Titolo: Rantologia. Voci dalla terra dei tubi
Autore: Michele Gianni
Casa editrice: Ventura edizioni
Incontro con Michele Gianni alla Biblioteca Planettiana di Jesi giovedì 15 ottobre ore 21.15 per il secondo incontro della rassegna Le Marche in Biblioteca 2020. la conversazione con l’autore sarà accompagnata dalla lettura di alcuni brani a cura di Arci Voce aps e dagl iinterventi musicali di Claudio Durpetti, insegnante della Scuola Musicale Pergolesi.
Rantologia è uno di quei libri che l’autore non vorrebbe mai trovarsi nella situazione di dover scrivere, però poi qualche trama del destino ti ci tira dentro, sconvolgendo tutto e anche di più, perché, oltretutto, l’unica cosa che si sa del virus della corona è che nessuno ne sa quasi nulla, medici compresi, tranne il fatto che gli ospedali si stanno già intasando. Era così in quei primi giorni di marzo di questo 2020, una sorta di nuova realtà “due punto zero due punto zero”. All’inizio è una febbriciattola strana che non somiglia alle altre di cui si ha esperienza, poi la lenta ma inarrestabile escalation, con tutti i passaggi preliminari, in cerca di accertamenti o conferme cioè tamponi che però si fanno attendere, il poi il ricovero, l’isolamento, la tac, la febbre che cresce, il medico che ti visita dal corridoio e manda in camera l’infermiera come suo ambasciatore, poi arrivano i tubi, di cui volenti o nolenti si diventa un poco esperti, metti e togli, protesi del corpo e di non si sa bene con certezza cos’altro, come se gli stessi confini di se stessi – in questo confinamento – assumano una diversa consistenza.
Il virus della corona interagisce anche con i pensieri, perché mentre il corpo combatte la sua battaglia cercando di non soccombere, si resta se stessi nei pensieri, è lì che ci si rifugia. L’8 marzo Michele doveva salire sul palco di un teatro per uno spettacolo “sull’8 marzo”, e già questa bizzarria, attore uomo che pretende di parlare di donne – ma non è solo il suo spettacolo a essere interrotto, è proprio l’8 marzo in quato tale – introduce una nota in più in questa storia, come una sorta di aporia, nella quale lo stesso Michele si rifugia durante le notti insonni del ricovero, perché è ancora convinto che basterà il rinvio di un mese e ad aprile lo spettacolo tornerà sul palco, lo stesso teatro lo ha rimesso in programmazione. Così in quelle notti Michele si ripassa nel silenzio dei suoi pensieri le battute, già mandate a memoria, per mantenerle vive e magari continuando a limarle, aggiustarle, immaginando il tono migliore, mentre sono quelle stesse batture che aiutano lui a fare manutenzione del suo spirito.
Ho scelto questa immagine tra le tante, per introdurre questo libro, forse perché s’intravede meglio in queste righe quel leggero tono sornione che associo sempre a Michele e che comunque percorre più in profondità il suo racconto, senza mai osare al tempo stesso di scherzare su quanto gli sta accadendo, e sui paradossi che mettono in evidenza, o che uno può cogliere anche dentro di sè una volta che ha modificato il suo sguardo.
Michele racconta quei giorni e non torna a noi per darci spiegazioni o consigli: “In questa epidemia, moltissimi danno pareri, indicazioni, sentenze. Io non dico niente, non conosco niente, non ci capisco niente. Io racconto.” Così è proprio con questo spirito che un giorno gli viene in mente una sera di… «dare notizie di me al mondo tramite facebook. Mi faccio un selfie orrendo con la testa sul cuscino e la maschera dell’ossigeno in faccia attaccata al tubo. Scelgo Shakespeare per la didascalia. “Tubi or not tubi, questo è il problema. Saluti dalla terra dei tubi.” Ci penso un po’, poi pubblico. Mi sveglio nel cuore della notte. Non ho orologio, per vedere che ore sono accendo il telefonino. Sono le due. Adesso il problema è riprender sonno. Mi viene in mente di guardare che effetto ha sortito il mio post su facebook. Centinaia e centinaia di commenti scorrono sotto quella foto raccapricciante. (…) Mi si spalanca un mondo di gente che mi vuol bene, ma anche di gente chiusa in casa da giorni che ha una gran voglia di condividere emozioni, che trova all’improvviso un contatto con un ospedale dove si sta consumando la tragedia e ci vuole essere, vuole partecipare, tenere questo canale aperto.
Il mio narcisismo da attorucolo, la mia vanità trovano piena realizzazione in questa pioggia di commenti. La vicinanza di tutta questa gente mi dà una forza straordinaria, ormai non c’è più partita, la mia vittoria sul virus della corona è fuori discussione.»
Ci sono anch’io tra gli amici che vedono quell’orrenda foto e ne sono scosso come tanti altri, mando un messaggio a lui e poi a mia volta la condivido con altri amici che abbiamo in comune, e lo seguo così fino a vedere dalle foto ilo diradarsi dei tubi e poi finalmente quella allucinata corsa nell’ambulanza che lo riporta a casa, paradossale anche lei tutta coperta di carta stagnola, come la scenografia di un qualche teatro di parrocchia: «Il filmato è un trionfo di critica e di pubblico. La gioia di chi mi segue su facebook per il mio ritorno a casa si mescola allo sbalordimento per quella irreale fantasmagorica scenografia dorata frusciante che nessun premio Oscar avrebbe potuto ideare. Su facebook, dopo il ritorno a casa, non ho messo più niente. È rimasto il filmato.»
E poi qui – ma siamo darante la covalescenza a casa nei giorni della scrittura di questo racconto – ecco anche la Canzone del tampone: https://www.facebook.com/michele.gianni.37/videos/10206765058841223/