«La ribellione della lentezza e dell’ozio», ricordando Alain Goussot

timthumb L’amico Alain Goussot ci ha lasciati, il 26 marzo scorso. La notizia mi è arrivata con qualche giorno di ritardo e mi ha colpito con forza, del tutto inaspettata. L’avevo conosciuto quindici o venti anni fa, colleghi in un bel gruppo di ricercatori alle prese con le nuove (allora) immigrazioni dai paesi dell’Europa dell’est, in prevalenza verso le regioni adriatiche. Poi l’avevo invitato alcune volte a Jesi, come docente di pedagogia al corso FSE per gli operatori della Casa delle Culture di Jesi, o in seguito ad alcune conferenze interculturali organizzate insieme all’Ambito Sociale Territoriale, gli istituti scolastici e l’azienda sanitaria. Per introdurci all’intercultura aveva iniziato raccontando di sé, figlio di emigranti (la mamma abruzzese e il padre francese) cresciuto in Belgio in una zona dove la lingua francese, appresa in famiglia, era in minoranza; in quel Belgio dove negli anni cinquanta e sessanta chi arrivava in treno dall’Italia per lavorare veniva fatto scendere allo scalo merci. Altre volte ho incrociato Alain qua e là per l’Italia in qualche convegno. Ci si sentiva attraverso le email o su FB; scriveva molto Alain, docente e ricercatore, ed era sempre attivo, sempre pronto a proporre spunti interessanti e utili, che in più di un’occasione ho riutilizzato o ripubblicato. L’ultimo in ordine di tempo, su questo blog, nello scorso mese di luglio, “Pennac, Baricco e la scuola,  nel quale ribadiva proprio la sua preferenza per la figura dell’intellettuale e dello scrittore impegnato anche sul piano etico e politico, anziché restare esclusivamente uno specialista della letteratura: «Come lo sappiamo sono due visioni che storicamente (come l’ha ben descritta Gramsci nei suoi scritti sugli intellettuali) caratterizzano l’atteggiamento degli intellettuali francesi che intervengono nella sfera pubblica rispetto alla gestione della polis e gli intellettuali italiani che curano la propria estetica senza sporcarsi più di tanto le mani.»
Ho letto la notizia della sua scomparsa sulla rivista on line letteraturaenoi, dove gli viene dedicato un ritratto bello e commosso; poi ho trovato in rete e letto molti altri ricordi affettuosi di amici che lo frequentavano molto più di me. Tra i suoi articoli disponibili in rete, per ricordarlo scelgo “La ribellione della lentezza e dell’ozio”,  ripubblicato ora sul blog Comune-info.
Ciao Alain.

LA RIBELLIONE DELLA LENTEZZA E DELL’OZIO, di Alain Goussot

Viviamo nel mondo della velocità, del fare tutto subito, del consumare tutto subito, del dimenticare il passato per vivere solo il presente, del non sedimentare nulla e del non curare le relazioni. L’era capitalistica, quella del capitalismo finanziario e ipertecnologico, ha ulteriormente accelerato il tempo di vita, sembra che non ci sia più tempo per le relazioni umane, la convivialità, la meditazione, il sogno e quello svago che umanizza ognuno. Siamo come fagocitati da questa ansia di produrre, fare, accumulare, indebitarsi, consumare senza riflettere più di tanto, senza fermarsi sul bordo della strada per respirare quello che Célestin Freinet chiama “le fonti chiare della vita”.

Non c’è più il senso della durata e quindi del tempo vissuto, come affermava Henri Bergson, tempo umano dove il corpo e la psiche sono un tutt’uno nell’esprimere quello che gli antichi greci definivano come il soffio dell’anima. Scrive l’educatore Gianfranco Zavalloni, nella sua “Pedagogia della lumaca”:

“Oggi la maniera per essere rivoluzionari è oziare e rallentare, far da sé e produrre localmente, perder tempo”.

Già il grande Jean-Jacques Rousseau nell’Emile e nelle sue “Fantasticherie di un passeggiatore solitario” affermava che la più grande virtù umana di un educatore è quella di sapere perdere tempo, sapere ascoltare se stesso e l’altro, sapere dare il tempo alla natura umana di fare vibrare la propria anima in armonia con il mondo vivente. Per Rousseau camminando in mezzo alla natura si ritrova il senso profondo dell’umanità come espressione dell’armonia del vivente. La lentezza del passo di chi passeggia sta anche nel “pensiero meridiano” di Franco Cassano che richiama i ritmi lenti e ad altezza d’uomo del Mediterraneo, un passo non solitario ma conviviale che coinvolge l’altro e costruisce i tempi dei legami umani e dell’amicizia.

È Paul Lafargue, il genero di Marx, forse per le sue origini in parte caraibiche, che parla del “diritto all’ozio” in un libricino pubblicato nel 1883 (fu un libro simbolo durante la rivolta del 1968, assieme a lettere ad una professoressa di don Lorenzo Milani e il libretto rosso di Mao) spiega che il proletariato si è lasciato fagocitare mentalmente dalla cultura capitalistica facendo del lavoro e della produttività (del lavoro veloce e alienante) un dogma; con ironia paradossale afferma che è un errore lottare per il diritto al lavoro, un lavoro che esaurisce, disumanizza, ma che bisogna lottare per il diritto alla lentezza, all’ozio, a quell’ozio che è cura dello spirito e della propria umanità in una ottica comunitaria, comunistica di equa distribuzione delle ricchezze e dei tempi di lavoro. Nel capitolo 1 del suo libricino intitolato “Un dogma disastroso” Lafargue, tra l’altro, scrive:

“Una strana follia possiede le classi lavoratrici della civiltà capitalistica. Questa follia trascina con sé miserie individuali e sociali che, da più di due secoli, torturano la triste umanità. Questa follia è l’amore per il lavoro, la passione mortifera del lavoro, spinta fino all’esaurimento delle forze vitali dell’individuo e della sua prole”.

“Nella società capitalistica, il lavoro, è alla base di tutte le degenerazioni intellettuali e di tutte le patologie organiche”.

In fondo, pure nelle loro differenze, cosa propongono Rousseau, Freinet, Zavalloni, Cassano e Lafargue? Tornare ai tempi umani della vita umana che è tempo di pensiero, di emozioni condivise, di meditazione e di ricostruzione di legami umani di solidarietà dove ognuno contribuisce alla vita della comunità a secondo i propri bisogni e le proprie capacità. Una pedagogia della lentezza, dell’ozio e del recupero dei ritmi della nostra umanità, umanità che ci mette in comunione con gli altri e con l’ambiente naturale, un modo di essere che è alla base di una nuova pedagogia comunistica intesa come un mettere insieme le nostre differenze recuperando il ritmo vitale dell’esistenza e la vibrazione comune e solidali delle nostre anime.

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