Il vino è il canto della terra verso il cielo

di Tullio Bugari

vino

“Come io ammiro Picasso perché lo riconosco, così posso apprezzare un vino o qualsiasi altra cosa che viene dalla terra, se la riconosco. Trovo che questo sia un recupero di civiltà, di intelligenza e di libertà estremamente importante. Per questo non mi piacciono i prodotti tipici. Sono diventati un marchio commerciale. Non mi piacciono le tradizioni imbalsamate.  Ma voglio sapere dove nasce un prodotto. Mi fido dell’autocertificazione del produttore che mi spiega come è fatto il suo vino o i suoi ortaggi”.

Scrive così Luigi Veronelli a proposito del vino, e leggendo queste righe mi vengono in mente anche tante analogie, in contesti e momenti anche molto diversi, come passeggiare sotto un cielo stellato, alzare lo sguardo e potersi ritrovare in una mappa familiare di costellazioni e antichi miti scegliendo poi ognuno il suo, oppure mi viene in mente un libro di tanti anni fa di un mio amico che aveva vissuto in un paese del centro america, e l’aveva intitolato le diciassette tonalità di verde, tanti i nomi utilizzati dagli indigeni per cogliere le diversità e particolarità dei tanti verdi che rendono più viva la natura, potendo così apprezzarla nella sua varietà e non invece uniformata o standardizzata sulla base di una tonalità media monocolore. E potrei continuare ed estenderle perfino a questo percorso di cinque appuntamenti in Biblioteca, cogliendone la ricchezza della trama nella particolarità degli stimoli offerti da ciascuno degli incontri. O per usare le parole ben più appropriate di Francesco Scarabicchi, nel testo che ci ha inviato per il primo incontro, “la forza delle parole”: “Ogni cosa ha il suo nome per essere conosciuta, ‘chiamata’, definita.” Ed è per questo che si può “cogliere (sotto il profilo emotivo, sensoriale, percettivo, mentale e poi linguistico, formale, artistico, letterario) la presenza della poesia nella vita quotidiana, attraverso le sue manifestazioni minime.”

E così, me ne rendo conto meglio ora, anche la scelta e la sequenza dei libri presentati e da presentare, ha seguito questa trama, dall’antologia “S’agli occhi credi”, che è appunto attraversare le Marche come sotto a un cielo stellato, attraverso lo sguardo dei poeti, ciascuno con la sua mappa e le sue attenzioni. Oppure le trame che compongono e attraversano i racconti di Maria Grazia Maiorino, come altrettanti viaggi interiori, in luoghi dello spazio e del tempo, e sullo sfondo di paesaggi e colonne sonore reali e presenti, in un tuttuno con quelle interiorità e nelle loro mille particolarità, o ‘manifestazioni minime’. Ne abbiamo conversato con Loretta Emiri nel terzo incontro, ed è stato un gioco continuo far saltare fuori dal pericolo delle percezioni stereotipate un intero mondo indios, che non è una tradizione da imbalsamare – per usare la stessa parola di Veronelli – ma è tuttora ben vitale nel presente, con la sua capacità di proposta, come ad esempio i nuovi scrittori o musicisti Indios oppure le conferenze nelle università e altri contesti nei quali i maestri indios insegnano ai ‘bianchi’ come allevare gli animali o coltivare le piante senza inaridire e distruggere la natura.

Ne approfitto allora per riprendere la battuta che ho rivolto al momento dell’incontro con il terzo vignaiolo della nostra rassegna, che per l’occasione era Corrado Dottori della azienda La Distesa di Cupramontana: “Avresti immaginato che per arrivare al Verdicchio saremmo passati dall’Amazzonia?” E ne approfitto dunque – ero partito proprio per questo da Veronelli – per sottolineare l’inserimento del momento vinicolo nella rassegna Le Marche in Biblioteca, che come avevo spiegato nell’introduzione al primo incontro, non vuole essere solo una lieta e piacevole conclusione delle serate, con dei buoni vini, ma un modo diretto per ricordare che la cultura dei territori si esprime anche attaverso lo sviluppo dei suoi prodotti migliori, curandone le caratteristiche naturali e nel rispetto delle tradizioni e dell’ambiente, che ne sono caratteri intrinseci. Una tradizione che si rinnova nella ricerca per mantenere vivi i gusti e le particolarità: sempre verdicchio eppure ogni volta diverso, per riconoscerlo meglio, in tutte le sue possibilità: “Trovo che questo – scrive Veronelli – sia un recupero di civiltà, di intelligenza e di libertà estremamente importante.”

Ecco perché in questi cinque appuntamenti abbiamo voluto affiancare ai libri e agli autori, altrettanti autori di opere di terra, i vignaioli che con i loro gesti quotidiani realizzano i vini che avete assaggiato. Si tratta di cinque aziende accomunate da scelte di vita e di produzione molto precise: sono tutti vignaioli indipendenti (ovvero chiudono la filiera dalla vigna alla vendita e gestiscono interamente il ciclo produttivo), sono tutti agricoltori biologici, alcuni anche biodinamici (ovvero si relazionano alla terra con profondo rispetto e senza uso di pesticidi o prodotti di sintesi), sono tutte aziende medio-piccole, giovani e portatrici di storie e vissuti interessanti.

Le aziende che hanno offerto i loro vini durante gli incontri:

Azienda Col di Corte (Montecarotto)
Giacomo Rossi, vignaiolo: “Produciamo vino con l’intenzione di offrire un alimento (non un prodotto) che sia sano, piacevole e di buona bevibilità. Siamo convinti che l’artigianalità, in ogni tipo di lavoro, sia l’arma vincente oggi in un mondo dove il modello industriale ha dimostrato i suoi limiti, per non dire il suo fallimento. Oggi sono gli artigiani che dovrebbero insegnarci a vivere, coloro che attraverso l’esperienza, la conoscenza e la tradizione, attraverso la cultura per usare una sola parola, riescono ad offrire qualcosa di unico. Sappiamo che questo ci costerà fatica ed forse anche qualche errore. Ma ci piace il confronto con la natura più che con i ritrovati della tecnologia agronomica ed enologica e per questo i simboli delle stagioni sono il nostro segno distintivo che a seconda dell’andamento delle stagioni precedenti la vendemmia mettiamo su tutte le etichette dei nostri vini.Vogliamo anche che la riconoscibilità dei nostri vini abbia un riscontro territoriale; siamo nelle Marche sulla riva a nord dell’Esino dove caratteristiche territoriali e climatiche offrono ai nostri vini delle peculiarità che cerchiamo di mantenere e trasmettere a chi li beve. Lavoriamo in vigna e in cantina seguendo il disciplinare biologico dal 2012. Con l’inizio della stagione 2016, dopo aver seguito un corso con Nicolà Joly e Stefano Bellotti, abbiamo cominciato ad utilizzare anche i preparati Biodinamici.”

Azienda Ca’liptra (Cupramontana, contrada S. Michele)
Giovanni Loberto, vignaiolo: “quello che vogliamo fare è comunicare il territorio, con un lavoro fatto di arte e artigianalità, per esprimere noi stessi sia come singoli che come insieme. E il mezzo è il vino (soprattutto), ma anche l’olio, a breve il miele e in divenire altri progetti. I nostri obiettivi: per prima cosa non fermarci, non cercare a tutti i costi uno schema fisso o costruito. Confondere, incuriosire, stupire e non per forza in positivo, essere originali, continuamente mutare.”

La Distesa (Cupramontana, contrada S. Michele)
Corrado Dottori, vignaiolo “Essere vignaioli per noi significa innanzitutto raccontare il territorio, con le sue mille complessità, e seguire le stagioni, con le loro evoluzioni sempre differenti. E’ per questo che abbiamo scelto un metodo di coltivazione biologico, così da esprimere senza distorsioni ciò che la terra porta con sé, naturalmente. E poi significa seguire direttamente tutto il processo produttivo, dalla terra fino al consumatore. Da anni lavoriamo nei vigneti cercando di salvaguardare e lasciare esprimere al massimo la biodiversità, seminando tra i filari favino, veccia, pisello, erba medica e lasciando prosperare le essenze spontanee. Non concimiamo, trattiamo solo con zolfo e piccole dosi di rame. Una o due volte all’anno spruzziamo il preparato biodinamico 500 (cornoletame).”

Pievalta (Maiolati Spontini)
Alessandro Fenino, vignaiolo “Non trasformiamo l’uva in vino, ma l’accompagniamo nel suo divenire, sempre un passo indietro e senza trucchi per non rompere l’armonia del luogo con il nostro intervento ma, al contrario, per lasciarla esprimere liberamente prima allo sguardo di chi attraversa queste colline e poi al gusto di chi la sorseggia nel bicchiere”.

La Staffa (Staffolo)
Riccardo Baldi, vignaiolo “I miei terreni sono tutti certificati biologici e seguo alcune teorie classiche della biodinamica. Più in generale cerco di portare avanti un’agricoltura poco impattante, che stimola gli apparati radicali delle piante ad andare in profondità. Ho l’immensa fortuna di possedere dei terreni unici, ricchi di carbonato di calcio. Questa particolare conformazione dona ai miei vini una speciale matrice sapida che ogni anno diventa più marcata e ben definite. Chi ha una piccola azienda deve occuparsi di tutti gli aspetti, dalla parte produttiva alle strategie di vendita e promozione. È una sfida molto stimolante, anche se decisamente difficile perché richiede tante competenze diverse».

 

 

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