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“Scacchiere federiciano”, edizione d’arte di Ezio Bartocci

“A pochi personaggi della storia è toccato in sorte come a Federico II di Svevia di essere, ancora vivi, protagonisti di un mito” scrive Antonio Ramini nell’introduzione alla nuova edizione d’arte di Ezio Bartocci “SCACCHIERE FEDERICIANO”, che viene presentata sabato 14 novembre 2015 alle ore 17.00 – a Villa Colloredo Mels, sede del Museo Civico Recanati.
12190089_439966562863082_1696018425498812498_nEzio Bartocci, artista militante, pittore e grafico attivo dalla seconda metà degli anni ’60, alterna all’attività di ricerca e di design la grafica d’arte ed editoriale. Il suo segno tagliente ed essenziale, principalmente emergente da superfici nere, ha contribuito sin dai primi anni ’70 a rinnovare il linguaggio della grafica.
In questo nuovo lavoro l’artista si ispira all’iconografia federiciana e utilizza la simbologia del gioco degli scacchi per rendere omaggio al “Grande Giocatore” che ha segnato la storia, di cui Recanati conserva un importante documento, “la Bolla Aurea”, proprio nel Museo Civico di Villa Mels.
Il mito federiciano, già vivo al suo tempo, con il passare dei secoli anziché affievolirsi si è fatto più grande. “Affascinante dimostrazione della contemporaneità del mito federiciano nel nostro tempo – scrive ancora Ramini – è la serie di raffinate tavole eseguite a filo di pennello e penna con la tecnica dell’acricilico, come prototipi per altrettante serigrafie dedicate al grande imperatore da Ezio Bartocci, artista di sperimentato valore, mosso in ogni sua composizione dall’esigenza interiore di instaurare un ideale colloquio con il fruitore dell’opera d’arte, talora anche provocandolo, ma senza dubbio elevandolo mediante l’emozione estetica.
Con originale invenzione l’artista ha sinteticamente rievocato gli aspetti più caratteristici della complessa personalità di Federico II ispirandosi al gioco degli scacchi, non soltanto perché questo era molto diffuso nei medievali ambienti cortesi, ma anche perché il sovrano stesso sembra incarnare la figura del grande giocatore, abile nella strategia, nella progettazione, cioè, di piani dalle ampie e lungimiranti vedute, altrettanto pronto e talora spregiudicato, nella tattica, come dimostrò in alcuni momenti critici della sua vicenda politica, quando con rapida destrezza seppe affrontare situazioni difficili, uscendone spesso vincitore.
1Né può sfuggire la gamma di significati esoterici e simbolici che presenta il gioco degli scacchi, le cui figure possono evocare certe immagini dei tarocchi, allegoria, quasi, di quel Destino che non poca parte giocò nella vita dello Stupor mundi. Sei sono pertanto le tavole che Bartocci ha dedicato alla rievocazione del personaggio di Federico II, perché sei sono i pezzi degli scacchi.”

Alla presenza dell’autore interverranno l’assessore alla cultura Rita Soccio, il direttore del Museo Antonio Perticarini, il prof. Antonio Ramini autore del testo e lo scrittore Daniele Garbuglia. Per l’occasione è stato realizzato un video.
L’iniziativa è patrocinata dall’assessorato alla cultura di Recanati in collaborazione con l’associazione Spazio Cultura.

(vedi anche Scacchiere Federiciano, sulla rivista on line Solo Scacchi)

Il viaggio di Matthias verso Est

(tratto dal blog bikepartisans, del 7 ottobre 2015)

In questi giorni in cui arrivano tristi notizie di guerra si fa sempre più pressante l’esigenza di avere giornalisti non embedded, voci lucide e sincere che non si limitino a ripetere i comunicati di governi e stati maggiori ma ascoltino le voci delle strade, osservino il volto dell’altro.
Benvenute dunque voci giovani e appassionate come quelle di Matthias Canapini da Fano. 23 anni, appassionato rugbista, ha iniziato quattro anni fa a viaggiare VERSO EST (come il titolo del suo primo e-book, edito da Altroviaggio dell’amico Tullio Bugari).
Ha il viziaccio di voler vedere con i suoi occhi, domandare, viaggiare come i locali (solo e rigorosamente mezzi pubblici), ascoltare, registrare e fotografare, che si tratti dei campi profughi in Siria o del cantiere Tav della Maddalena.
L’abbiamo intervistato via Skype mentre era a Bangkok, ora che scriviamo si trova in Myanmar. Ma che ve lo diciamo a fare? Facciamo come lui: spazio alla sua viva voce!

Senza titolo

Potete seguire i suoi reportage:
sul suo blog;
sulla sua pagina Facebook;
su alcune testate online.

Verso Est. Appunti di viaggio,  di Matthias Canapini (formato ebook)

“La macchina sognante” (Sul perché della “macchina”, macchinisti e visioni del futuro)

È on line dal 1° ottobre il numero zero della rivista “La macchina sognante”, ricca di interventi, riflessioni, racconti, poesie, citazioni; il titolo è lo stesso del romanzo postumo di Julio Monteiro Martins, pubblicato da Besa editrice, e la stessa rivista è un omaggio a Julio; sul percorso che ha portato alla sua realizzazione e «sul perché della “macchina”, macchinisti e visioni del futuro», ecco la riflessione di Bartolomeo Bellanova e Pina Piccolo. 

sabbiaPer far continuare a vivere un’eco dell’opera di Julio Monteiro Martins lo scrittore brasiliano recentemente scomparso abbiamo battezzato questo spazio aperto “La macchina sognante”, prendendo a prestito il titolo del suo ultimo libro di riflessioni, pubblicato postumo a marzo 2015. Ci siamo ritrovati con entusiasmo ad  essere l’equipaggio di questa “macchina sognante” che è la letteratura; una letteratura attorno alla quale ha ruotato la stessa vita dell’autore, che mai ha fatto della scrittura un atto isolato e solitario, ma si è sempre esposto pubblicamente per renderla pratica attiva, bene pubblico. Una letteratura, per noi macchinisti che s’interfaccia continuamente con la realtà sociale delle rispettive comunità e che non può essere rifugio metafisico fuori dal mondo. Una letteratura che attraverso la parola dia forma ai contenuti di disagio, protesta, disperazione, speranza nella convinzione che tutti i fenomeni del mondo sono interconnessi tra loro. Continua a leggere

“La narrazione fatta e non ascoltata”, ricordando Primo Levi

Primo-Levi-24Oggi è la ricorrenza della nascita di Primo Levi, il 31 luglio 1919. Quel giorno il parlamento tedesco approvava la costituzione della repubblica di Weimar e quello italiano la modifica in senso proporzionale della legge elettorale. Appena dieci giorni prima, tra il 20 e il 21 Luglio, in diversi paesi europei s’erano svolte grandi manifestazioni – con uno sciopero generale anche in Italia – contro quanto previsto dal trattato di pace firmato a Versailles dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale, in nome della solidarietà tra i popoli, per la difesa delle rivoluzioni in Russia e in Ungheria e contro il sostegno agli eserciti “bianchi” offerto dai paesi vincitori. A Berlino, già nel mese di gennaio si era consumata la repressione contro l’insurrezione spartachista, con la morte di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Il mondo sembra già essere andato da un’altra parte quanto Primo Levi, all’età di 24 anni, è arrestato dalla milizia fascista in Valle d’Aosta – durante un rastrellamento contro i partigiani – e tradotto prima a Fòssoli e poi ad Auschwitz, a cui sopravvisse e di cui raccontò nel libro “Se questo è un uomo”.

Personalmente, ho conosciuto questo libro grazie a un bravo professore – Fabio Fornaroli  – che durante l’anno scolastico ce lo aveva letto ad alta voce : correva l’oramai lontano ’68. È stata per me una lettura formativa. L’ho riletto più volte e di tanto in tanto, quando mi occorre, perché devo affrontare questi temi, continuo a consultarlo. Uno dei brani che più mi piace citare, è quello del sogno del ritorno a casa, un sogno che Primo Levi faceva quando ancora era chiuso nel lager, e che anche altri suoi compagni di sventura facevano identico. Non ho mai capito se è per un malcelato timore di indifferenza oppure per la consapevolezza di vivere un’esperienza oltre qualsiasi soglia del verosimile, o quale possa essere davvero il confine tra questi due pensieri. Primo Levi racconta il suo sogno così:

“… c’è mia sorella e qualche mio amico non precisato, e molta altra gente. Tutti mi stanno ascoltando, e io sto raccontando proprio questo: il fischio su tre note, il letto duro, il mio vicino che io vorrei spostare, ma ho paura di svegliarlo perché è più forte di me. Racconto anche diffusamente della nostra fame, e del controllo dei pidocchi, e del Kapo che mi ha percosso sul naso e poi mi ha mandato a lavarmi perché sanguinavo. E’ un godimento immenso, fisico,inesprimibile, essere nella mia casa, fra persone amiche, e avere tante cose da raccontare: ma non posso non accorgermi che i miei ascoltatori non mi seguono. Anzi, essi sono del tutto indifferenti: parlano confusamente d’altro fra di loro, come se io non ci fossi. Mia sorella mi guarda, si alza e se ne va senza far parola.
Allora nasce in me una pena desolata, come certi dolori appena ricordati della prima infanzia: è un dolore allo stato puro, non temperato dal senso della realtà e dalla intrusione di circostanze estranee, simile a quelli per cui i bambini piangono; ed è meglio per me risalire ancora una volta in superficie, ma questa volta apro deliberatamente gli occhi, per avere di fronte a me stesso una garanzia di essere effettivamente sveglio.
Il sogno mi sta davanti, ancora caldo, e io, benché sveglio, sono tuttora pieno della sua angoscia: e allora mi ricordo che questo non è un sogno qualunque, ma che da quando sono qui l’ho già sognato, non una ma molte volte, con poche variazioni di ambiente e di particolari. Ora sono in piena lucidità, e mi rammento anche d’averlo raccontato ad Alberto, e che lui mi ha confidato, con mia meraviglia, che questo è anche il suo sogno, e il sogno di molti altri, forse di tutti. Perché questo avviene? Perché il dolore di tutti i giorni si traduce nei nostri sogni così costantemente, nella scena sempre ripetuta della narrazione fatta e non ascoltata?”

“MANIFESTI. Fogli di strada.” di Ezio Bartocci

L’artista Ezio Bartocci e la curatrice Lucia Cataldo, hanno presentato ieri 25 giugno, presso lo spazio espositivo Mirionima dell’Accademia delle Belle Arti, in piazza della Libertà a Macerata, la mostra “MANIFESTI, fogli di strada”, che resterà esposta fino al 13 luglio.
123456Si tratta di una raccolta significativa di circa 50 opere che propongono al visitatore l’itinerario grafico di Bartocci dagli anni Settanta a oggi, attraverso la realizzazione di uno specifico prodotto artistico, il manifesto, che non è esaustivo della sua attività ma a cui ha sempre riservato un’attenzione particolare.
“Il preminente interesse per la grafica e il design – scrive  Loretta Fabrizi – caratterizza tutta la sua intensissima attività con manifesti, illustrazione di libri e riviste, copertine editoriali, cataloghi. A partire dalla metà degli anni Sessanta l’artista ha realizzato un inconfondibile alfabeto segnico con cui ha “reinventato” il mezzo grafico grazie alla dimensione aperta e sperimentale di incontri e combinazioni di tecniche, materiali, linguaggi tenuti insieme da una sottile ironia e dal gusto del gioco.”
Il manifesto , dunque, non come prodotto al servizio della pubblicità e del marketing, bensì come sviluppo delle potenzialità artistiche e come messaggio di nuovi valori per contribuire al cambiamento sociale?
“Nella serie di manifesti realizzati per iniziative culturali ed enti pubblici – scrive ancora Loretta Fabrizi – l’artista ha saputo mantenere una propria cifra espressiva elaborando nel contempo segni ed immagini di chiara decifrabilità volte a costruire consenso e partecipazione. Il senso sociale della comunicazione è avvertito più che mai nei panni del progettista al servizio del bene pubblico che deve contribuire alla crescita collettiva stimolando l’interesse e la passione per i valori comuni, per il patrimonio condiviso. Il manifesto deve dunque potersi distinguere dalle migliaia di altri prodotti analoghi e senza scadere nel modello meramente pubblicitario deve rendere desiderabile un’idea, un valore, un bene immateriale, allo stesso modo di un altro prodotto. Di qui la scelta di soluzioni grafiche che coniugano la qualità artistica di segni e delle immagini con la facile decifrabilità per l’apertura di canali comunicativi evocativi e dialoganti. Qualità estetica, forza evocativa, chiarezza comunicativa e coinvolgimento sono i punti di forza di un processo che ha un evidente fondamento etico al quale Ezio Bartocci non ha mai rinunciato.”

(la mostra è aperta dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 18, fino al 13 luglio; Info: 328 4571125  –  Accademia delle Belle Arti, spazio espositivo Mirionima, piazza della Libertà, Macerata.
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RUSSIA: La scure dell’autocensura sui media indipendenti

(Articolo di Sophie Tavernese, uscito il 11 giugno 2015 su EAST JOURNAL)
thumb.phpLa Russia è da sempre in fondo alle classifiche mondiali sulla libertà di stampa. Ed è notorio. Dal 1992 ad oggi, secondo Cpj, sono 36 gli omicidi di giornalisti documentati, con un tasso di impunità che sfiora il 90 per cento. Inoltre, reporter e cronisti subiscono con preoccupante frequenza aggressioni e minacce. Dalla sua ultima rielezione nel 2012 e, soprattutto, in seguito al conflitto ucraino e all’annessione della Crimea, Putin ha ulteriormente inasprito le già dure norme che colpiscono i media nazionali non allineati.
Bisogna fare molta attenzione a criticare il governo: dopo tre ammonimenti – per aver in qualche modo infranto la legge – i giornali, i siti web e i canali televisivi vengono chiusi. Inoltre è vietato parlare di separatismo o anche solo di minoranze etniche e linguistiche – indipendentemente da quello che si sta scrivendo e raccontando. Si può essere incriminati, è illegale. Continua a leggere

“Pennac, Baricco e la scuola”, di Alain Goussot

(Articolo di Alain Goussot, dal blog comune-info)

Interessante paragonare le recenti riflessioni dello scrittore francese Daniel Pennac (leggi l’intervista di lejdd.fr) con quelle dello scrittore italiano Alessandro Baricco sulla scuola (tra i diversi interventi recenti leggi qui): il primo punta sull’importanza del desiderio di apprendere, anzi sul piacere di apprendere, addirittura consiglia di non fare entrare gli altanebooksalunni in classe con ipad, cellulare e pc poiché questi mezzi (da non demomizzare) favoriscono la fuga dall’esperienza relazionale che costituisce il fondamento dell’esperienza educativa, invece Baricco propone quasi il contrario con una scuola che dovrebbe rinnovarsi partendo dal digitale. Pennac si preoccupa della formazione come cittadino consapevole e autonomo, dell’apprendimento possibilità di fare emergere una soggettività critica per combattere la trasformazione dell’alunno in consumatore asservito ad un sistema alienante che uccide ogni capacità di essere per davvero libero.

Baricco afferma che digitale e linguaggio scolastico non s’incontrano evitando tuttavia di ragionare, come fa Pennac, sugli effetti del digitale sullo sviluppo psico-emozionale e neuro-cerebrale del bambino. Continua a leggere

“Se non sappiamo più leggere, come facciamo a scegliere un libro?”

Tratto dal sito “2 RUOTE DI RESISTENZA”, di Nica Mammì e Daniele Contardo, dall’articolo “23- 27 giugno: dalla Val d’Elsa al Casentino, passando per il Chianti”, una tappa del loro viaggio in bici nel 2014 lungo l’Italia “Alla ricerca del popolo che manca”.

picSolo 30 km ci dividono da Capolona. La nostra tappa successiva, per la precisione, è Apia, piccola frazione di Capolona. Siamo in terra aretina, per intenderci, a circa 12 km da Arezzo: percorrendo strade secondarie, attraversiamo la campagna casentina, che ci appare meno olografica di quella senese, la strada è tendenzialmente in salita costante ma sopportabile, a parte le frequenti buche che ci costringono a slalom a tratti pericolosi, per fortuna il traffico non è così frequente nonostante i centri abitati non manchino. Qui ci attende un incontro importante. Continua a leggere

Una parola gettata nella mente (ricordando Gianni Rodari)

rodariGIANNI RODARI (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980).
“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna… Non diversamente una parola gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente  non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.”
Da “Il sasso nello stagno“, in GRAMMATICA DELLA FANTASIA.

“Da un lapsus può nascere una storia, non è una novità. Se, battendo a macchina un articolo, mi capita di scrivere “Lamponia” per “Lapponia”, ecco scoperto un nuovo paese profumato e boschereccio: sarebbe un peccato espellerlo dalle mappe del possibile con l’apposita gomma; meglio esplorarlo, da turisti della fantasia. (…) Un errore ortografico, se ben considerato, può dar luogo ad ogni sorta di storie comiche ed istruttive, non prive di risvolto ideologico, come io stesso ho cercato di dimostrare nel mio “Libro degli errori”. “Itaglia” , con la g, non è solo una licenza scolastica. C’è davvero gente che grida, anzi, scandisce: “I-ta.glia”, “I-ta-glia”, con una brutta g in più, cioè con un accesso nazionalistico e un tantino fascistico dentro. L’Italia non ha bisogno di una g in più, ma di gente onesta e pulita, E semmai di intelligenti rivoluzionari. (…) Molti dei cosiddetti “errori” dei bambini, poi, sono altra cosa: sono creazioni autonome, di cui si servono per assimilare  una realtà sconosciuta. “Pasticca”, “pasticchina”, possono suonare a un orecchio infantile parole senza senso. Egli non si fida di loro e, assimilando l’oggetto all’azione che comporta, usa la parola “mastichina”. Tutti i bambini hanno di queste invenzioni.”
Da “l‘errore creativo“, in GRAMMATICA DELLA FANTASIA

“Chiamerò “tabù” un certo gruppo di storie che personalmente trovo utile raccontare ai bambini, ma di fronte alle quali molti arricciano il naso. Esse rappresentano un tentativo di discorrere col bambino di argomenti che lo interessano intimamente  ma che l’educazione tradizionale relega in generale tra le cose di cui “non sta bene parlare”: le sue funzioni corporali, le sue curiosità sessuali. S’intende che la definizione di “tabù” è polemica e che io faccio appello all’infrazione del “tabù” (…) Conosco anche i guai che toccano agli insegnanti, sia di scuola materna che di scuola elementare e media, i quali vogliano portare bambini e ragazzi a esprimere totalmente i loro contenuti, a liberarsi di tutte le paure, a sconfiggere ogni eventuale senso di colpa. Quella parte  dell’opinione pubblica che rispetta i “tabù” fa presto ad accusare di oscenità, a far intervenire le autorità scolastiche, a sventolare il codice penale. Che un bambino osi disegnare un nudo maschile o femminile, completo dei suoi attributi e facilmente contro il suo insegnante  si scateneranno la sessuofobia, la stupidaggine e la crudeltà del prossimo. Ma quanti insegnanti riconosceranno ai loro scolari la libertà di scrivere, se occorre, la parola “merda”? (…) Il fatto dell’automobile ha direttamente influito sulla mia “Storia del re Mida”: il quale, liberato dal dono di dover trasformare in oro tutto ciò che tocca, per un certo contrattempo viene costretto a trasformare ciò che tocca in “cacca”, e la prima cosa che tocca è giusto la sua automobile…”
Da “Storie tabù“, in GRAMMATICA DELLA FANTASIA

 

“La lingua delle farfalle”, di Manuel Rivas

La lengua de las mariposas.  È un racconto di Manuel Rivas, rappresentato ieri sera nella piccola biblioteca del paese di Agugliano, dalle mie parti. 1Voce narrante Raffaela Bruschetta, accompagnata dalle musiche dal vivo di Marco Medici e dalle immagini pittoriche proiettate di Luca Morici. Non una compagnia di professionisti che calca abitualmente le scene ma appassionati, in questo senso sì professionisti, che si applicano per rendere un omaggio di qualità a un bel testo letterario. Mi venivano in mente, mentre ascoltavo e guardavo le immagini, i cartelloni dei cantastorie, che mettono in scena la vita e i drammi, ma cantastorie originali, di nuova indole. Le immagini mi ricordavano certi disegni di Carlo Levi o Giuseppe Zigaina, di pari profondità e al tempo stesso più leggeri, o forse di una tristezza in più: là i sogni che crescevano, qua i sogni che svaniscono. Come il tono del racconto. Il racconto è contenuto in una raccolta uscita alcuni anni fa in Italia per la Feltrinelli, andato oramai esaurito. Non mi risulta che ci siano altri libri in circolazione in Italia dello stesso autore.

123Dal racconto è stato tratto anche un film, La lengua de las mariposas, uscito nel 1999 soltanto in Spagna, del regista José Luis Cuerda, che aggiunge al racconto ulteriori piccoli episodi, ma forse si tratta solo del diverso uso di altri linguaggi. C’è una scena, ad esempio, nella quale il maestro Don Gregorio riceve un’onorificenza e tiene un discorso davanti ai genitori e agli alunni che lo applaudono; ci sono però anche delle autorità militari che ad un certo punto si alzano stizzite e se ne vanno sbattendo platealmente la porta. Come un presagio. La frase pronunciata dal maestro Don Gregorio è questa: “Si conseguimos que una sola generacion crezca libre, tan solo una sola generacion, ya nadie les podrá arrancar nunca la libertad, nadie les podra robar ese tesoro”.

Un discorso troppo libertario. Sono anni di duro scontro politico in Spagna, durante l’effimera vita – come una farfalla – della seconda repubblica spagnola, dal ’31 al ’36, prima del pronunciamento di Franco. Il racconto di Manuel Rivas è breve, è costruito come un delicato ricordo di infanzia dell’io narrante, Pardal o Passero in italiano, e la sua storia è simile a una metamorfosi. La lingua delle farfalle è come una molla, racconta Don Gregorio ai suoi alunni, affascinandoli con i suoi racconti. Stanno aspettando un microscopio da Madrid, per penetrare quei segreti profondi della natura, ma arriveranno prima i militari. Manuel Rivas non è di quell’epoca, nasce circa venti anni dopo e, dunque, pesca non dai ricordi diretti ma dall’immmaginazione collettiva, ricostruendo la storia dalla quale la vita di oggi è scaturita. Un aggancio a quel passato che c’era prima, bruscamente interrotto. Compare nel racconto una poesia di Antonio Machado, “Ricordo d’Infanzia” appunto, che viene letta anche nel film: Continua a leggere