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Il segno e l’ironia (Ezio Bartocci, anni Settanta)

“EZIO BARTOCCI ANNI SETTANTA: Il segno e l’ironia”. La mostra è sta presentata dall’autore nei giorni scorsi alla Pinacoteca di Palazzo Pianetti a Jesi, nell’ambito del ciclo di incontri di storia dell’arte e resterà aperta fino al 5 aprile.

13479A fianco, alcuni momenti della preparazione della mostra e della presentazione.

Ezio Bartocci, introdotto da Simona Cardinali, ha parlato della sua attività artistica, con particolare riferimento agli anni Settanta e alla storia dei quadri ora esposti.

Durante l’incontro è stata distribuita ai presenti una cartellina con dodici cartoline che riproducono le seguenti opere di Bartocci: “Dedalo”, scultura in terracotta policroma donata dall’artista alla Pinacoteca a seguito della mostra antologica “Le stanze di Dedalo” del 1994, “Il giudizio di Venere”, olio su tela, opera acquisita attraverso il “Premio Rosa Papa Tamburi”, “Le macchine semplici”, edizione d’arte con cinque serigrafie stampate da Ribichini, Castelplanio 1972, e i “Monumenti alternativi”, edizione d’arte con cinque litografie stampate dalla Posterula di Urbino nel 1975.

Ezio Bartocci, artista professionista attivo  dalla metà degli anni ’60 realizza il suo originale percorso  espressivo attraverso osservazione, immaginazione, sintesi e ironia. Passando dalle prime edizioni di opere grafiche  ai Contromanifesti pubblicitari, dall’Inventario per Arca a Entroterra, fino ai più recenti Pensieri di Enimmeo il suo vasto repertorio  spazia dalla pittura all’opera plastica, dall’incisione, alla editoria d’arte, alle affiches.

La cartellina distribuita contiene anche un estratto  della presentazione di Loretta Mozzoni in catalogo della mostra “Ezio Bartocci, le stanze di Dedalo”, Jesi, Palazzo Pianetti, Pinacoteca Civica, maggio giugno 1994:

(…) Troppo si è insistito sugli elementi di rottura che hanno segnato la nostra epoca rispetto alle precedenti, incartate queste ultime in un pacchetto unico in cui contrapporre l’attualità. Pigrizia mentale, inefficacia espressiva, pressappochismo estetico concorrono al radicarsi di siffatti antagonismi tra un noi e un oggi per forza contemporanei, e un loro, ieri, mestamente trascorsi.
“L’artista condotto Ezio Bartocci operatore estetico per disfunzioni e debolezze ottico-percettive, malattie dell’immagine convincente, cattivo  gusto, inibizioni espressive” – come si presenta lui stesso in un provocatorio bigliettino da visita redatto nel ’75 sta a ricordarci che il linguaggio contemporaneo sta all’attualità come la capacità creativa sta all’umanità. E che ogni contemporaneità è destinata a divenire memoria con un processo che anzi appare ancora più accelerato.
E ce lo dice con uno straordinario stile compendiario dal quale ha eliminato qualunque volontà di orpello. Per Bartocci ogni elemento della composizione può diventare superfluo se non è strettamente indispensabile alla comunicazione con un interlocutore che vuole attivo e per ciò stesso messo nella condizione di capire. Arte funzionale, dovendosi intendere per funzione il riconoscimento culturale che può svolgere l’attività artistica in termini di registrazione, interpretazione e sintesi del vivere contemporaneo. Una teologia laica – se non fosse una contraddizione in termini – da cui è esclusa ogni specializzazione tematica, impugnata per affondare qualche lama nella cialtroneria e nella grossolanità dei più usuali pregiudizi. (…)

 

Il razzismo e le parole

( Da il Corriere delle migrazioni: “Del parlar male, anche a sinistra” di Annamaria Rivera, 8 marzo 2015)

Per ciò che riguarda migrazioni e diritti dei migranti, razzismo e antirazzismo, il discorso pubblico italiano, anche nelle sue varianti non-razziste, spesso sembra atteggiarsi come se ogni volta fosse la prima volta: gli antefatti e lo sviluppo di questo o quell’accadimento, questo o quel problema, questa o quella rivendicazione, questo o quel concetto sono semplicemente rimossi.
RazzismoUna tale smemoratezza non riguarda solo le retoriche pubbliche maggioritarie, ma talvolta influenza l’atteggiamento e il discorso delle minoranze attive, riflettendosi anche nel linguaggio e nel lessico, influenzati dalla vulgata mediatica e perfino dal gergo del senso comune.
Mentre li credevamo archiviati grazie a un lungo lavoro critico, tornano in auge formule e vocaboli legati a schemi interpretativi, anche spontanei, del tutto infondati. Non potendo farne l’intero catalogo, ci soffermiamo solo su alcuni.

Razza-razziale
Il razzismo è anzitutto un’ideologia, quindi una semantica: è costituito da parole, nozioni, concetti. Sicché l’analisi critica, la decostruzione e la denuncia del sistema-razzismo hanno obbligatoriamente un versante lessicale e semantico. Continua a leggere

Il ruolo della narrazione, secondo Bruner

‹‹E’ interessante, non è vero, come solo negli ultimi dieci, quindici anni ci siamo accorti di quanto sia importante nella condotta delle nostre vite il processo di realizzazione di storie, la narrativa! Perché fino ad ora siamo stati così ciechi riguardo a questa questione? (…) E’ curioso come per quanto tempo psicologi e scienziati del sociale hanno ignorato la narrativa. Forse essa ci viene così naturale che normalmente siamo inconsapevoli di essere sotto il suo controllo. Sai, come dice il vecchio proverbio il pesce sarà l’ultimo a scoprire l’acqua››

9788833906850 - Version 2Scrive così Jerome Bruner in una emal di risposta a Marta De Lorenzo, allora studentessa che si accingeva a scrivere la sua tesi di laurea sul lavoro e sul pensiero di Bruner, circa il ruolo della narrazione all’interno della nozione d’identità.  La tesi è disponibile in rete, con il titolo “Racconto e costruzione narrativa dell’identità in Jerome S. Bruner”. Un bel lavoro, che mi stimola a riprendere i libri di Bruner, consultati anni fa quando ero alle prese con il mio lavoro di ricercatore sociale, e ora da qualche anno finiti dietro un angolo della libreria a respirare un po’ di polvere, da soffiare via. Ottimo, credo, anche per chi, volendo approfondire, può seguire la tesi di laurea come una guida, ampia e completa, più di una semplice introduzione.

‹‹La narrativa›› – scrive Bruner, in uno dei brani citati nella tesi – ‹‹ci offre un mezzo pronto e flessibile per trattare gli incerti esiti dei nostri progetti e delle nostre aspettative(…). E’ il nostro talento narrativo che ci dà la capacità di trovare un senso nelle cose quando non ce l’hanno››.  

E ancora:  ‹‹È vero che il mondo che affiora in un racconto, per essere verosimile, deve rispettare i canoni della coerenza logica, ma è anche vero che tale coerenza può rappresentare degli strappi che alimentano il dramma; è ciò che avviene nei romanzi di Kafka, dove l’illogica arbitrarietà dell’ordine sociale rappresenta il nerbo del dramma, nonché nelle commedie di Pirandello o di Beckett, dove il principio di identità, a = a, viene violato con un estro geniale che svela una molteplicità di prospettive diverse. Parimenti, anche l’arte della retorica prevede l’uso di esemplificazioni drammatiche capaci di rafforzare un’argomentazione dall’impianto sostanzialmente logico.››

‹‹Ma, con tutto ciò›› – prosegue Bruner ( la citazione è da “La mente a più dimensioni”, editore Laterza) – ‹‹la validità di un racconto (sia che presuma di rispecchiare la verità, sia che si riconosca frutto di immaginazione) viene stabilita sulla scorta di criteri  diversi da quelli a cui si ricorre per giudicare  l’adeguatezza o la correttezza di un’argomentazione logica.››

Da consultare, leggere, approfondire.

(l’immagine è la stessa utilizzata nella copertina del libro “La ricerca del significato”, edito da Bollati Boringhieri)

“La memoria delle memorie”, di Moni Ovadia

(dal blog:  gariwo, la foresta dei giusti)

201501150655_giorno_della_memoria (1)L’approssimarsi della ricorrenza che porta il nome “Giorno della Memoria” ogni anno che passa sollecita con sempre maggiore urgenza, riflessioni non convenzionali su quale debba essere il senso profondo di questa istituzione nazionale ed europea. Il suo aspetto celebrativo si esaurisce nello spazio di una giornata e, spesso e man mano che i testimoni diretti ci lasciano, rischia di perdere la sua forza etica e la sua energia comunicativa.

Il contributo più significativo dato dal “Giorno della Memoria” alla nostra cultura è stato probabilmente quello didattico-educativo. Decine di migliaia di studenti hanno potuto conoscere e confrontarsi con un evento che ha segnato indelebilmente e irreversibilmente la storia dell’uomo, e ha ipotecato la natura stessa della sua relazione col proprio simile. Purtroppo, con il trascorrere del tempo e a misura che gli eventi tragici a partire dai quali si è cominciato a costruire l’edificio della memoria si allontanano da noi, si affacciano i rischi della museificazione e quelli ancora più corrosivi della falsa coscienza e della retorica. Questi ultimi fanno parte dell’armamentario di cui si servono spesso molti esponenti della classe politica per conquistare facili consensi o per rifarsi artificiose verginità, al fine di coprire politiche ingiuste e discriminatorie. È una tipica espressione di questa sottocultura strumentale il polarizzare con enfasi il ricordo e l’esternazione formale del dolore solo sullo sterminio degli ebrei, la Shoà, per sottacere quello delle altre vittime – i Rom in primo luogo, gli antifascisti, gli omosessuali, i menomati, i Testimoni di Geova, gli slavi, gli emarginati, i militari che rifiutarono di piegarsi ai nazifascisti. Una fattispecie inquietante di questa attitudine vile è quella di israelianizzare tout court l’eredità dello sterminio. Questa manipolazione è non solo ingiusta, ma anche pericolosa, perché sottrae universalità alla memoria e tende a ridurla a una questione nazionale. È necessario contrastare questa deriva anche per ribadire il significato universale dello stesso calvario dei sei milioni di Ebrei.

Personalmente ritengo che sia giunto il momento di ridefinire la cultura e l’ethos della memoria in direzione del valore integro della vita umana; non solo, più radicalmente, verso il valore integro della vita stessa in tutte le sue manifestazioni. Per cominciare si potrebbe cambiare da subito la denominazione “Giorno della Memoria” in “Giorno delle Memorie“. La nuova denominazione dovrebbe riorientare le manifestazioni, gli studi, l’edificazione della casa della Memoria come laboratorio della cultura di pace, di giustizia, di uguaglianza nel ricordo di tutti i genocidi e degli stermini di massa. Accomunati nel destino di essere stati vittime dell’odio annientatore, Ebrei, Rom e Sinti, Slavi, menomati, omosessuali, militanti della libertà, antifascisti, Cambogiani, Tutsi, Cinesi, Coreani, Argentini, i rappresentanti delle genti che hanno sofferto la pandemia dell’odio, interconnessi in una rete planetaria, potrebbero attivare un progetto comune per fare della memoria lo strumento principe per la fondazione di un’umanità redenta dalla violenza e dalla discriminazione.

Il grande scrittore e testimone Primo Levi, ammonendoci ad avere la consapevolezza che se l’orrore assoluto è accaduto può ripetersi, ci ha indicato l’orizzonte in cui collocarci per impedirlo: combattere la logica del privilegio in qualsiasi forma si manifesti.

Julio Monteiro Martins

1“Ieri 24 dicembre lo scrittore Julio Monteiro Martins ci ha lasciato, all’età di 59 anni. La notizia è arrivata dall’ospedale di Pisa (era stato colpito da uno di quei mali che vanno di fretta e ti lasciano sì e no il tempo di accorgertene) e ha iniziato a diffondersi nel pomeriggio, io l’ho letta su un blog dopo la mezzanotte. Avevo conosciuto Julio nel gennaio del 2009 quando venne a Jesi per gli incontri della terza edizione di Alfabetica (dedicati alla nuova letteratura in lingua italiana, non ci piaceva l’etichetta di ‘scrittura migrante’). Al mattino l’avevo accompagnato in una classe dell’Istituto d’Arte, poi per un’intervista a Radio Tlt, al centro di aggregazione giovanile, e alla sera alla sala maggiore della Biblioteca Planettiana. In biblioteca ci aveva raggiunto anche la scrittrice Cristina Ali Farah. La sala era piena e attenta. E poi, promotori di Alfabetica e scrittori tutti a cena insieme, a chiacchierare fino a tarda ora. La sera prima l’avevamo trascorsa da soli, a chiacchierare io e lui a zonzo per Jesi fino a tarda notte, con le strade svuotate, deserte, a scambiarci storie. Lui ne aveva molte da condividere, con la sua vita così ricca. “Sono come una candela che brucia intensamente, da tutte e due le parti” amava dire ma questa volta la candela è stata spenta in anticipo da un vento improvviso. Al mattino aveva aperto così l’incontro a scuola, leggendo il racconto “Antenne” (pubblicato nella raccolta “L’amore scritto”, Besa editore). Un operaio sale su un tetto per un lavoro e all’improvviso lo colpisce un vento fortissimo. “È il vento della vita”, diceva Julio ai ragazzi: “Normalmente soffia un po’ alla volta e riesci a sopportarlo ma altre volte arriva tutto insieme e non puoi resistergli”. Il protagonista del racconto ha appena il tempo di fare qualche telefonata per risolvere le ultime cose e non lasciare nulla in sospeso, ma viene interrotto a metà dell’ultima frase: “Ora non ce la faccio più. Sii forte anche tu amore mio! Ti amo tanto! Ma che ca-“. L’uscita on line del prossimo numero di Sagarana Julio l’aveva prevista per il 15 gennaio.
Ricordo con piacere quella lunga camminata in notturna per le strade di Jesi, una di quelle in cui il tempo si dilata e va oltre, riesce a spaziare: i suoi racconti, le vicende brasiliane e in altri paesi, la scrittura, l’annuale appuntamento letterario di scrittrici e scrittori migranti a Lucca, la rivista on line da lui diretta, Sagarana, gli amici in comune che anch’io iniziavo ad avere grazie al nostro piccolo festival di Alfabetica a Jesi, e tante altre cose. Una persona di simpatia immediata, grande affabulatore e anche animatore e ascoltatore. Saranno molti gli amici che ne sentiranno la mancanza, da quelli che gli erano più vicini a tutti quelli che lo frequentavano meno ma avevano avuto comunque occasione di incontrarlo oppure lo seguivano leggendo i suoi racconti o la sua rivista Sagarana. Qualche volta ho avuto anch’io l’onore di vedere pubblicato qualche racconto che con un po’ di timidezza gli avevo spedito, ma Julio sapeva essere incoraggiante e trovava sempre la giusta collocazione. “Siamo tutti veri scrittori, ognuno a modo suo”, risponde Julio in un’intervista di Lorenzo Spurio di qualche tempo fa. Discutevano per l’occasione sulla differenza tra “scrittori migranti ” e “migranti scrittori” ma Julio seguiva un discorso non circoscritto all’argomento ma valido a tutto campo: “Semmai, se devo proprio fare una distinzione tra “veri scrittori” e “falsi scrittori” direi che “falsi scrittori” sono quelli che scrivono con fini strettamente commerciali, gli autori dei “best seller” o candidati a tale, che scrivono una sorta di spazzatura modellata di proposito per corrispondere a un conformismo prefabbricato dal marketing delle case editrici e dello squallido collaborazionismo di una certa stampa.” Ci mancherà.
www.sagarana.net

Auguri

Scotta il primo sole dolce dell’anno…

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​… noi che viviamo in una sola generazione ogni generazione….

Auguri di buone feste e che il nuovo anno ci veda tenaci come sempre.

Blog: I luoghi della lettura

“Se hai qualche curiosità, io sono qui” ho detto ad un ragazzo che s’era avvicinato al tavolo dei libri esposti. “Sì ma il problema è che io non leggo” è stata la risposta pronta, quasi a dire “grazie al cielo sono immune.”
Esperienza interessante al mercatino solidale delle associazioni, alla nostra prima uscita, sperimentale e anche un po’ frettolosa, con i nostri primi libri, di quattro piccoli editori e di qualche amico. Qualcosa si è venduto, per lo più ad amici e conoscenti; che si sarebbe venduto poco l’avevamo previsto, ma poi il concretizzarsi delle previsioni è sempre un’altra cosa.
Avevo scorso, alla mattina prima di andare, alcune statistiche Istat: tra gli uomini solo 3 su 10 circa leggono almeno un libro all’anno. Beh, mi sono detto, tra poco è anno nuovo, è la volta buona che si rinnovi il rito. Tra le donne invece la media sale a 5 su 10: sempre un passo più avanti le donne ma uno solo, senno ci lasciano soli! Questi valori, inoltre, sono in calo negli ultimi anni. Se va avanti così tra poco chi leggerà un libro verrà visto di traverso, una persona da cui guardarsi.
Perché si legge così poco? Dalle indagini e dalle statistiche non si capisce, eppure si stampano in Italia circa 50 mila titoli ogni anno. Forse è come diceva Troisi? “Non è colpa mia, io leggo ma sono da solo e voi siete in tanti a scrivere!”
Un bel problema per un’associazione appena nata, che vuole promuovere la lettura, con un’attenzione particolare ai nuovi autori e alle piccole case editrici. “Io oramai leggo solo classici” rispondeva il poeta Di Ruscio alla scrittrice fermana Luana Trapè (come racconta lei in “Femminile plurale”). Un bel ginepraio di domande, con risposte da cercare a tutto campo, ed è faticoso poi rimetterle in ordine. Una tra le tante: come dev’essere il luogo dove si vendono, e si propongono, i libri? Bisognerebbe chiederlo ai librai, innanzitutto, che lo fanno per mestiere e spero anche per passione, da una vita: che cosa sta avvenendo? Certe volte penso che le librerie, così come le conosciamo, rischiano di fare la fine delle vecchie sale cinematografiche, ma non è una ineluttabile legge di natura, è soltanto una dinamica sociale.
Tornando “al nostro piccolo” il nostro luogo di questi due giorni (lo spazio del mercatino) non era un granché. Un po’ squallido e un po’ emarginato, condividevamo tutti questo sentimento parlando tra noi, ciascuna associazione presente con le sue cose da proporre. Questo sentimento di sentirsi fuori non valeva solo per noi, con i nostri libri da proporre, ma per tutti, per qualsiasi discorso che cerca un punto d’incontro. Rimedieremo. Mi veniva in mente il libro di Marc Augé sui “non luoghi”, cioè di quegli spazi fisici privi di significato, cioè di relazioni e di storie. Il paradosso è che ci trovavamo non sotto un capannone anonimo in qualche periferia ma al centro storico (ieri mattina anche il mercato degli ambulanti era quasi deserto): che cosa è avvenuto in questi anni, che ha svuotato questi luoghi delle sue storie?

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