A Firenze, per un mese, un’inedita Galleria di ritratti di scrittori

Ezio Bartocci: Ritratti tra le pagine formato segnalibro.
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, 11 maggio-10 giugno 2017
di Tullio Bugari

(A seguito del successo riportato, la Mostra è prorogata fino a sabato 8 luglio)
invitoImmaginate un’intera galleria di segnalibri, originali, ciascuno con il suo segno, il suo rimando, il suo autore, ciascuno a esprimere la sua singolarità e tutti insieme la stessa molteplicità di una biblioteca, già pronti anche a diventare collezione, o a condurci per mano nel cuore stesso del libro e della lettura, nel mondo della letteratura. È proprio questo l’ultimo lavoro di Ezio Bartocci, circa 60 segnalibri ciascuno con il ritratto di un diverso autore, dall’Ottocento ai nostri giorni, ma è più di una serie di ritratti, è un’idea, un’immersione nella letteratura e anche nelle storie delle nostre singole letture, pescando nell’immaginario che da lettori associamo a ciascuno degli autori, come un’antropologia delle emozioni del lettore, adattando o letteralmente sperimentando ogni volta la tecnica più adatta per esprimere quel particolare discorso.

Molteplici dunque anche le tecniche utilizzate da Bartocci, il pennino, il pennello fine, il collage con materiali diversi, pezzi di carta strappati e utilizzati per tracciare tratti somatici essenziali. Ogni ritratto è una storia sé anche sotto questo profilo. Quello che più mi ha affascinato è un Ray Bradbury evanescente, non si sa se per il calore dell’aria che rende tutto tremolante come in un miraggio, nel quale gli occhi ottenuti bruciando la superficie del disegno con la fiamma di una candela ci rapiscono come un buco nero, e ci restituiscono nello stesso istante tutte le emozioni vissute leggendo Fahrenheit 451. Le tecniche utilizzate potrebbero così essere paragonate alle lettere di un alfabeto, necessarie per raccontare questo viaggio che va oltre.

Per analogia, allora, questo lavoro di Bartocci mi riporta in mente un’altra sua esperienza, che personalmente ho avuto l’opportunità di condividere quasi dieci anni fa, Alfabetica, una serie di incontri con scrittori in lingua italiana ma con diversa lingua madre di origine. Un percorso letterario che Bartocci interpretò graficamente non solo per illustrarci ma entrando in relazione diretta con noi e gli autori, stimolando quel dialogo con i suoi segni grafici, dando corpo e materia alle parole, alle lettere, ai ritratti degli autori realizzati graficamente proprio con le lettere che compongono i loro nomi, creando nuovi e ulteriori sguardi, o rimandi.

In tre anni furono circa quindici gli autori che vennero a trovarci e tra loro in particolare ricordo un intervento di Jarmila Ockayovà: “…c’è l’umiltà nei confronti della lingua, che per 
uno scrittore straniero non è solo uno strumento 
comunicativo o espressivo, ma anche la conquista di una
 nuova dimensione, mentale e psicologica…: mentre lo scrittore che usa la 
madrelingua lo fa da esploratore, slittando sulle onde del
 suo oceano/immaginario – giacché tutto ciò che sta “sotto” a quelle onde lo ha già acquisito, vissuto, da sempre – lo
 scrittore che adotta una lingua nuova deve per forza farsi
palombaro – calarsi nelle profondità antropologiche e 
storiche della lingua, orientarsi tra anfratti tortuosi di 
mille barriere coralline, ossia semantiche.”

Kafka sartreMi sembra proprio questo il gioco realizzato da Ezio Bartocci, tornare a immergersi nelle profondità antropologiche cercando di orientarsi tra mille barriere semantiche, dove le lettere dell’alfabeto sono le tecniche usate per afferrare il senso e la pagina scelta ha il formato di un segnalibro, lo spazio angusto ma intimo, vicino di una vicinanza diretta, dove incontrare i ritratti di tanti illustri autori, per ritornare a quando li abbiamo presi in mano letti e amati. “Ogni libro vissuto è diverso da uno mai letto” scrive Bartocci presentando il suo lavoro, eppure non è nemmeno solo un ritornare “ …ragazzo nelle bancarelle dell’usato, dove li sfogliavo attentamente…” anche se questo è essenziale perché occorre una prospettiva ampia, capace di accogliere il vasto mondo che cerca di rappresentare. Credo di ritrovare questa tensione anche nel metodo che ha accompagnato il suo lavoro. Ho avuto la fortuna di osservarlo qualche volta nel suo studio mentre i ritratti degli autori prendevano vita, dentro quel formato – il segnalibro – che potrebbe anche diventare una gabbia che comprime, e invece rimane sempre una fessura da dove lo sguardo esce e si apre sul fuori, ci tocca.

Per metodo intendo proprio il ritornare sul ritratto già concluso ma forse ancora simile a ciò che potevamo aspettarci, al già noto già presente già emerso in superficie, e allora occorre tornarci per continuare a svelarlo – come lo scrittore o il poeta quando riprende in mano la parola che usa – togliendo ciò che non è essenziale o riproporlo da altre angolazioni, attraverso nuove tecniche, segni e cromatismi che restino meno in superficie ma ci stuzzichino e avvicinino di più.

Grass MoranteEcco allora un Kafka alto sulle sue lettere come su uno strano telaio che non sta fermo, sembra quasi il vecchio gioco del meccano in perenne metamorfosi tra una forma e l’altra, o un Sartre che quasi contempla il Sessantotto degli operai e degli studenti, quel pugno chiuso che siamo noi e le officine stilizzate, o Gunther Grass ritratto con dei lineamenti marcati, timbrici, assolutamente essenziali, come in un manifesto caratterizzato dal suo tamburino di latta, o Elsa Morante che da quella fessura allunga il collo di lato per gettarci uno sguardo di accattivante incoraggiamento. E poi Flaubert, Hugo, Eliot, Ungaretti, Calvino, Montale, Borges, Marguerite Yourcenar, Emily Dickinson e altri ancora.

La mostra, con il titolo “Ritratti tra le pagine, formato segnalibro” è esposta dall’11 maggio al 10 giugno 2017 alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenza, in Piazza Cavalleggeri 1

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