Buon Primo Maggio

 Un testo di Ezio Bartocci e una poesia di Maria Lenti  dedicati al significato che questa giornata ha sempre avuto per i lavoratori: “Salutiamo con giubilo questo giorno solenne…”

Buon Primo Maggio
di Ezio Bartocci

Il manifesto del Primo Maggio 1906, semplicissimo nella composizione, è un foglio interessante per il contenuto sociale. E’ una prova di stampa tipografica su carta rossa, sottile; un documento locale ormai unico.
Le tipografie delle piccole città, tranne rare eccezioni, non hanno avuto impianti litografici né richieste tali da giustificarli. Per stampare manifesti economici, come quello qui riprodotto, fino a verso la metà del 900 si sono adoperati generalmente massicci torchi in ghisa piantati su supporti a zampa di leone, o attrezzi simili rimasti quasi invariati da secoli.
Il tipografo rullava l’inchiostro nero di volta in volta sui caratteri mobili composti a mano, tirando foglio dopo foglio fino ad arrivare a due o tre decine di copie, stante la disponibilità degli spazi esterni autorizzati per le affissioni, e dei tabelloni dei circoli.
Non conosco la data d’istituzione del circolo jesino né so dire chi redasse il foglio; so però che la Federazione Giovanile Socialista Italiana era nata a Firenze nel 1903.
L’associazione politica locale composta da studenti e lavoratori antimilitaristi, anticapitalisti, anticlericali probabilmente è successiva di un anno o due.
Il manifesto invita i lavoratori italiani delle officine e dei campi a festeggiare il Primo Maggio e a protestare, in questo giorno più d’ogni altro, contro la borghesia affamatrice ricordando la giornata della solidarietà proletaria internazionale proclamata durante il Congresso Socialista Internazionale di Parigi del 1889.
Chiamando tutti a unirsi nella lotta di classe per liberare il paese dalla spada, dal tridente* e dal capitale, il manifesto, in attesa di tempi più maturi, mediante il linguaggio tipico d’allora invitava a imitare i compagni francesi impegnati nella lotta per le otto ore lavorative.
Quando sono andato a ritirare il manifesto e il file dal fotografo, ripercorrendo a memoria un po’ di storia sindacale e operaia ho commentato insieme a lui qualche frase pensando alla trasformazione della comunicazione, dei suoi strumenti, del lavoro stesso. Mio padre trascorreva nella sua officina tantissime ore – mi ha detto- lavorava all’occorrenza anche il sabato. La sera quando rincasava odorava di ferro. Molti lavoratori e lavoratrici di lavori pregnanti sapevano del loro mestiere restando diversamente segnati, non solo per gli infortuni.

Più recentemente, nel 1988, fui chiamato a collaborare a una iniziativa per festeggiare il Primo Maggio in maniera diversa dal solito.
L’amministrazione comunale d’allora volle rendere omaggio alla principale attività manifatturiera delle donne jesine e alle ultime superstiti impegnate per decenni nelle filande.
La mostra intitolata La Seta fu accompagnata da un catalogo per il quale scelsi insieme alle immagini il formato dell’album. Da qui il sottotitolo Album del Lavoro e l’intenzione di ripetere annualmente la formula, dedicando rassegna e Album a un settore lavorativo diverso, per far conoscere le caratteristiche, la storia, le problematiche d’ognuno.
Molto significative le testimonianze delle vecchie lavoratrici, da anni in pensione, raccolte dalla loro voce: le condizioni non erano certo le migliori, seppure le filande erano ampie, solide, a mattoni, con alte ciminiere… Le filandaie, ossia le sedarole, com’erano chiamate qui, umiliandosi per necessità, pagando pegno ma non arrendendosi allo sfruttamento, hanno contribuito a migliorare progressivamente la coscienza sindacale, le condizioni generali di lavoro, il rispetto individuale e quello più generale di tanti sconosciuti dipendenti.
Purtroppo, nonostante le buone intenzioni dichiarate, a quella prima iniziativa non ne sono seguite altre. Il primo Album del lavoro è rimasto unico, ma non perché sia stato superato il problema dello sfruttamento del lavoro, qui e in ogni parte del mondo.

* Nota. Il Tricorno era il tradizionale cappello a tre punte usato dagli ecclesiastici.

Copertina del primo album del lavoro La Seta

Colomba

L’ho vista dietro ai vetri
– aperto a tutto campo
il campo delle ali –

alitava la colomba
un vento di qualche bel tempo.

Maria Lenti
(dalla raccolta Ai piedi del faro, 2016)

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *