Recensione di Massimo Raffaeli a “S’agli occhi credi, le Marche dell’arte nello sguardo dei poeti”

Pubblichiamo di seguito una recensione, apparsa a marzo 2016 sull’inserto Alias de “il manifesto”, che Massimo Raffaeli ha scritto al libro a cura di Cristina Babino S’agli occhi credi, le Marche dell’arte nello sguardo dei poeti, edito da Vydia e protagonista del primo appuntamento di “Le Marche in Biblioteca: i Giovedì Letterari della Planettiana” in programma giovedì 6 ottobre.

201512281142286637copertinasagliocchicredi

“Da Carlo Crivelli a Mattiacci, sedici poeti marchigiani fissano l’arte delle loro terre”

di Massimo Raffaeli

Scrisse una volta Paolo Volponi che le Marche hanno una misura breve e un’aria mite, prodiga di innesti e di silenziose contaminazioni più che, aggiungeva, di «incontri e proclami»: insomma, sia detto in altri termini, le Marche come regione declinata al plurale, silenziosa e attiva sottotraccia eppure colma tanto di tesori artistici quanto (ed è un caso nazionale a lungo richiamato, studiato) di poeti. Ne è ultima e fervida testimonianza il volume collettivo a cura della poetessa Cristina Babino, S’agli occhi credi Le Marche dell’arte nello sguardo dei poeti (Vydia editore, Montecassiano, pp. 181, € 18) che è suggellato da una limpida nota storica di Daniela Simoni, responsabile del «Centro Studi Osvaldo Licini» di Monte Vidon Corrado. Sono sedici gli autori convocati a selezionare un’opera presente o concepita nel territorio, dentro un arco cronologico che dal quattrocentesco Carlo Crivelli si congiunge ai contemporanei Magdalo Mussio, Nino Ricci ed Eliseo Mattiacci.Ciascun autore sceglie non soltanto un’opera ma una propria modalità espressiva, dalla poesia in versi (è il caso di Gianni D’Elia sullo stesso Mattiacci), alla pagina di diario (è il caso stavolta di Adelelmo Ruggieri sulla Adorazione dei pastori di Rubens a Fermo o di Marco Ferri sulla Madonna di Senigallia di Piero della Francesca), dalla riflessione metapoetica (Renata Morresi su Crivelli, Maria Lenti su La Muta raffaellesca o Franca Mancinelli sulla anonima tavola urbinate della Città ideale) alla vera e propria canonica forma dell’ekphrasis che adibiscono Alessandro Seri su un celeberrimo Ligabue e Massimo Gezzi sulla malnota e stupenda Piovra di Scipione.

Legati a una diretta produzione d’autore sono peraltro i contributi dei poeti, insieme con D’Elia, di più lungo periodo e di più riconosciuta fisionomia, Francesco Scarabicchi e Umberto Piersanti, l’uno sulla Crocifissione lottesca di Monte San Giusto (e alla figura del Lotto si è ispirato, Scarabicchi, per il poemetto Con ogni mio sapere e diligenza, Liberlibri 2013), l’altro, Piersanti, sul Riposo durante la fuga in Egitto di Federico Barocci, la pala nella chiesa di Piobbico da lui citata nel romanzo Olimpo (Avagliano 2006), unica per la delicatezza degli incarnati e la soavità dei colori, quella in cui si vede il bambinello con le ciliegie in mano: «Sono salito lungo il viale costeggiato dai grandi agrifogli e sono entrato nella chiesa di santo Stefano: ho guardato a lungo quella tela e mi sono come rivisto e riconosciuto in mezzo ai miei colli, dentro le mie terre. La più grande vicenda della storia umana divenuta familiare e vicina, partecipe di uno stesso paesaggio reale e psicologico». Sono parole che nella loro semplicità, nella esattezza, rinviano alla lezione del maggiore poeta espresso dalle marche dopo Leopardi, Franco Scataglini (1930-1994), il quale obliterava i termini della identità e parlava invece di residenza, lo spazio-tempo d’esperienza, di testimonianza, che a ciascuno è dato una volta sola e una volta per sempre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *