Le Marche in Biblioteca 2017, il secondo incontro, con Matthias Canapini.
«Col senno di poi, capisco che non è necessario star via da casa mesi per cogliere l’anima del mondo. Il mio viaggio è diventato man mano una meditazione ambulante sul significato dell’esistenza, attraversando momenti di felicità, dolore, eccitazione, nostalgia».
Scrive così Matthias Canapini nelle pagine finali del suo “Eurasia Express, cronache dai margini” nel concludere non il suo viaggio – perché un viaggio in realtà non si conclude mai davvero – ma il libro in cui ce lo racconta e che ieri sera ha fatto da filo conduttore. E in questo modo, chiedendogli di leggere questo brano, abbiamo concluso la serata di ieri, dopo aver ripercorso con lui il suo viaggio, narrato in tre momenti diversi.
Introdotti ogni volta dalla musica ispiratrice dei flauti di due giovani musicisti allievi della Scuola musicale Pergolesi, Riccardo Stronati e Matteo Lombardi, sono stati i lettori del gruppo Arci Voce – ieri sera si sono alternati Lucia Lucarini, Paolo Consonni e il sottoscritto – che a loro volta hanno introdotto il racconto di Matthias con tre letture estratte da tre momenti diversi del suo lungo viaggio di sei mesi attraverso l’Eurasia.
Abbiamo scelto come lettura il momento della partenza, da Fano e sul traghetto che lo porta sulla costa dalmata. Da noi nelle Marche, per chi vive sulla costa, viaggiare significa aprire la porta di casa e ritrovarsi immediatamente a Oriente.L’inizio è qui, appena ci affacciamo sulla via, siamo anche noi un confine e spesso ce ne dimentichiamo, e una volta aperto dietro quel confine scopriamo che c’è un continente intero e Matthias ha iniziato a raccontarcelo, mostrandoci innanzitutto se stesso viandante; le altre due soste con la musica dei flauti e la lettura le abbiamo fatte in prossimità della Mongolia e poi, già all’inizio della via del ritorno, in Laos.
Un ritorno ancora lungo, non solo geograficamente ma inserendosi nell’ultimo tratto dentro quel mare di umanità in fuga dalla Siria attraverso la cosiddetta rotta balcanica: da Salonicco attraverso Macedonia, Serbia e Croazia è stato questo il ritorno a casa del senno di poi, un senno che non dimentica le altre storie incontrate prima ma le riconduce ancora ad un altro senso. Per questo dicevo che un viaggio in realtà non si conclude mai.
Mentre Matthias raccontava, sullo schermo scorrevano ogni dieci secondo le foto scattate lungo il cammino, tante ma non tantissime, perché capita anche, dice Matthias, che la macchina fotografica può dividerti anziché avvicinarti alle persone e allora è preferibile chiacchierare direttamente, guardarsi e sentirsi la voce, cercare una sintonia che poi magari provi a raccontare con le parole. E tra le foto, inoltre, diverse erano anche di altri viaggi, in terre più vicine a noi, perché dopo questo “viaggione” ai margini – i margini del mondo – i viaggi più recenti si sono sviluppati tutti dentro l’Italia, il mondo infatti è un contenitore di storie ovunque, puoi averle anche qui di fronte a te ora, se sai guardarle. I viaggi più recenti Matthias li ha fatti dentro la nostra regione girando letteralmente a piedi i Sibillini del terremoto, gli innumerevoli borghi e paesi, camminando tra i silenzi lasciati a custodire luoghi che ancora si fa fatica a far rivivere, e tra le persone che resistono, costruiscono, sono loro stesse quelle storie.
Matthias oltre ai suoi libri di racconto dei viaggi “Eurasia Express” e “Verso Est” e al libro fotografico “Il volto dell’altro” aveva anche alcune delle sue foto, a offerta, con l’offerta come suo contributo personale al progetto dell’Agrinido di San Ginesio, una delle realtà locali a cui si è legato nei suo viaggi, una di quelle realtà, appunto, che le storie di quelle terre non solo le raccoglie ma le costruisce.
Non ho scritto nulla di specifico in queste note del libro al centro della serata, Eurasia Express, vi consiglio soltanto di acquistarlo e leggerlo, è scritto con un linguaggio tranquillo, semplice e descrittivo, soltanto che descrive non solo ciò che normalmente si vede sulla superficie delle cose, ma anche quel qualcosa di invisibile o nascosto che sta in mezzo e dietro e che per essere visto richiede un candore e un’immediatezza in più, e allora inizia anche a coglierne il senso, il senso di quell’umanità che uno sguardo frettoloso può perdere.
Ci vuole uno sguardo in sintonia con i piedi, come scrive Paolo Rumiz nella prefazione al libro di Matthias: «Cesare Zavattini disse che il cinema italiano era finito nel momento in cui i registi avevano smesso di andare in tram. E allora ditelo, agli spocchiosi analisti di scarpa lustra, ditelo ai luminari e ai tenutari di bordelli televisivi e di felpati uffici studi, che solo dall’umiltà dei piedi avranno le risposte di cui il mondo ha bisogno».
(anche quella che Matthias sta osservando nella foto in alto è una vallata euroasiatica, a Elcito, sotto il San Vicino; le foto di Matthias in Eurasia le trovate nel suo libro “Il volto dell’altro” )