di Giacomo Leopardi
“L’Accademia dei Sillografi (…) ha tolto a considerare diligentemente le qualità e l’indole del nostro tempo, e dopo lungo e maturo esame si è risoluta di poterlo chiamare l’età delle macchine, non solo perché gli uomini di oggidì procedono e vivono forse più meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo numero delle macchine inventate di fresco ed accomodate o che si vanno tutto giorno trovando ed accomodando a tanti e così vari esercizi, che oramai non gli uomini ma le macchine, si può dire, trattano le cose umane e fanno le opere della vita…”
La quarta operetta racconta con ironia del “bando di un concorso per la costruzione di tre macchine, in grado di realizzare quello che i rapporti degli uomini e l’invito dei filosofi non hanno potuto realizzare – l’amico ideale, l’uomo virtuoso, la donna ideale” e della “fiducia che lo sorregge: l’estensione delle macchine alla lingua dello spirito, alla produzione dei sentimenti, il progetto insomma di un’umanità sottratta ai negozi della vita più che si possa” (A. Prete).
di Giacomo Leopardi
Moda: “Io sono la Moda, tua sorella.”
Morte: “Mia sorella?”
Moda: “Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducità?”
Morte: “Che m’ho a ricordare io che sono nemica capitale della memoria.”
Moda: “Ma io me ne ricordo bene; e so che l’una e l’altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù, benché tu vadi a questo effetto per una strada e io per un’altra.”
Sul dialogo tra la Morte e la Moda, che si dice sua sorella, Antonio Prete ha scritto: “Il corpo dell’uomo, su cui l’una e l’altra agiscono, le rende prossime, ma il corpo è anche il vero soggetto che, fuori di scena, muove il dialogo. (…) La Moda lavora per la Morte nel senso che ha realizzato la morte, non il suo sapere o il suo desiderio, ma la civiltà come morte, come produzione di morte, come assenza di movimento, di critica, d’immaginazione…”.
di Giacomo Leopardi
“Dietro i gesti di Ercole, sta Leopardi, il quale si prende gioco della grande poesia e della sua stessa poesia sublime, le Canzoni.” – Pietro Citati
Il Dialogo d’Ercole e di Atlante fa parte del gruppo di operette che Antonio Prete ha definito “cosmicomiche” e in cui Leopardi non è “pretendente della verità, ma soltanto giullare, soltanto poeta”. Mentre i due protagonisti si passano la terra come fosse un pallone nel breve Dialogo, “lo scherzo procede per allusioni e rinvii ai temi delle altre operette: il sonno degli uomini che paion morti, dal momento che è caduto, con la restaurazione, ogni movimento di passioni e di azioni, la vanità miserevole della centralità dell’uomo, l’insignificanza della terra nell’universo”.
di Giacomo Leopardi
“Libro dei sogni poetici, d’invenzione e di capricci malinconici”
Il 12 marzo del 1826 Giacomo Leopardi scriveva all’editore Stella: “In quel manoscritto consiste, si può dire, il frutto della mia vita finora passata, e io l’ho più caro dei miei occhi”. Le Operette morali, scrive Antonio Prete, “come irridono, nel titolo, all’idea di opera, così si sottraggono agli statuti di un qualsivoglia genere”, e ancora “Sui modi del comico…trascorre l’onda di un pensiero tragico”, mentre per Paolo Ruffilli sono il “il testo limite della nostra letteratura non soltanto ottocentesca: luogo di coincidenza di poesia e di prosa, di fantasia e di ragionamento, di invenzione e di lucida analisi del reale”. Classificato come proibito al tempo sia dalla censura civile che ecclesiastica, tanto da dover essere confinato, nella stessa biblioteca di casa Leopardi, sullo scaffale dei Libri proibiti (tutt’ora “protetto” da una grata), viene composto quando il poeta marchigiano “ha già vissuto, nella lingua della poesia e dell’interrogazione teoretica, l’esperienza di un pensiero che ama i confini, le sfide della conoscenza, le domande ultime, e non si acquieta in nessuna risposta rassicurante” (A. Prete). Pietro Citati ha scritto: “Non ci sono formule e definizioni capaci di contenere un libro vastissimo come le Operette morali”, che va dalla critica della restaurazione, di ogni forma di restaurazione e di conformismo, all’indagine sulla natura, sulla sua prossimità e indifferenza, dallo sguardo sulla materia, sul suo circuito perpetuo di produzione e distruzione, al pensiero della finitudine, dell’irreversibile, del limite.