di Francesco Scarabicchi
(intervento inviato per la serata di presentazione dell’antologia “S’agli occhi credi”, il 6 ottobre 2016 alla Biblioteca Planettiana di Jesi)
La lingua che parliamo è un ponte per raggiungere tutto ciò che ci circonda o che abita il luogo dei nostri sentimenti e delle nostre percezioni. Le parole si schiudono o si serrano secondo la forza che lega ognuno di noi al proprio universo in generale. Ogni cosa ha il suo nome per essere conosciuta, “chiamata”, definita. Nomi comuni e nomi propri. Noi siamo al servizio delle parole ed è un dono riuscire a poterle possedere e usare rispettandole, conservandole. La lingua italiana è una preziosa risorsa perché, conoscendone le regole, essa ci mette in diretto contatto con la nostra esistenza. Usare bene la lingua è come possedere uno strumento musicale che impariamo ad adoperare con pazienza, tenacia, costanza, fedeltà, dedizione.
Partendo da una semplice constatazione, si tenta di cogliere (sotto il profilo emotivo, sensoriale, percettivo, mentale e poi linguistico, formale, artistico, letterario) la presenza della poesia nella vita quotidiana, attraverso le sue manifestazioni minime, il suo essere nutrimento di senso e di bellezza, di misura e di armonia, anche là dove il tema o pedale dell’intonazione è drammatico o tragico. Con ciò si vuole far intendere che la poesia è l’arte più vicina al destino di ognuno proprio perché costeggia tutti gli aspetti della vita senza i quali non potrebbe darsi arte alcuna.
In un’epoca virtuale, visiva, digitale, si sente fortissimo la mancanza della “voce”, quella scritta e quella parlata, quella che rende riconoscibile e memorabile l’altro, quella che abita la mente del pensiero. Una grande emozione avvolse integralmente me il giorno che sentii in casa mio figlio pronunciare la prima parola. Con quella definizione egli metteva piede nel mondo degli uomini che articolano una lingua. Articolare una lingua vuol dire anche disporsi, via via, alla formulazione di un pensiero che ha bisogno della sua forma visiva e sonora per costituirsi all’interno dello statuto espressivo.
Pensiamo a cosa significhi dare “voce” ad un dipinto come può essere la Crocefissione di Lorenzo Lotto nella chiesetta di Monte San Giusto. Il lessico, la grammatica e la sintassi dello sguardo si trovano in uno dei labirinti più ardui e complessi: come si rende l’odore? Un suono? Il lamento?
Mi fermo qui per non togliere tempo ad altri relatori lasciandovi ad interrogarvi sull’antichità della parola nell’epoca della oralità, della scrittura virtuale, tecnologica, eccetera.