Ma cosa ti ha spaventato in questo discorso sul riso?

Alcune foto da un viaggio di appena lo scorso anno in uno dei luoghi che ispirò Eco per il suo romanzo “Il nome della rosa”, la Sagra di San Michele, all’inizio della bella Valsusa sempre al centro della cronaca e della nostra immaginazione, e il brano dove s’immagina la riscoperta del libro perduto di Aristotele e si parla di Commedia e del riso, come l’ironia di Eco che da inizio al suo racconto (“Era una bella mattina di fine novembre…”) richiamando l’inizio dei romanzi dello scrittore Snoopy: “Era una notte buia e tempestosa…”

5 4 3 2 16“Voglio vedere il libro che tu hai sottratto laggiù, dopo averlo letto, perché non volevi che altri lo leggesse, e che hai nascosto qui, proteggendolo in modo accorto, e che non hai distrutto perché un uomo come te non distrugge un libro, ma soltanto lo custodisce e provvede a che nessuno lo tocchi. Voglio vedere il secondo libro della Poetica di Aristotele, quello che tutti ritenevano perduto o mai scritto, e di cui tu custodisci forse l’unica copia.”

“Quale magnifico bibliotecario saresti stato, Guglielmo,” disse Jorge, con un tono insieme di ammirazione e rammarico. ”Così sai proprio tutto. Vieni, credo ci sia uno sgabello dalla tua parte del tavolo. Siedi, ecco il tuo premio.”
Guglielmo si sedette e posò il lume, che gli avevo passato, illuminando dal basso il volto di Jorge. Il vecchio prese un volume che aveva davanti e glielo passò. Io riconobbi la rilegatura, era quello che avevo aperto nell’ospedale, credendolo un manoscritto arabo.

“Leggi, allora, sfoglia, Guglielmo,” disse Jorge. ”Hai vinto.”
Guglielmo guardò il volume, ma non lo toccò. Trasse dal saio un paio di guanti, non i suoi con la punta delle dita scoperte, ma quelli che indossava Severino quando lo avevamo trovato morto. Aprì lentamente la rilegatura consunta e fragile. Io mi avvicinai e mi chinai sopra la sua spalla. Jorge col suo udito finissimo udì il rumore che facevo. Disse: “Ci sei anche tu, ragazzo? Lo farò vedere anche a te… dopo.”
(… ) Guglielmo lesse le prime righe, prima in greco, poi traducendo in latino e continuando poi in questa lingua, in modo che anch’io potei apprendere come iniziava il libro fatale.

«Nel primo libro abbiamo trattato della tragedia e di come essa suscitando pietà e paura produca la purificazione di tali sentimenti. Come avevamo promesso, trattiamo ora della commedia (nonché della satira e del mimo) e di come suscitando il piacere del ridicolo essa pervenga alla purificazione di tale passione. Di quanto tale passione sia degna di considerazione abbiamo già detto nel libro sull’anima, in quanto – solo tra tutti gli animali – l’uomo è capace di ridere. Definiremo dunque di quale tipo di azioni sia mimesi la commedia, quindi esamineremo i modi in cui la commedia suscita il riso, e questi modi sono i fatti e l’eloquio. Mostreremo come il ridicolo dei fatti nasca dalla assimilazione del migliore al peggiore e viceversa, dal sorprendere ingannando, dall’impossibile e dalla violazione delle leggi di natura, dall’irrilevante e dall’inconseguente, dall’abbassamento dei personaggi, dall’uso delle pantomime buffonesche e volgari, dalla disarmonia, dalla scelta delle cose meno degne. Mostreremo quindi come il ridicolo dell’eloquio nasca dagli equivoci tra parole simili per cose diverse e diverse per cose simili, dalla garrulità e dalla ripetizione, dai giochi di parole, dai diminutivi, dagli errori di pronuncia e dai barbarismi…»

(…) “Ma ora dimmi,” stava dicendo Guglielmo,”perché? Perché hai voluto proteggere questo libro più di tanti altri? Perché nascondevi, ma non a prezzo del delitto, trattati di negromanzia, pagine in cui si bestemmiava, forse, il nome di Dio, ma per queste pagine hai dannato i tuoi fratelli e hai dannato te stesso? Ci sono tanti altri libri che parlano della commedia, tanti altri ancora che contengono l’elogio del riso. Perché questo ti incuteva tanto spavento?”

“Perché era del Filosofo. Ogni libro di quell’uomo ha distrutto una parte della sapienza che la cristianità aveva accumulato lungo i secoli. I padri avevano detto ciò che occorreva sapere sulla potenza del Verbo, ed è bastato che Boezio commentasse il Filosofo perché il mistero divino del Verbo si trasformasse nella parodia umana delle categorie e del sillogismo. Il libro del Genesi dice quello che bisogna sapere sulla composizione del cosmo, ed è bastato che si riscoprissero i libri fisici del Filosofo, perché l’universo fosse ripensato in termini di materia sorda e viscida, e perché l’arabo Averroè quasi convincesse tutti della eternità del mondo.

(…) Ogni parola del Filosofo, su cui ormai giurano anche i santi e i pontefici, ha capovolto l’immagine del mondo. Ma egli non era giunto a capovolgere l’immagine di Dio. Se questo libro diventasse… fosse diventato materia di aperta interpretazione, avremmo varcato l’ultimo limite.”
“Ma cosa ti ha spaventato in questo discorso sul riso? Non elimini il riso eliminando questo libro.”

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