Per farlo uscire verso il cielo

Alcune note e riflessioni dalla conversazione con Michele Gianni e la sua storia “Rantologia, viaggio dal paese dei tubi” per il secondo appuntamento con Le Marche in Biblioteca 2020. Con alcune foto ‘mascherinate’ della serata.

Ma esiste già una narrazione dell’era covid? Questa domanda non l’ho formulata in questo modo giovedì sera 15 ottobre, nella conversazione con Michele Gianni che raccontava del suo “Rantologia, voci dalla terra dei tubi” (Qui la scheda sul libro , pubblicato da Ventura edizioni, che ho già scritto la scorsa settimana) ma ha preso nei miei pensieri questa forma più perentoria e di aperto dubbio solo dopo che ci siamo alzati dal tavolo.

La forma della domanda che ho usato durante la serata è stata più diretta e personale, quando ad un certo punto, ascoltando Michele soprattutto nel suo modo di parlare più che nelle parole – che il suo libro l’avevo già letto nella prima bozza in pdf del mese di aprile e poi di nuovo una decina di giorni fa avvicinandomi all’incontro – mi sono trovato a seguirlo nel suo ritmo interno, più testimonianza che racconto, alle prese con una massa di ricordi ancora freschi e molteplici di quelle giornate piene di tanti dettagli, anche contraddittori e in contrasto uno con l’altro, carichi insieme di angosce o istinto di sopravvivenza, a volte grotteschi oppure addirittura comici o ridicoli, basta ruotare lo sguardo o la percezione ed è come un caleidoscopio, un concentrato inedito di vita e di vitalità costrette alla lotta per uscirne fuori, e tornare in sé, per sentirsi bene anche addosso, ma ora con questo nuovo mondo inedito di esperienze da domare.

Lì sul momento nemmeno io stavo domando le mie percezioni, le lasciavio fluire, limitandomi all’istinto, seguendo il ritmo del suo rievocare e descrivere lontano dalla tentazione di spiegare ma intento piuttosto a ‘riportare’, e ad un certo punto l’ho interrotto e gli ho chiesto: “Ma tu, che hai scritto subito il libro appena rientrato a casa, hai già ‘assimilato’ questa esperienza oppure ancora ti vive dentro e la stai ancora assimilando, è un processo ancora in corso?”  Che può essere intesa anche come una domanda retorica, che riguarda l’ovvio, perché è senz’altro così, e quindi per paradosso diventa ancora più complicato rispondere, ma dalle parole di risposta comprendevo che quella domanda avrei dovuta rivolgerla, piuttosto, a tutti noi.

M’è venuta in mente allora in modo più chiaro la differenza tra la mia stessa prima lettura del suo racconto, in aprile, quando eravamo tutti chiusi a casa e nel momento del dramma esploso, che ci aveva colti alla sprovvista, eravamo vogliosi di partecipare in qualche modo a ciò che accadeva agli altri, ai nostri amici, a quel mondo di relazioni ora ‘distanziato’ che là fuori non potevamo raggiungere fisicamente, e curiosi di capirci qualcosa, ma ancora convinti ingenuamente che ne saremmo usciti velocemente, per tornare al prima, si trattava solo d’avere pazienza di questa sospensione inattesa. E in questa attesa forse c’era un po’ anche quell’aria di quando si affronta una battaglia che s’immagina eroica dura e veloce. Mi torna in mente questo video, che stimolato dallo scritto di un amico preparai e pubblicai sette mesi fa, a metà marzo, e s’ìintitolava “Domani, per il pane e le rose”.

Ora invece la seconda lettura del libro avvenuta pochi giorni fa ha avuto un effetto diverso, come l’accorgersi in ritardo che qualcosa è accaduto, l’abbiamo visto bene ma l’attenzione comunque non era adeguata e il mondo già non è più esattamente come prima. Forse, più che l’angoscia suscitata ora dagli allarmi sul ritorno incombente del contagio (c’è chi dice che anche l’ondata di ritorno di uno tsunami sia più angosciante), è proprio questo scarto di significato che si è prodotto e sta continuando a prodursi, a creare questa sensazione di incertezza.

Ma sto parlando esclusivamente delle mie percezioni, torniamo alla serata. La conversazione con Michele è stata accompagnata da tre interventi musicali di Claudio Durpetti della Scuola Musicale Pergolesi di Jesi, che aveva scelto per l’occasione tre brani di musica classica, da lui proposti con la chitarra: Fernando Sor, Andante dall’op. 31; Ferdinando Carulli, Moderato e Niccolo’ Paganini, Sonatina. Mentre ascoltavo mi sembrava che le corde della chitarra potessero essere una metafora delle nostre corde interne, che hanno bisogno di ritrovare la loro armonia e sinfonia, il loro respiro. Al termine di uno dei brani ho chiesto a Michele quali erano i suoni, o i ‘rumori di fondo’ che ascoltava nelle lunghe giornate e notti d’ospedale: «La colonna sonora di questo ricovero era il rantolo, così è venuto fuori ‘Rantologia’… questo rantolo che veniva da tante stanze, si sentiva sempre, più o meno forte, con tante sfumature diverse….».

Abbiamo parlato di molte altre cose. L’intera conversazione è stata registrata interamente, e si può riascoltare con comodo sulla pagina di Jesi Cultura Turismo; ne riporto qui in chiusura soltanto un brano, proprio le parole di Michele prima che io lo interrompessi con la domanda da cui sono partito per queste mie riflessioni:  «purtroppo ho visto diverse persone, più anziane di me, che non ce l’hanno fatta a uscirne. C’è un capitolo del libro con il titolo ‘La morte accanto’, in cui descrivo anche questa cosa abbastanza pesante, anche e soprattutto per il personale sanitario, che non ce la faceva a stare dietro a tutto. Io sono stato accanto al mio vicino di letto morto per una giornata intera, perché non ce la facevano a portarli via subito, ce n’erano troppi altri. Anche in questa situazione, la più drammatica, che forse è proprio ‘apice del libro, nella quale… io che sono un noto agnostico, con questa persona al mio fianco che è morta nella solitudine totale, io mi sono sentito addosso una specie d’istinto… di dargli una specie di benedizione, una specie di cerimonia forse anche un po’ pagana, e poi gli ho aperto la finestra come per farlo uscire verso il cielo… e quando apro la finestra mi resta in mano la maniglia della finestra. E così, anche nei momenti più drammatici, accade insieme sempre qualcosa di grottesco, la maniglia che mi resta in mano. C’è sempre questo doppio aspetto… drammatico ma anche in qualche modo creativo, a volte involontariamente ridicolo, che a volte ti fa trovare anche degli aspetti divertenti… è questo che mi sono trovato a vivere e ho cercato di riportare in questo racconto». 

 

 

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