Baudolino, di Umberto Eco (circolo di lettura, 29 novembre)

Mercoledì 29 novembre ore 21.15 primo appuntamento mensile con il circolo di lettura alla Biblioteca Planettiana; il primo incontro di questo nuovo ciclo di letture  è con il libro BAUDOLINO, di Umberto Eco; di seguito l’intervista  “Con “Baudolino” Eco torna al romanzo”  di Laura Lilli pubblicata da repubblica.it, 11 settembre 2000

E così eccoci qui, dopo vent’anni, a parlare di nuovo con Umberto Eco di un suo romanzo che sta per uscire. Vent’anni fa era “Il nome della rosa”, il primo e imprevisto romanzo di uno studioso. Forse l’unico, pensarono in molti, esterrefatti. Lui stesso ne era sorpreso. “Mi è scappato di farlo tutto lì”, mi disse allora. Adesso è “Baudolino”, romanzo numero quattro che, dopo “Il pendolo di Foucault” (1988) e “L’isola del giorno prima” (1994), uscirà entro novembre. Come sempre da Bompiani, come sempre di circa cinquecento pagine. Eco lo ha annunciato ieri a Mantova, concludendo il festival letterario. Di solito, mentre scrive o rivede i suoi romanzi, è evasivo e si rifiuta di fare anticipazioni su tempi o titoli. A Mantova, però, posto di fronte a una domanda diretta, non ha potuto mentire, perché il suo “Baudolino” è ormai in tipografia. Lo scrittore ha accettato di parlarcene in anteprima, come fece nel 1980 per “Il nome della rosa” e nell’88 per “Il pendolo di Foucault”.

Umberto Eco, sono passati sei anni da L’isola del giorno prima, il suo terzo romanzo, mentre ne erano trascorsi otto fra il primo e il secondo. Lei ha preso un andamento regolare.

“Sarebbero sei anni, ma non è proprio così perché per due anni ho seguito un’altra pista, che poi ho abbandonato. Ero fermo su un punto a metà. Tutto il resto lo avevo pensato, ma quel punto no, e se non lo risolvevo gli altri non si incastravano nel mosaico. Così mi ero disaffezionato. Poi, quest’estate sono stato due mesi in campagna, l’ho ripreso in mano e l’ho finito al volo, con lo stesso anticipo col quale è nato, un mese fa, il mio primo nipotino. Che sia un parto gemellare?”

Prima che lei entri nel vivo di Baudolino, vorrei chiederle se e in che modo il successo del Nome della rosa ha cambiato la sua vita.

“Mah. Non mi sembra che l’abbia cambiata. O forse, sì, ha ridotto un po’ la lunghezza del raggio della mia vita sociale: niente festival perché ti saltano addosso per sapere il tuo parere, vedere solo amici fidati, in privato. Paradossalmente, ne sono stato impoverito. Una persona di cui non posso rivelare il nome mi ha scritto pochi mesi fa: “ogni volta che non ti vedo in tv ho per te una crisi di ammirazione”.

Però i diritti d’autore non l’hanno precisamente impoverito.

“Certo che no. Ma contro ogni visione angelicata dello scrittore, io dichiaro il mio legittimo orgoglio”.

Si aspettava un successo di queste dimensioni?

“Anche il più infimo poetastro, mentre scrive, spera che milioni di lettori recitino a memoria le sue rime di “cuore” con “amore”. Comunque, la verità è che avevo in mente di darlo a Franco Maria Ricci per la sua “collana blu”. Di farne dunque un oggetto da nicchia. Poi, però, lo lesse il direttore editoriale della Bompiani di allora, Di Giuro. Fu entusiasta e dichiarò: “ne faccio trentamila copie!”. Io pensai che fosse matto”.

Chi è Baudolino?

“E’ un ragazzo che vive nella campagna presso Marengo, più o meno là dove nel 1168 nascerà la città di Alessandria, il cui patrono sarà appunto San Baudolino. Baudolino è un furfantello, simile a quelli che esistono in molte mitologie indigene: in Germania lo chiamano Schelm, in Inghilterra Trikster God. Il libro, che in questo senso è picaresco, racconta le sue avventure in terre diverse. Il padre di Baudolino è il mitico Gagliaudo Aulari, che salva Alessandria dall’assedio di Federico Barbarossa con la storia della sua vacca”.

Quale storia?

“Eh, gli alessandrini la sanno e gli altri la leggeranno nel mio romanzo”.

Lei è nato ad Alessandria: con questo libro torna alle sue radici?

“Certamente. Racconto della mia città, cerco di imitarne il dialetto, il modo di parlare. Mi ha sorpreso trovare nei documenti ufficiali dell’epoca i nomi degli alessandrini che hanno fondato la città, sono gli stessi dei miei compagni di scuola! Con la lingua ho avuto qualche difficoltà, perché il primo capitolo è scritto direttamente da Baudolino su pergamena quando aveva quattordici anni, stava appena imparando il latino e scrive in un volgare della sua zona su cui ovviamente non abbiamo alcun documento. Mi sono divertito molto”.

Pensa che si divertiranno anche i lettori siciliani?

“Lo spero. Non ho preteso di fare filologia. Ho inventato un italiano immaginario. Non sono pagine erudite, sono pagine comiche”.

E alla Lega piacerà questo libro?

“Non credo. Ho riletto la battaglia di Legnano, le irriducibili lotte fra i Comuni. Che erano contro il Barbarossa, ma in perfetto disaccordo reciproco, e cambiavano continuamente alleanze pur di farsi dispetto a vicenda. Quando Federico si ritira da Alessandria, che non è riuscito a conquistare, potrebbero facilmente colpirlo, invece gli permettono di raggiungere Pavia. Si odiavano, ma avevano bisogno di un padre per litigare e non hanno osato commettere il parricidio. Studiando quell’epoca ho capito molte delle ragioni di crisi della politica italiana di oggi”.

In ogni caso, come in Il nome della rosa, qui racconta un’altra una vicenda medievale.

“Sì, ma con molte differenze. La Rosa raccontava del mondo monastico e dei contrasti interni alla Chiesa, questo parla del mondo laico, della corte imperiale di Federico Barbarossa. Baudolino infatti viene adottato a tredici anni da Federico, e vive con lui tutte gli scontri tra impero e Comuni, la battaglia di Legnano, la Terza Crociata (a cui lo spinge lui stesso) e via continuando. La Rosa è colto, questo è popolare. La Rosa è in stile alto, questo è in stile basso. Il linguaggio è quello dei contadini dell’epoca, o degli studenti parigini che parlano come i ladri. Niente latino, salvo qualche parola. C’è il solito gioco di qualche citazione posteriore, nascosta, ma con l’idea che siano frasi inventate proprio da Baudolino, e gli altri in seguito potrebbero averle copiate”.

E’ un gran bugiardo, questo Baudolino.

“Eh, sì. Inventa sempre fandonie, ma ogni volta tutti ci credono, e le sue fandonie producono la grande storia. In fondo rileggo la storia di quel periodo come frutto delle invenzioni di un ragazzino, che poi cresce e con una banda di amici inventa la legittimazione dell’impero da parte dei giuristi bolognesi, parte dell’epistolario di Abelardo ed Eloisa, la leggenda del Graal come sarà poi raccontata da Wolfram von Eschenbach”.

Dunque senza Baudolino la storia avrebbe potuto essere diversa?

“Proprio così. Sono lui e i suoi amici a inventare la mitica lettera del Prete Gianni, che ha davvero circolato in quell’epoca, descrivendo un leggendario regno cristiano nel lontano Oriente (ne parlerà anche Marco Polo). E alla fine tutti ci credono, e Baudolino parte con Federico alla ricerca di questo regno remoto. “Però poi Federico muore nel 1190 in circostanze che io faccio diventare misteriose, impiantandovi sopra una vicenda tipo omicidio in una camera chiusa”.

Non le chiedo di svelarci chi è l’assassino, però forse può dirci che ne è di Baudolino senza Federico.

“Fino a quel punto seguo la sequenza delle vicende. Dopo la morte di Federico, inizia un viaggio fantastico coi suoi amici in terre misteriose abitate da mostri, dove Baudolino ha avventure incredibili, incluso un amore a cui tengo molto. Direi che scrivendo mi sono innamorato della protagonista femminile della storia mentre dovevo far innamorare Baudolino!”

E lui non si innamora?

“Eh, no, il resto non lo dico, altrimenti non valeva la pena di scrivere un libro di cinquecento pagine, bastava questa intervista. Posso dirle che tutto quello che si viene a sapere è raccontato da Baudolino, che per definizione è un bugiardo, a un grande storico bizantino, Niceta Coniate nel 1204, mentre Costantinopoli brucia e viene saccheggiata dai crociati. Niceta ha scritto di quei giorni quasi in cronaca diretta, ma ovviamente non ci ha lasciato nessuna traccia del racconto di Baudolino, perché (dico io) non sapeva se fosse vero. Naturalmente non lo sa neppure il lettore, altrimenti dovremmo rivedere tutta la storia di quei secoli”.

Questo libro è un’apologia della bugia?

“Casomai è un’apologia dell’utopia, di quelle invenzioni che muovono il mondo. Colombo ha scoperto l’America per sbaglio: credeva che la Terra fosse molto più piccola. Non è vero che solo lui pensasse che fosse tonda, come la gente dice ancora: che fosse tonda lo sapevano prima di Platone. E che dire dell’Eldorado? Si conquista un continente seguendo un mito”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *