di mezzo4R.indd“Il mare di mezzo” di Gabriele del Grande (Infinito edizioni), di cui sono già uscite quattro ristampe; il libro, che segue ed è seguito a sua volta da altri libri sull’argomento, è il risultato di tre anni di inchieste, raccogliendo numerose testimonianze e storie che accadevano nel Mediterraneo quando ancora era  “un mare di mezzo” delle cui tragedie non si parlava, – c’erano i respingimenti – e non era sotto l’attenzione mediatica di quando, dopo il naufragio del 3 ottobre è diventato il mare nostrum. Alcune testimonianze furono raccolte direttamente dentro le carceri tunisine, da dove poi Del Grande fu anche espulso; come in Gatti, anche qui ilreportage è qualcosa di più del reportage, è trovarsi al centro di una fitta rete di contatti telefonici, esserne anche riferimento, che coloro che fuggono si scambiano tra loro, per passarsi informazioni, dare notizia, registrare purtroppo anche chi non ce la fa. “A noi scrittori – dice Del Grande – non restano che la parole per sovvertire la realtà. Io ho scelto le parole del mio amato Mediterraneo, il Mare di Mezzo. Ho scelto le storie dei padri di Annaba e quelle dei padrini di Tunisi. Le storie delle diaspore di due ex colonie italiane come l’Eritrea e {C}{C}{C}{C}la Somalia negli anni dei respingimenti in Libia e quelle dei pescatori del Canale di Sicilia. Le storie degli italianitravirgolette che l’Italia manda via e quelle delle tante Italie nate senza fare rumore AilatiditaliA, nelle campagne marocchine, sul delta del Nilo e nei villaggi del Burkina Faso.” Del Grande ha collaborato anche al film di Andrea Segre “Come un uomo sulla terra” e ha realizzato il documentario “Io sto con la sposa”.

th_1dd1d6fe940b0becc9a0299f6069644e_sullapelleviva_cop94“Sulla pelle viva”, autori vari (Brigate di solidarietà attiva, Devi Sacchetto, Gianluca Nigro, Mimmo Perrotta, Yvan Sagnet), Derive Approdi editore. Questo è un libro più recente, siamo già dopo “la primavera araba”, o, se vogliamo, “l’emergenza Nord Africa”. Il libro racconta, e riflette a caldo, già nel durante e subito dopo, sulla vicenda dello sciopero dei braccianti africani impiegati nella raccolta dei cocomeri a Nardò (Lecce); una realtà minore e decentrata rispetto alle grandi concentrazioni di raccoglitori di pomodori nel foggiano, documentate dall’interno anche da Fabrizio Gatti. Nel recente convegno a Lecce “Inchiesta sulla miseria”, Yvan Sagnet citando dati della Flai Cgil stimava in circa un centinaio i campi “clandestini” o ghetti dove vengono concentrati i braccianti, circa 40 mila durante la stagione, di cui la maggioranza impiegati in nero. È stata la lettura di questo libro, in particolare, e gli interventi tutti interessanti ascoltati in quel convegno a Lecce, che mi hanno stimolato a spogliare l’evento “mitico” di uno sciopero – fenomeno comunque assai raro in queste situazioni – dei possibili connotati eroici per comprenderne invece i drammi più concreti, umani e quotidiani, e anche i paradossi – e quindi anche i limiti e i meccanismi limitanti entro cui sono costrette le azioni di ribellione, che in queste strettoie non possono escludere nemmeno possibili effetti controproducenti nell’immediato, oppure che raggiungono conquiste che poi in realtà sono ancora tutte da conquistare, nel senso di applicare -, richiamando noi stessi alla necessità di superare le indignazioni non impegnative da click virtuale o da telefoto, e porsi piuttosto il problema di un’analisi più completa e consapevole per individuare azioni più incisive, di cui scrivevo in premessa.

11Nel mare ci sono i coccodrilli, di Fabio Geda, storia vera  di Enaiatollah Akbari (Feltrinelli), fuggito a dieci anni dall’Afghanistan per arrivare, a seguito di un lunghissimo e drammatico viaggio, in Italia. La storia c’è ed è interessante, anche se il libro ha ricevuto diverse critiche per le scelte e la resa narrativa. Lo cito, perché mi è capitato di leggerlo nello steso periodo in cui avevo conosciuto un ragazzo afghano di diciotto anni, per l’esattezza di etnia Hazara e quindi ancora più perseguitati dagli altri,  che aveva impiegato dieci anni per arrivare in Italia seguendo lo stesso identico percorso, e partito da bambino dopo che la madre lo aveva abbandonato – per il suo bene e consentirgli di mettersi in salvo – a Peshavar. Nel libro di Geda si incontra un percorso simile, che è il “classico” percorso di tanti afghani in fuga da anni, anche loro nel silenzio. Posso citare anche un vecchio film del 2001, “Cose di questo mondo” di Michael Winterbottom. L’occasione in cui conobbi questo ragazzo hazara fu offerta dal festival fotografico Artfoto, nel quale si organizzò un incontro sulle fughe dei richiedenti asilo, nel quale un’amica accompagnava questo ragazzo hazara e io un rifugiato eritreo che aveva impiegato due anni di viaggio, tra deserto, mediterraneo, e anche attraversamento dell’Italia prima di giungere qui. E quindi, in tutto questo ambito di coincidenze, ho appezzato anche il libro di Geda, scritto con un linguaggio “leggero” – forse per il grande pubblico, come qualcuno critica – e che non rimarca le drammatiche condizioni del “viaggiatore”. Per la cronaca, quella sera a cena insieme, il ragazzo Hazara era eccitatissimo, perché aveva da poco ricevuto, dopo dieci anni, una lettera dal padre emigrato in Australia e in quei giorni stavano iniziando a progettare il ricongiungimento di tutta la famiglia in Australia, cosa che poi si è realizzata alcuni mesi dopo.

cop.aspx“Morte agli italiani!”, di Enzo Barnabà (Infinito edizioni). Qui salto ad un libro storico, che racconta di fatti oramai più che dimenticati, forse rimossi, che risalgono ad oltre un secolo fa: una brutta storia di caccia all’italiano nel sud della Francia, accaduti ad Aigues Mortes, una località che ho avuto anche occasione di visitare, suggestiva, un porto sul mediterraneo da cui nel medio evo partirono più di una crociata – le ironie e i paradossi della Storia – e che si trova a due passi da Saintes Maries de la Mer – le barche pitturate da van Gogh – dove ogni anno alla fine di maggio, si radunano tutti gli “zingari” d’Europa per celebrare una bellissima e suggestiva festa. Ad Aigues Mortes si scatenò la caccia all’italiano: il libro è interessante non solo per contrapporre argomenti al crescente razzismo che ci sta invadendo, ma anche perché ripartire dalle proprie memorie è essenziale per fare quel lavoro di analisi e di consapevolezza di cui scrivevo sopra. Le grandi migrazioni italiani, insieme al brigantaggio e alle grandi lotte contadine e alla nascita del socialismo,  fanno parte della grandi rimozioni della nostra storia, e chi non ha memoria ha difficoltà di rapporto anche con il presente.

È molto vasta la letteratura sull’argomento, e soprattutto varia; sarebbe il caso di fare un censimento critico; potrei qui citarne ancora altri, sempre a scopo di stimolo alla lettura e non altro, dalle varie emergenze degli ultimi 25 anni, a partire da quella albanese del 1991, come il libro “Naufragi albanesi”, del 1996, scritto a più mani da Luigi Perrone, Kosta Barjaba e Georges Lapassade, o anche il mio e di Giacomo Scattolini, Izbjeglice/Rifugiati, storie di gente della ex-Jugoslavia, del 1999, in questi giorni di nuovo disponibile in formato ebook, su questo stesso blog.
Oppure alcuni classici, oramai, della sociologia delle migrazioni, come “Gli immigrati in Italia” di M. Maciotti e E. Pugliese, la cui prima edizione è del 1991, a cui seguirono nuove edizioni aggiornate e ulteriori lavori da parte dei due autori. Cito volutamente queste edizioni che appaiono lontane, giusto per ricordare che i fenomeni di cui parliamo non sono nati adesso, come dal niente.
O ancora, assai ricca e interessante è anche la vasta, oramai, letteratura (definita “migrante” ma che mi piace di più chiamarla “nuova letteratura italiana” scritta da autori originari di altri paesi) prodotta in Italia a partire dal 1989, l’anno dell’uccisione di Jerry Essan Masslo. Anche allora ci fu uno sciopero, dei braccianti che raccoglievano pomodori, a Villa Literno, e poi in ottobre a Roma la prima manifestazione europea contro il razzismo, ventisei anni fa. Uno dei primi libri a uscire fu Io venditore di elefanti di Pap Khouma. In particolare mi aveva colpito a so tempo, il continuo tentativo di Pap Khoma in quel suo peregrinare sulle spiagge italiane, di “rendersi invisibile”, cosa per un venditore diventa un vero ossimoro
Restando alla cosiddetta letteratura migrante, ma non solo letteratura, è doveroso ricordare l’ottimo lavoro svolto in questi anni da alcune riviste on line, tra cui El Ghibli, diretta da Pap Khouma, e Sagarana, diretta da Julio Monteiro Martins, di recente scomparso.
Si parte da uno sciopero dei braccianti della raccolta del pomodoro, nel 1989, e si attraversa un altro sciopero più recente (“Sulla pelle viva”); in mezzo c’è il deserto e il mare, le fughe e i ghetti, i nodi di un intero mondo da dipanare.

Nella foto in alto, un bracciante in un momento di riposo negli alloggi “tipici” dei campi; la foto di Ciro Quaranta è stata utilizzata nella locandina del convegno Inchiesta sulla miseria, citato nel testo.

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