Circolo di lettura

Ritorno ad Haifa (al circolo di lettura il 14 dicembre)

Mercoledì 14 dicembre secondo appuntamento con “Stuzzichiamo la lettura”; il libro in programma è Ritorno ad Haifa dello scrittore palestinese Ghassan Khanafani.  Proponiamo qui un articolo uscito qualche tempo fa da Osservatorio Iraq e firmato da Chiara Comito, dove si parla del romanzo di Khanafani e del film realizzato di recente dal regista iracheno Kassem Hawal.

Ritorno ad Haifa. Il dolore della perdita di un mondo
(articolo di Chiara Comito, pubblicato dalla testata on line Osservatorio Iraq in data 08 Giugno 2014)

ritorno_a_haifaIl film di Kassem Hawal tratto dal romanzo di Ghassan Khanafani racconta la tragedia degli abitanti palestinesi di Haifa, costretti a lasciare la propria città nel 1948. Il confronto con il dolore degli ebrei europei sfuggiti alla Shoah misura una distanza ancora impossibile da colmare.

“Tutto è vergognoso, Safiya”, commenta tristemente il palestinese Said a sua moglie nel film “Ritorno ad Haifa”, proiettato a Roma lo scorso 5 giugno presso la Centrale Montecatini. Tutto è diventato vergognoso da quando, nel maggio del 1948, è nato lo Stato di Israele e centinaia di migliaia di palestinesi sono stati evacuati con la forza dalle loro case per far posto ai nuovi abitanti.
Profughi in terra straniera o rifugiati nella loro stessa terra: le penose peregrinazioni dei palestinesi ai confini di questa Terra sono state raccontate con dolore e forza dalla penna di scrittori e poeti, arabi e palestinesi.

E dal cinema arabo: “Ritorno ad Haifa”, diretto dal regista iracheno Kassem Hawal (n. 1940), è il film tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore palestinese Ghassan Kanafani (1936–1972), lo stesso autore di “Uomini sotto il sole”, pietra miliare della letteratura araba contemporanea.

“Ritorno ad Haifa” non è l’opera migliore di Kanafani dal punto di vista stilistico, ha sottolineato dopo la proiezione del film Wasim Dahmash, traduttore e docente di letteratura araba all’Università di Cagliari, ma è un documento importante perchè in esso l’autore riconosce la tragedia dell’altro ebreo/israeliano, anche se la distanza tra le due esperienze, nel libro e nel film, si rivela incolmabile.
Nel romanzo infatti, la tragedia di una famiglia palestinese di Haifa costretta alla fuga dalle nascenti forze armate israeliane nell’aprile del 1948, durante la quale “perde” il figlioletto Khaldoun di soli 5 mesi, viene messa affianco alla tragedia di una famiglia ebrea polacca che, in fuga da Auschwitz, arriva in Palestina proprio in quella terribile primavera e occupa la casa di Said e Safia.
Dopo vent’anni di esilio, i due palestinesi decidono di tornare a Haifa: non per riprendersi le loro cose ma per vedere cosa ne è stato della loro casa. Ad attenderli trovano Mariam, la donna polacca, e Dov, un giovane militare dell’esercito israeliano dalle fattezze arabe, il figlio (adottato?) di questa: è il piccolo Khaldoun o no? E dopo vent’anni, cosa significa la parola “paternità”?

E cosa significano la casa, la Palestina, il ritorno? Qual è il senso di tutte queste perdite?

Il film, girato a Tripoli, in Libano, nel 1981, si apre con la scena dell’esodo massiccio verso il mare a cui furono costretti gli abitanti di Haifa nell’aprile del 1948. Scacciati dal quartiere tedesco in cui si erano rifugiati durante i bombardamenti e gli attacchi dell’esercito che si susseguivano dal dicembre del ’47, intensificatisi con l’uscita di scena dell’esercito britannico, ai 60mila abitanti rimasti a Haifa non restò altro che dirigersi in massa verso il mare.

“Furono letteralmente buttati in mare”, ha raccontato Dahmash, “si salvò chi riuscì a trovare una barca, ma molte barche affondarono in mare”.
Realizzare la scena dell’esodo è stato uno sforzo corale a cui hanno partecipato non solo i palestinesi rifugiati in Libano, che donarono vecchi vestiti e altri oggetti utili per ricreare le atmosfere dell’epoca, ma anche i pescatori libanesi che prestarono le loro barche al regista e alla troupe. E il risultato finale ripaga dello sforzo profuso: perché un conto è immaginare decine di migliaia di persone costrette a fuggire via mare, un altro è vederle sullo schermo, a bordo di tante piccole barchette, puntini sommessi e dolenti in un mare blu sconfinato, scacciate a forza dalla loro terra.

Nel film, molto fedele al romanzo, ai dialoghi tra i protagonisti si alternano diverse sequenze “storiche” (come le immagini di repertorio che mostrano l’arrivo degli ebrei in Palestina). Si tratta della combinazione di fiction e documentario già sperimentata ad esempio nella trasposizione cinematografica di “Uomini sotto il sole” (“Al-Mahdu’un”, di Tawfiq Salih, 1972), analizzato da Aldo Nicosia nel suo “Il romanzo arabo al cinema” (Carocci, 2014) che a proposito di “Al-Mahdu’un” scrive: “Si tratta dell’aggiunta più sostanziale e creativa rispetto al romanzo: nei primi venti minuti il regista combina la linea di fiction con quella documentaristica, con le sequenze mute di reportage sugli inizi del conflitto arabo-sionista, la guerra del 1948 e la conseguente cacciata dei palestinesi”.

Ma la scena principale del film è senz’altro il dialogo tra Said e Mariam, che riproduce alla lettera quello scritto da Kanafani, che pare quasi irreale nella sua tragica assurdità: nel salotto di quella che un tempo era casa loro, Mariam offre a Said e Safia il caffè mentre discute con loro dell’anormalità della situazione in cui tutti si trovano.

Lo “scambio” della casa, la questione della genitorialità di Dov/Khaldoun, il loro ritorno senza pretese a Haifa: tutto scorre attraverso i calmi ma tristi occhi azzurri di Mariam e la dignità estrema e la compostezza dello sguardo di Said.

È un “incontro tra vittime”, ricorda Dahmash, quello che avviene tra i tre: “Vittime che si trovano a confliggere ma che non possono far altro che prendere atto della realtà”.

Il film si chiude con la camera fissa su Dov/Khaldoun che si chiede come sia stato possibile che due genitori abbiano potuto abbandonare il proprio figlio, che razza di persone esse siano per averlo lasciato indietro, e a parlare attraverso la bocca di quel figlio perduto è la Palestina stessa, nell’immaginario di Kanafani.

L’ultima scena è tutta per Khaled, il figlio di Said e Safia nato dopo l’esodo, che decide di imbracciare la armi ed entrare nei fedayin: attraverso il suo personaggio Kanafani proclama il suo invito a resistere. Forse, dolorosamente, unico modo possibile – per l’autore – per dialogare con l’Altro che vuole cancellare la tua esistenza.

 

 

 

Circolo di lettura, mercoledì 9 novembre, ore 21.15

pablo-picasso-the-burial-of-casagemas-evocation-001Il collare della colomba, di Raja Alem. Stuzzichiamo la lettura. Mercoledì 9 novembre alle ore 21.15 primo appuntamento mensile del circolo di lettura alla Salara della Biblioteca Planettiana di Jesi, con il primo dei libri scelti per questa seconda edizione. Ricordo a chi ci legge e ancora non si è unito noi ma è curioso di sapere come funziona, che la partecipazione è libera e può venire tranquillamente. Meglio ancora se ha già letto nel corso del mese questo bellissimo libro, che si snoda tra più trame e nel quale l’unica cosa certa – afferma fin dalle prime righe a scanso di equivoci l’io narrante, che non è una persona ma il vicolo stesso dove la storia si svolge, o si travolge – è il ritrovamento di un cadavere, una giovane donna dal volto sfigurato e difficile da identificare, mentre nello stesso istante scompaiono nel niente due donne. O forse è sempre la stessa donna? Il vicolo che narra ci insinua anche questo, è un vicolo dalle mille teste, che vede tutto e conosce ogni segreto, ma mille teste che vedono e parlano non raccontano in modo lineare, sono come un mosaico in perenne movimento, tra sogni, realtà, leggende, segreti, e sguardi, volti, maschere, veli, e ossessioni, sensualità, porte e chiavi che appaiono scompaiono. Un vicolo della città sacra La Mecca, storie che s’intrecciano per la penisola arabica dei nostri giorni, tra La Mecca e Gedda ma poi anche la terra d Andalus oggi, tra Madrid e Toledo, di più mondi visti da prospettive diverse, insolite, soprattutto per noi.

«Per me l’Arabia Saudita – dice Raja Alem in un’intervista  è come il gigante di cui parlo nel romanzo Il collare della colomba: il giovane eroe Yousuf firma il suo articolo con il nome di questo Gigante, che in una scena viene descritto mentre è coricato e non riesce a raggiungere i suoi piedi, perché è incredibilmente alto. Per arrivare ai suoi piedi deve fare un viaggio, ma sente che le mosche glieli pizzicano e chiede a una carovana di passaggio di soffiargliele via. La carovana deve viaggiare un mese per raggiungere i piedi del gigante e scoprire che erano lu-pi, e non mosche, a morderli.  L’Arabia Saudita è un Paese con molte facce e, anche quando ci si è nati, non si può dire di conoscerla completamente. Per esempio, la città della Mecca, dove sono nata e cresciuta, è totalmente diversa da Gedda dove ci siamo trasferiti e da Riad, la capitale, o da Braida nel nord o da Abha nel sud. Mi sorprende sempre quando un giornalista occidentale viene per qualche giorno e sostiene poi di co- noscere bene il Paese, magari ci scrive su anche un libro. Da una zona all’altra la cultura cambia.»

(Nell’immagine, il quadro di Pablo Picasso per il suicidio dell’amico Carlos Casagemas; quadro  che incontriamo nel romanzo di Raja Alem)

Circolo di lettura, le schede dei libri

LETTERATURA MEDIO ORIENTALE CONTEMPORANEA
Elenco aggiornato dei libri del nuovo ciclo del circolo di lettura 2016/2017, con le schede preparate da Alessandro Seri. Si ricorda che il primo appuntamento con il libro Il collare della colomba di Raja Alem è stato fissato per il 9 novembre alle ore 21.15.

3171739(9 novembre) Il collare della colomba – Raja Alem (Arabia Saudita) – Marsilio 2014 
Ad Aburrùs, antico vicolo della Mecca, giace il cadavere nudo di una donna. Il volto è sfigurato, è impossibile identificarla. Gli abitanti della zona sono scossi, temono che la polizia possa scavare nelle loro vite e portare alla luce segreti custoditi gelosamente. Storie di famiglia, amori proibiti, intrighi di una città preda di società immobiliari senza scrupoli. Incaricato delle indagini, mentre cerca di scoprire chi sia la vittima, l’ispettore Nasser si immerge nelle tormentate esistenze di Aisha e Azza, misteriosamente scomparse dal vicolo poco prima del ritrovamento del corpo. Insegnante ripudiata dal marito, Aisha intratteneva una corrispondenza amorosa con un medico tedesco, mentre alla ribelle Azza erano dedicate le pagine del diario del suo vicino Yusuf, giovane storico ossessionato dalla grandezza del patrimonio artistico e religioso della città più santa dell’Islam. Continuando a cercare la verità sulla donna uccisa, Nasser trova preziosi indizi tra gli scritti di Aisha e Yusuf. Scoprirà quanto la sua antica città sia minacciata dalla corruzione, e capirà che è il suo cuore sacro, la Kaaba, a dover essere salvato dallo scontro tra tradizioni ancestrali e una tensione brutale verso la modernità.

_ritornoadhaifa-1398231871(14 dicembre) Ritorno a Haifa / Umm Saad – Ghassan Kanafani (Palestina – Israele) – Edizioni Lavoro 2014
Capolavoro di Ghassan Kanafani, “Ritorno a Haifa” viene riproposto in una nuova veste insieme con “Umm Saad”, romanzo breve, poco noto ma non meno rappresentativo dell’opera del grande scrittore palestinese. “Ritorno a Haifa” ci parla, per la prima volta, di due diaspore: quella palestinese e quella ebraica, accomunate da un unico destino. Said torna con la moglie nella sua città per rivedere la vecchia casa, ora abitata da una famiglia di ebrei polacchi scampati ad Auschwitz. Sono trascorsi vent’anni dalla nascita dello Stato d’Israele, dalla nakba palestinese e dall’esilio. Lo scrittore ci accompagna in un viaggio che scava nella memoria, dove riaffiorano il disagio e la tristezza di una duplice tragedia resa con grande umanità e forza emotiva. Nel secondo romanzo l’autore rievoca l’indimenticabile “Umm Saad”, la madre di Saad, che diventa figura mitica e simbolo stesso della questione palestinese, simile per la sua grandezza alla Madre Coraggio di Brecht e alla Madre di Gorkij. Come scrisse trent’anni fa il grande arabista Francesco Gabrieli, a proposito del conflitto arabo-israeliano, “per l’avvenire; per il passato e il presente, è giusto non vada perduta la nostra coscienza e conoscenza di tanto umano travaglio, che queste pagine per la parte araba riflettono”.

21fnsdhprhl-_bo1204203200_(11 gennaio) Tra i due palazzi. La trilogia del Cairo. Vol. 1 – Nagib Mahfuz (Egitto) – Tullio Pironti Editore 1996
Originariamente pubblicata in arabo tra il 1956 e il 1957, la Trilogia narra la storia dell’Egitto attraverso gli occhi di una famiglia, dai primi anni del ‘900 al golpe militare che nel 1952 rovesciò il governo di Re Faruk e portò al potere Gamal Abd el Nasser.In questo primo romanzo, Mahfuz intreccia magistralmente la società cairota della fine del secolo con personaggi che sono allo stesso tempo obbedienti e meravigliosamente sensuali, le loro vite austere e affascinanti. Qui i rigorosi principi delle donne “rispettabili” e dei loro uomini sono osservati scrupolosamente, in contraddizione alla cultura notturna delle danzatrici del ventre e delle bevande alcoliche, tra la presenza delle forze inglesi e australiane al Cairo.

6520632_1095998(15 febbraio) La stranezza che ho nella testa – Orhan Pamuk (Turchia) – Einaudi 2015
Un ragazzo ama una ragazza. Tutte le storie, anche quelle piú complicate, nascono da questa semplice, universale premessa. Mevlut l’ha incontrata una sola volta: i loro sguardi si sono incrociati di sfuggita al matrimonio di un parente a Istanbul. Eppure è bastato quell’attimo di perfezione e felicità a farlo innamorare. Süleyman, il cugino, gli ha detto che delle tre figlie di Abdurrahman, quella che ha visto Mevlut, quella di cui si è innamorato, è senz’altro Rayiha. Da allora non l’ha piú rivista ma, per tre anni, Mevlut le scrive le lettere piú appassionate che il suo cuore riesce a creare. Finché un giorno capisce che l’unico modo di coronare il suo sogno è scappare con Rayiha, di fatto rapendola dalla casa paterna in cui è rinchiusa. Cosí, una notte di tempesta, mentre Süleyman aspetta con un furgone in una strada poco lontana, Mevlut e la sua amata si riuniscono. Nulla potrà andare storto ora, nulla potrà piú dividerli, pensa lui. Poi un lampo illumina la scena e rivela il volto di Rayiha: quella non è la ragazza a cui Mevlut ha creduto di scrivere per tutto quel tempo, non è la ragazza di cui si è innamorato a prima vista tre anni prima! Chi ha ingannato Mevlut? E come si comporterà ora il nostro eroe? Questa è la sua storia, caro lettore: la storia di Mevlut Karataþ, venditore di boza (la bevanda, leggermente alcolica, tipica della Turchia), lavoratore indefesso, inguaribile ottimista (qualcuno direbbe ingenuo), sognatore, profondo conoscitore delle strade e dei vicoli di Istanbul. Perché questa è anche la storia di una città e del tempo che l’attraversa, una saga grandiosa e potente degli individui e delle famiglie che lottano, si alleano, si amano e si dividono per trovare il proprio posto nel mondo. Il premio Nobel Orhan Pamuk ha fatto della sua città, Istanbul, il personalissimo teatro in cui mettere in scena l’universale dei destini umani. Con La stranezza che ho nella testa ha saputo scrivere un romanzo rutilante in cui le storie piccole di uomini e donne comuni hanno la forza irresistibile della Storia di tutti.

setwidth220-severini(15 marzo) Scrittura cuneiforme – Kader Abdolah (Iran) – Edizioni Iperborea 2003
La Storia dei potenti si intreccia con la vita semplice, spesso sofferta, sempre intensa, degli umili, l’amore di Ismail, carico di nostalgia, per la patria con quello intimo e dolente per il padre, gli ideali di giustizia e libertà con l’impegno a parlare per chi non può più farlo. E ancora una volta, l’incontro tra Persia e Occidente, tra impervie montagne iraniane e dune olandesi, tra poesia, icastica e lieve, e una lingua sobria ed essenziale, intesse motivi inattesi e preziosi, figure mitiche e fiabesche nella trama della nostra cultura.

3010132(11 aprile) Rapsodia irachena – Sinan Antoon (Iraq) – Feltrinelli 2010
Il 23 agosto 1989, il ministero dell’Interno iracheno viene informato che nel corso di un inventario eseguito nella sede del Comando centrale della Polizia di Baghdad è stato trovato un manoscritto in un archivio. Scarabocchiato a matita, risulta essere il diario di un giovane detenuto di nome Furat. Dal manoscritto scopriamo che era uno studente di Lettere e poeta alle prime armi, dotato di uno spirito sardonico e corrosivo, arrestato un bel giorno di aprile mentre guardava il cielo di Baghdad seduto su una panchina ad aspettare Arij, la sua fidanzata. Furat rievoca l’incubo delle carceri del regime e, in parallelo, la sua vita quotidiana fino all’arresto: l’adolescenza, la famiglia, l’università, la dittatura, la guerra Iraq-Iran, le partite di calcio allo stadio, i primi amori. Racconta di un Iraq impossibile, dove il regime è ovunque, nella vita pubblica come in quella privata, dell’isteria del dittatura baathista, così simile al nostro fascismo. Solo nel finale, ambientato in una Baghdad apocalittica e deserta, sembra profilarsi una speranza, ma forse è solo un’illusione, un miraggio. Un ritratto emozionante della vita nell’Iraq di Saddam Hussein, una miniatura delle sofferenze degli iracheni, dai baathisti a Bush.

_35(17 maggio) Elogio dell’odio – Khaled Khalifa (Siria) – Bompiani 2011
Elogio dell’odio (Bompiani, 2011) è il romanzo che ha fatto conoscere in Italia lo scrittore siriano Khaled Khalifa, che da quando è iniziata la guerra civile in Siria è in prima linea per far conoscere al mondo quanto sta accadendo nel suo paese. Forse vi ricorderete un suo accorato appello, aperto agli scrittori di tutto il mondo: “spero di avervi esortati a mostrare la vostra solidarietà al mio popolo con i mezzi che riterrete più opportuni. So che la scrittura è impotente e nuda di fronte al frastuono dei cannoni, dei carri armati e dei missili russi che bombardano città e civili inermi, ma non mi va che anche il vostro silenzio sia complice dello sterminio del mio popolo”. L’odio come risposta all’odio, in un mondo dove la legge universale non è più quella dell’amore: la Siria degli anni ’80, dilaniata dal conflitto fra l’islamismo radicale e il dispotismo militare; la città di Aleppo; la famiglia dell’anonima narratrice, protagonista di un romanzo ancora tremendamente attuale. Purtroppo. Un libro che lascia addosso quella sensazione da “resto di niente” e un vuoto, e un’amarezza, così intimi da turbare nel profondo.

9788807816246_quarta(14 giugno) Conoscere una donna – Amos Oz (Israele) – Feltrinelli 2002
Yoel è un uomo del servizio segreto israeliano. Ha imparato la sottile arte dell’ascoltare, del guardare e dello scoprire. Dopo la morte della moglie in un incidente, si ritrova solo di fronte a una realtà ben altrimenti misteriosa: chi era veramente sua moglie Ivria, su quali segrete complicità si basava il loro rapporto? E ancora: di che pasta è fatta sua figlia, come provare a capirla e venirle incontro? Dopo le dimissioni dai servizi segreti Yoel crede per un attimo di poter applicare alla propria esistenza modi e metodi appresi nei lunghi anni di esercizio: appostamenti, confidenze rubate, induzione e deduzione. Eppure c’è qualcosa che continua a resistergli. E’ come se i suoi occhi dovessero trovare una diversa, difficile, dolorosa messa a fuoco. Cominciando a lasciarsi contaminare dai piccoli eventi della quotidianità, nonché dai molti diversi personaggi che la abitano, dietro il mistero Yoel scopre una totale spaesante assenza di mistero. Conoscere una donna è uno dei capolavori della letteratura israeliana, una sorprendente e inconsueta storia d’amore.

 

 

Il collare della colomba, di Raja Alem (circolo di lettura, 9 novembre)

Si è svolto ieri il primo incontro di avvio di questo nuovo percorso di letture, il tema è la letteratura medio orientale contemporanea, alla volta del nostro vicino lontano medio oriente, da visitare, conoscere, condividere, scoprire soprattutto, attraverso la lettura delle opere degli autori che abbiamo individuato, scegliendoli in una rosa talmente ampia e interessante che ogni esclusione potrebbe apparire ingiustificata.

3171739Ci incontreremo in biblioteca una volta al mese, scegliendo come giorno settimanale di riferimento il Mercoledì; il primo appuntamento è per il 9 novembre alle ore 21.15, con il libro Il collare della colomba di Raja Alem (Arabia Saudita) – Marsilio 2014.

Le date esatte degli appuntamenti successivi ( più o meno nella prima metà di ciascun mese)le comunicheremo al più presto; i libri previsti per tutto l’anno, nell’ordine che pensiamo di seguire salvo possibili cambiamenti che comunicheremo tempestivamente, sono i seguenti:

 

  • (dicembre) Ritorno a Haifa – Umm Saad di Ghassan Kanafani (Palestina – Israele) – Edizioni Lavoro 2014 (dicembre)
  • (gennaio) Tra i due palazzi. La trilogia del Cairo. Vol. 1 di Nagib Mahfuz (Egitto) – Tullio Pironti Editore 1996
  • (febbraio) La stranezza che ho nella testa di Orhan Pamuk (Turchia) – Einaudi 2015
  • (marzo) Scrittura cuneiforme di Kader Abdolah (Iran) – Edizioni Iperborea 2003
  • (febbraio) Rapsodia irachena di Sinan Antoon (Iraq) – Feltrinelli 2010
  • (marzo) Elogio dell’odio di  Khaled Khalifa (Siria) – Bompiani 2011
  • (aprile) Conoscere una donna di Amos Oz (Israele) – Feltrinelli 2002
  • (maggio) Uomini sotto il sole di Ghassan Kanafani (Palestina – Iraq) – Sellerio 1991
  • (giugno) La traduttrice di Rabih Alameddine (Libano) – Bompiani 2015

Circolo di Lettura (martedì 27 settembre ore 21.15)

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 STUZZICHIAMO LA LETTURA
LA LETTERATURA MEDIO ORIENTALE CONTEMPORANEA

Circolo di lettura secondo anno (2016/2017). Si riprende. Martedì 27 settembre ci vediamo alle 21.15 alla Biblioteca Planettiana di Jesi, alla Salara, piano terra. Chiunque sia interessato può venire.
In questo primo incontro spiegheremo ai lettori che vengono per la prima volta come funziona il circolo di lettura, sceglieremo insieme i libri da condividere nell’anno, ci accorderemo per le date degli incontri mensili da ottobre a maggio e… partiremo di nuovo insieme per questo percorso di letture condivise.
Il viaggio dello scorso anno nella letteratura americana del Novecento è stato molto coinvolgente, e ha fatto nascere il desiderio di proseguire l’esperienza.
Quindi eccoci di nuovo pronti a fare i bagagli. Il tema di quest’anno è LA LETTERATURA MEDIO ORIENTALE CONTEMPORANEA, così varia, articolata, ricca, geograficamente vicina e spesso intrecciata a noi, ma resa più attuale purtroppo dalle situazioni di guerra e delle tragedie che toccano diversi di questi paesi.
Non aspetta a un circolo di lettura affrontare i nodi sociali o politici di tali tragedie, il nostro compito semmai è di stuzzicare le curiosità e tenere alta l’attenzione verso produzioni culturali e letterarie ricche, stimolanti, risultato di storie impegni e tradizioni diverse dalla nostra e diverse anche tra loro, di più aree linguistiche e culturali.
Nacque in queste terre la prima scrittura al mondo e il primo poema, più di quattro mila anni fa, l’epopea di Gilgamesh, e nacque qui Le mille e una notte, il contenitore di ogni imaginazione, e tanti poeti e autori in ogni epoca.
Affronteremo questo universo attraverso lo sguardo e le parole di alcuni autori contemporanei, sospesi tra le loro storie millenarie e questo oggi che dilaga ovunque, e ne ricaveremo sicuramente stimoli preziosi per noi, domande, ci capiterà talvolta di sentirci spiazzati e altre di scoprire condivisioni non immaginate. Condivideremo tutte queste emozioni tra di noi, attraverso le letture che faremo.

Gli incontri sono condotti da Alessandro Seri, poeta e scrittore, presidente di ADAM, Accademia delle Arti di Macerata. La partecipazione è libera, chi è interessato è pregato di comunicarlo a:
planettiana@comune.jesi.an.it – tel. 0731/538346 (ore 8,00-14,00)
info@altroviaggio.org – tel. 328 1967178

Stuzzichiamo la lettura

«Lettura come conversazione, esperienze condivise in Biblioteca», articolo di Romina Marcattili, pubblicato sul periodico del Comune di Jesi “Jesi Oggi” n.2-giugno 2016.
Copia di ScansioneIn questo nostro tempo ipertecnologico e “social”, dove ogni gesto viene condiviso e ogni spazio (anche il più privato) esposto allo sguardo di amici e follower, la lettura sembra essere ancora una delle poche esperienze che ci riconducono ad una geografia intima e remota, segreta e personale, in cui ritroviamo noi stessi ed elaboriamo, attraverso le parole, il nostro mondo.
Tale esperienza il più delle volte avviene nello spazio riservato del nostro pensiero, nella “stanza tutta per sé” che ognuno di noi si costruisce e dove amiamo rintanarci per riprendere fiato dalle incombenze e dai condizionamenti della vita esteriore.
In questo spazio “nostro” entriamo in relazione con i personaggi della storia che leggiamo, ma anche (su un piano meno ideale) con chi ha scritto il libro, con chi l’ha realizzato fisicamente, con chi l’ha aperto e percorso con lo sguardo prima di noi e persino con chi lo farà dopo di noi.
Tuttavia la lettura offre anche ulteriori e diverse opportunità di condivisione, se vissuta in quella dimensione pubblica, che non è estranea alla sua stessa origine, se è vero che, prima di essere un’esperienza individuale, la pratica della lettura è stata a lungo nell’antichità un’occasione di vita sociale e di socializzazione. Ed è proprio per questa dimensione sociale che i numerosi Gruppi di Lettura, nati nel Nord Europa, ma importati in Italia ormai da qualche anno, intendono favorire e promuovere. Forti della loro natura non istituzionalizzata e liquida, che permette loro di autogestioni e di muoversi con un estrema libertà fuori dalle pastoie burocratiche, i Gruppi di Lettura hanno invaso pacificamente tutto il territorio nazionale ed hanno assunto piena coscienza di sé, a tal punto da aver costituito una rete con un proprio web.
E da qualche mese anche la città di Jesi, terreno d’altronde già fertile per l’associazionismo, declinato nelle sue più diverse e svariate sfumature, ha il suo Gruppo di Lettura.
“Stuzzichiamo la lettura” è il nome invitante che si è dato il Gruppo, che dal mese di ottobre scorso si riunisce con cadenza mensile per condividere il piacere di leggere e scambiarsi opinioni e “gusti” letterari.
L’iniziativa, promossa e organizzata dalla Biblioteca Planettiana di Jesi e dall’Associazione culturale Altrovïaggio, con la collaborazione della Libreria Incontri e dell’Arci comitato di Jesi-Fabriano, ha visto una serie di incontri mensili in cui, guidati da Alessandro Seri, poeta e scrittore maceratese, i partecipanti hanno discusso dei libri  scelti dal Gruppo stesso all’inizio del percorso.
Il tema proposto per questo primo ciclo annuale è stato la “Letteratura americana del Novecento”. Ogni libro offre un punto di partenza per un percorso conoscitivo che ogni volta si costruisce attraverso e intorno alla conversazione fra i partecipanti al Gruppo di Lettura. E in ogni conversazione ognuno può portare il proprio modesto parere, confrontare idee e scambiare  (magari) esperienze e vissuti con gli altri. E alla fine della serata ognuno può rimanere della propria idea o arrivare ad una comprensione altra del libro letto, ma sempre tornerà a casa con una storia in più ad arricchire il proprio mondo, ad allargare l’orizzonte del proprio sguardo. “Ogni libro nuovo che si legge – diceva Italo Calvino – è come un nuovo occhio che si apre”.
Leggere, dunque, e condividere l’esperienza della lettura, apre infiniti occhi dentro di noi, occhi con i quali guardare ed interpretare le storie che viviamo ed anchequelle vissute e narrate da altri.
La lettura, intesa in questo senso, crea molteplici legami fra noi e gli altri e realizza quella condivisione che ci porta miracolosamente oltre i nostri limiti e ci fa sentire meno soli.
Un’esperienza decisamente positiva che la Biblioteca si impegna a riproporre, con un nuovo percorso, l’autunno prossimo.

 

 

Il circolo di lettura, un’esperienza da ripetere

13320443_10205156585834757_8008098100258911511_oSi è concluso nei giorni scorsi, presso la Biblioteca Planettiana di Jesi,  il primo ciclo degli incontri programmati del circolo di lettura, promosso da Altrovïaggio e dalla stessa Biblioteca.  Immancabile la foto di gruppo, nella quale purtroppo sono assenti diversi degli amici con noi durante l’anno, tutti in posa dentro la splendida cornice della Salara, la sala di lettura della biblioteca, al piano terra del Palazzo della Signoria. Otto incontri, da ottobre a maggio, con altrettanti bei libri, al ritmo di uno al mese, e in parallelo con gli altri circoli di lettura di Mogliano, Pollenza e Monte San Giusto, con cui abbiamo condiviso il percorso sulla letteratura americana del Novecento.  Otto conversazioni sulle nostre letture, ogni volta aperte dall’amico Alessandro Seri, con un gruppo mediamente di circa venti partecipanti, in una specie di viaggio. Siamo partiti da Long Island, est di New York, con Il grande Gatsby di Fitzgerald, dagli Anni Venti, tra le due guerre, o tra il proibizionismo e la grande crisi, e siamo arrivati circa mezzo secolo dopo a Newark, di nuovo nella zona di New York, dunque, ma sul lato ovest, con la Pastorale Americana di Philip Roth, e sembrava diventato un altro mondo. Un mondo già rivoltato e rovesciato in vario modo, dentro tutto ciò che abbiamo letto nel mezzo, eppure sempre lo stesso seppure ogni volta da un’angolatura nuova ed ulteriore. Lingue e narrazioni che si rinnovano e si inventano, si scoprono e si offrono. Dopo Fitzgerald ci siamo spostati gradualmente, nel tempo e in un largo giro verso il centro e poi l’ovest degli Stati Uniti, con Luce d’Agosto di William Faulkner, dove i pensieri già si stratificano e i sensi si dilatano. Quindi, il viaggio è diventato un vero esodo, con Furore di John Steinbeck, in scena ci sono i contadini, e poi eccoci a Los Angeles, quella reale ma che ancora sembra finta di Chiedi alla polvere di John Fante, e poi, subito dopo la guerra, ecco la Los Angeles distopica che invece sembra reale, quella di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Che dire di Factotum di Charles Bukowski? Anche lui a Los Angeles, per lo più, ma sembra quasi per caso. Ha suscitato le nostre discussioni più aperte, tirandoci fuori tutta la gamma delle impressioni teoricamente possibili, lungo nuove angolazioni da cui valutare la concretezza – qualcuno direbbe poca – del senso ma forse anche del non senso. E poi un tuffo, totale, senza mediazioni, leggendo le pagine di Amatissima di Toni Morrison, per sovvertire davvero le nostre percezioni che ci appaiono scontate. Con Toni Morrison l’angolatura, volendo usare ancora questa strana parola, è davvero un’altra, e le sue parole sembrano cadere proprio lì dove non osiamo ammettere che le stavamo aspettando. E infine Pastorale Americana, di Philip Roth. Tra gli otto libri che ho letto o riletto per questa occasione, allo scopo di condividerli con un gruppo di lettori, questo di Roth è quello che di più mi stimola a rileggerlo di nuovo, con un diverso ritmo. C’è dentro tutto, più di quello che si riesce a percepire al primo passaggio, in questa america degli anni sessanta, del Vietnam e delle rivolte. Newark è l’epicentro che Roth individua per narrarci questo grande viaggio ma lo fa dal punto di vista del dettaglio che siamo noi, persone singole e caduche, a cui tocca farsi carico dei miti pubblici, metterceli più o meno addosso e in qualche modo viverci. Ciascuno i suoi e ciascuno secondo la sua sensibilità. E anche leggendoli, ciascuno secondo la sua sensibilità. La letteratura come metodo di conoscenza? Direi di sì! Che dire di questa esperienza di lettura condivisa durante l’anno? Che ha avuto inizio come una scommessa, certi però che avrebbe funzionato, e così è stato. Un’esperienza interessante e piacevole, che sarà importante cercare di ripetere, ora che siamo anche, tutti, un po’ più esperti di questo gioco. Arrivederci ai prossimi appuntamenti, e grazie a Renzo Cardinali per la foto.

“Pastorale americana” di Philip Roth (circolo di lettura il 30 maggio)

Il prossimo incontro del circolo di lettura di Jesi è il 30 maggio, alle ore 21,15, sempre presso la Salara (Biblioteca Planettiana). Si chiude con questo il ciclo di 8 incontri dedicati alla letteratura americana del Novecento; coglieremo l’occasione anche per darci appuntamento per dopo l’estate, con il prossimi ciclo di incontri di cui dovremo scegliere insieme il tema.
Ecco intanto l’incipit di Pastorale americana, che leggeremo in questo mese:

81aXBt-qrwLLo Svedese. Negli anni della guerra, quando ero ancora alle elementari, questo era un nome magico nel nostro quartiere di Newark, anche per gli adulti della generazione successiva a quella del vecchio ghetto cittadino di Prince Street che non erano ancora così perfettamente americanizzati da restare a bocca aperta davanti alla bravura di un atleta del liceo. Era magico il nome, come l’eccezionalità del viso. 
Dei pochi studenti ebrei di pelle chiara presenti nel nostro liceo pubblico prevalentemente ebraico, nessuno aveva nulla che somigliasse anche lontanamente alla mascella quadrata e all’inerte maschera vichinga di questo biondino dagli occhi celesti spuntato nella nostra tribù con il nome di Seymour Irving Levov. 
Lo Svedese brillava come estremo nel football, pivot nel basket e prima base nel baseball. Soltanto la squadra di basket combinò qualcosa di buono (vincendo per due volte il campionato cittadino con lui come marcatore  principale), ma per tutto il tempo in cui eccelse lo Svedese il destino delle nostre squadre sportive non ebbe troppa importanza per una massa studentesca i cui progenitori – in gran parte poco istruiti, ma molto carichi di preoccupazioni -veneravano il primato accademico più di ogni altra cosa. L’aggressione fisica, anche se dissimulata da tenute sportive e norme ufficiali, e priva dell’intento di nuocere agli ebrei, non era tradizionalmente una fonte di soddisfazione nella nostra comunità; i buoni voti sì.
Ciononostante, grazie allo Svedese, il quartiere cominciò a fantasticare su se stesso e sul resto del mondo, così come fantastica il tifoso di ogni paese: quasi come i gentili (come esse immaginavano i gentili), le nostre famiglie poterono dimenticare come andavano realmente le cose e fare di una prestazione atletica il depositario di tutte le loro speranze. In primo luogo, poterono dimenticare la guerra.
L’assunzione di Levov lo Svedese a domestico Apollo degli ebrei di Weequahic si può spiegare meglio, credo, con la guerra contro i tedeschi e i giapponesi e le paure che essa generò. Con lo Svedese che furoreggiava sul campo da gioco, l’insensata superficie della vita forniva una specie di bizzarro, illusorio sostentamento, il felice abbandono a una svedesiana innocenza, per coloro che vivevano nella paura di non rivedere mai più i figli, i fratelli o i mariti.

Toni Morrison: la memoria, i fantasmi, la scrittura

Amatissima di Toni Morrison, è il libro scelto per il prossimo incontro del circolo di letturamercoledì 27 aprile, alle 21.15, alla Biblioteca Planettiana di Jesi.

Beloved_Toni_Morrison_unabridged_compact_discs_Random_House_Audio«L’infanzia e l’adolescenza nel mondo afroamericano, in particolare della donna, sono due momenti cui la scrittrice dedica profonda attenzione nell’indagare l’esperienza umana. Si percepisce la tensione della Morrison a forgiare immagini originali, ma soprattutto autentiche, ricusando con decisione gli stereotipi imperanti sui neri negli Stati Uniti –modelli che, come sottolinea inflessibile, i neri stessi hanno assimilato e fatto propri. La sovversione di quegli stereotipi passa attraverso la ricerca di un linguaggio con cui creare un convincente universo  immaginario che emerga con forza dalla cosmologia afroamericana, e attraverso una rigorosa consapevolezza della tecnica narrativa.» Scrive così Giulia Scarpa in un lungo e interessante saggio di alcuni anni fa, dal titolo Toni Morrison: la memoria, i fantasmi, la scrittura, dedicato alla grande scrittrice afroamericana premio Nobel per la letteratura nel 1993, e vincitrice del premio Pulitzer nel 1988 con il suo Beloved/Amatissima.

Un libro complesso ed esigente, teso a sovvertire i punti di vista, o di percezione, gli stereotipi.  Una delle dimensioni che più mi ha coinvolto durante la lettura, è proprio quella sintetizzata nel titolo del saggio citato, sul rapporto tra scrittura e memoria:

«La scrittura è ricerca in quanto atto di memoria: “La memoria (l’atto deliberato del ricordare) è una forma di creazione voluta. Ritrovare come sia andata veramente non è uno sforzo – è ricerca. Il punto è indugiare su come qualcosa appariva e sul perché appariva in quel modo particolare”. È anche ricerca di coesione tra i vari ricordi; coesione che trova la sua forza in una complessa poetica della trasformazione, nella quale vari strati di memoria si mescolano per poi sedimentare, dando vita a un terreno la cui perfezione, a prima vista, non fa neanche sospettare la presenza della sapiente e laboriosa mano che gli ha dato nuova vita – “le cuciture non si devono vedere”. La memoria assume forme diverse dando corpo ogni volta a modi diversi di ricordare. La metafora del fantasma ritorna a indicare l’invisibile presenza della scrittrice dietro ogni parola con cui dà voce a personaggi e narratori sempre differenti le cui memorie – ossessive, rimosse, nascoste, serbate teneramente o maniacalmente – formano intrecci infiniti.»

“Amatissima”, di Toni Morrison (circolo di lettura, 27 aprile)

«Il 124 era carico di rancore. Carico del veleno di una bambina. Le donne lo sapevano, e così anche i bambini. Per anni ognuno aveva cercato a modo suo di sopportare il rancore di quella casa ma, nel 1873, le uniche vittime rimaste erano Sethe e sua figlia Denver. La nonna, Baby Suggs, era morta, e i due ragazzi, Howard e Buglar, erano scappati via a tredici anni, non appena, al solo guardarsi nello specchio, questo si era frantumato (il segnale per Buglar), non appena erano apparse sulla torta le due minuscole impronte di una manina (il segnale per Howard). Nessuno dei due aveva aspettato di vedere altro: l’ennesima pignatta ricolma di ceci fumanti rovesciata sul pavimento, le gallette in briciole sparpagliate a terra lungo una linea parallela all’uscio di casa. Né avevano atteso uno dei soliti periodi di calma: le settimane, i mesi persino, in cui niente veniva a turbare la quiete. No. Erano svaniti entrambi all’improvviso, nel momento stesso in cui la casa si era resa colpevole di ciò che ognuno di loro riteneva l’unico insulto da non potersi sopportare o vedere una seconda volta.» 
 1Inizia così Amatissima di Toni Morrison, ne ho trovato anche la versione audio andata in onda qualche tempo fa sul programma Ad alta voce, con la lettura di Maria Paiato.
È questo il prossimo libro del mese del circolo di lettura di Jesi, di cui parleremo insieme nel settimo incontro, mercoledì 27 aprile, alle 21.15, sempre presso i locali della Biblioteca Planettiana, per il penultimo di questo ciclo di incontri iniziati lo scorso ottobre e che ci ha visto attraversare insieme e condividere alcune delle pagine più interessanti della letteratura americana del Novecento, da Fitzegerald a Faulkner, Steinbeck, Fante, Bradbury e Bukowski.
Non anticipo nulla al piacere della lettura di questa importante opera, che l’autrice ha scritto negli anni Ottanta, misurandosi con le memorie e con il passato, e quindi anche con il presente. “È per questo” le chiedono in un’intervista, “che la memoria è così importante nei suoi libri, per esempio in Beloved, dove il passato è anche presente?” “E tu devi stare lì e guardarlo in faccia” risponde lei, “O almeno provarci. E se non lo fai, se non hai almeno un minimo di dialogo col passato, non puoi capire il senso del presente. Tanto meno del futuro.