L’incontro con Cinzia Perrone (“L’inatteso”)

«Non è la carne né il sangue ma il cuore a renderci genitori e figli», è la citazione di  Schiller che Cinzia perrone ha scelto di inserire all’inizio del suo romanzo “L’inatteso”, presentato ieri sera giovedì 24 ottobre alla Biblioteca Planettiana, per il quarto incontro della rassegna Le Marche in Biblioteca 2019.

Nella conversazione che ha scambiato con Tullio Bugari l’autrice ha raccontato come il suo romanzo è nato, da quali stimoli della storia personale e familiare e in che modo questi sono stati riplasmati per offrire al lettore una storia dal respiro ampio, che si snoda su un arco di tempo di circa un secolo e attraversa quattro generazioni, con tanti personaggi diversi uniti da legami familiari e personali – uniti dal cuore, riprendendo la citazione inziale – e con i loro diversi modi di affrontare la vita e reagire alle difficoltà e precarietà, ma anche ricche delle loro aspirazioni, nella ricerca di una via per costruire una propria identità.

Il contesto sociale è quello di famiglie di cosiddetta umile condizione, che la vita se la guadagnano e per le quali la famiglia stessa consiste non tanto in un “blasone” o in una “proprietà” da tramandare, ma più direttamente nelle relazioni tra persone reali, con le loro forze e debolezze, le quali cercano comunque di darsi una mano e anche quando sembra che accettino passivamente  la condizione di subordinazione, in realtà non smettono mai del tutto di mantenere uno sguardo critico, di reagire. Certo, ognuno reagisce a modo proprio, chi in modo più resiliente e chi invece cerca di evitare, non manca nemmeno chi purtroppo accusa di più le difficoltà. Soprattutto quando non si tratta delle solite – si fa per dire – difficoltà quotidiane ma di qualcosa più incombente, che l’autrice definisce “l’inatteso” e ad un certo punto del libro lo descrive così: “L’inatteso ti sorprende all’imprrovviso alle spalle, è un vigliacco! Come una tegola che inavvertitamente ti piove dall’alto e ti prende in pieno; puoi cercare lentamente di rialzarti, restare per un po’ tramortito per poi riprenderti pian piano, o restare immobile nel dolore senza reagire.”

L’autrice ha concluso la serata leggendoci poi questo passo: «Ci sono momenti in cui si sperimenta il vuoto, si ha come la sensazione di essere appena entrati in una grande stanza spoglia dove il solo rumore è l’eco dei propri passi. Si perde l’orientamento perché le pareti sono tutte uguali e non c’è nessun mobile o elemento di arredo a cui appigliarsi. È in quel preciso momento che bisogna socchiudere gli occhi, fare un lungo respiro, riaprirli e iniziare a immaginare come dipingere quelle pareti, come arredare quella stanza per renderla vivibile e adatta alle proprie esigenze. Se l’universo ci offre il vuoto è per riempirlo di cose nuove, perché in quel momento è ciò di cui abbiamo bisogno. Il vuoto non è sempre buio, negatività, solitudine, ma anche possibilità di nuovi colori… più vivaci e freschi, facendo entrare nuova luce nella stanza.»

Nel corso della serata la conversazione con l’autrice è stata accompagnata dagli interventi musicali di Riccardo Lunardi, allievo di violino della Scuola Musicale Pergolesi e dalle letture di brani del libro di Maria Grazia Tiberi di Arci Voce, l’associazione che ha curato anche l’intera rassegna insieme all’associazione Licenze Poetiche e alla Biblioteca Planettiana di Jesi.

L’inatteso, QUI alcune note sul romanzo. Di seguito altre foto della serata.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *