“Nakba. La memoria letteraria della catastrofe palestinese” di Simone Sibilio

1Titolo: Nakba. La memoria letteraria della catastrofe palestinese
Autori: Simone Sibilio
Casa editrice: Edizioni Q

“Nakba. La memoria letteraria della catastrofe palestinese” prende in esame una selezione di opere letterarie palestinesi connesse al ricordo traumatico dell’espulsione di massa del 1948, indagandone in una prospettiva interdisciplinare le diverse modalità di configu razione e rappresentazione. La poesia riporta in vita tracce e luoghi cancellati dalla storia e dalle mappe geografiche. Interrogando il senso di ‘dislocazione’ deri vato da quella frattura, esprime l’ineludibile tensione tra memoria e oblio, presenza e assenza. Le opere in prosa di Kanafani, Natur, Habibi e Darwish vengono esplorate come potenziali serbatoi di contro-memorie della catastrofe del 1948. La memoria è agency volta a ristabilire un legame positivo con il proprio passato a rischio di oblio, è un atto di resistenza alle atrocità del presente.
Nella copertina della nuova edizione, del maggio 2015, un’opera del pittore palestinese Ismail Shammout per ricordare il massacro di Tall al-Za’tar del 1976.
La scheda di Edizioni Q

Dall’introduzione di Simone Sibilio

“Il sabato che avevo scelto era l’undici dicembre del 1948, proprio quell’anno della malora. Non dimenticherò mai questa data che sarebbe poi diventata la data storica della mia vita. Per me tutto è successo o prima o dopo quella data.”


Questa tragicomica battuta di Said, picaresco protagonista di uno dei più celebri romanzi della letteratura araba contemporanea “Le straordinarie avventure di Felice Sventura il Pessottimista” (1974) di Emil Habibi (1922-1996), racchiude mirabilmente l’essenza di questo lavoro: essa condensa in poche righe le premesse e le conclusioni, o se vogliamo l’inizio e la fine di questo viaggio letterario nei meandri della memoria collettiva dei palestinesi. Una memoria saldamente ancorata ad un data controversa, il 1948, data storica della vita non soltanto di Said, bensì di un’intera popolazione. Perché se il 1948 per il popolo ebraico è data eroica e trionfale, in cui si celebra “l’Indipendenza” raggiunta con la creazione di una propria entità nazionale, per il popolo palestinese rappresenta la Nakba, ossia il ricordo dell’espulsione di massa dalla propria terra e l’inizio di un tormento senza fine.  (…) il ricordo di tale evento cardine della storia palestinese è ancora oggi al centro di una disputa non solo storiografica, ma anche politica, istituzionale, culturale e filosofica, che si traduce concretamente in una battaglia simbolica tra pratiche e atti di recupero e riviviscenza di esperienze e di vissuti da una parte e politiche di negazione e di oblio dall’altra.

La questione del riconoscimento della Nakba è un nodo centrale del conflitto israelo-palestinese. Da decenni palestinesi sono costretti  a battersi quotidianamente non solo per il proprio presente , per il diritto di vivere in pace nella prpria terra, ma anche per preservare il proprio passato, il patromonio storico, la tradizione e l’identità culturale. Devono battersi per custodire la memoria dell’evento traumatico fondante nella loro narrazione storiografica, una memoria insabbiata dalla narrazione dominante dell’altro.

La messa in atto, sempre più consistente negli ultimi anni da parte delle autorità israeliane, di pratiche di soppressione sistematica dei segni del passato palestinese e di meccanismi di produzione dell’oblio, non lascia intravedere spiragli di ottimismo. L’ultimo tassello di questa pervicace strategia di eliminazione del passato dell’altro è rappresentato dalla cosiddetta legge sulla Nakba, promulgata nel marzo del 2011 dal Parlamento israeliano …

(…) l’attuale legge impedisce di fatto alla minoranza dei palestinesi di Israele di congiungersi pubblicamente nel ricordo di un evento luttuoso che possa ‘guastare la festa’ nazionale e offendere il sentimento collettivo della popolazione ebraica. Ma dietro a questa giustificazione ufficiale – alquanto naif – si cela un preciso disegno, da cui emergono evidenti sintomi di una allarmante deriva etnocratica dello Stato d’Israele, volto alla cancellazione della storia e della cultura dell’altro.

Oggi il conflitto israelo-palestinese si disputa anche sul terreno politico e sociale della memoria e il suo destino è quanto mai legato al riconoscimento del passato di sofferenza dell’altro. È questa considerazione che mi ha spinto ad indagare la produzione culturale palestinese legata al ricordo traumatico della Nakba, come forma di recupero e in termini di apporto di un sapere altro – filtrato dal racconto di esperienze individuali e collettive – a una narrazione storica controversa e che ancora oggi presenta zone d’ombra.

La lotta dei palestinesi per il riconoscimento del loro dramma oltre che attraverso la complessa ricerca storica, si è espressa anche attraverso la costante articolazione della memoria culturale. (…) Essa viene sovente utilizzata in soccorso al patrimonio culturale seppellito da lunghi decenni di devastazioni, annientato dalle pratiche di guerra, e per l’affermazione della propria narrazione storica e dell’identità minacciata. L’arte diviene un poderoso strumento per il recupero di un passato delegittimato e annebbiato da una rappresentazione egemone, di una verità storica imbavagliata e per una rivendicazione di resistenza al memoricidio perpetrato da Israele sin dalla sua creazione….

Tuttavia la posta in gioco è alta. Riconoscere la Nakba significherebbe riconoscere la deportazione e la pulizia etnica subita da centinaia di migliaia di palestinesi. Significherebbe riconoscere inoltre le responsabilità del dramma di migliaia di rifugiati – molti dei quali ancora oggi versano in condizioni deplorevoli – e il loro diritto al ritorno.

La catastrofe della Palestina è stata emarginata dalla storia mondiale del ‘900; la sua verità è stata oscurata a livello politico e mediatico dall’atroce ricordo indelebile delle persecuzioni subìte in Europa dagli ebrei.  Questa constatazione non intende sminuire la portata abnorme della Shoah tanto meno accostare o porre sullo stesso piano le due differenti tragedie. Però occorre riflettere sul significato del conflitto in termini di contesa tra memorie, e sull’uso strumentale che la narrazione sionista ha fatto – e quella istituzionale israeliana ancora fa – della memoria della Shoah per fini politico-ideologici…

(…) come afferma lo storico francese  Le Goff, “la memoria collettiva è uno degli elementi più importanti delle società sviluppate e delle società in via di sviluppo, delle classi dominanti e delle classi dominate, tutte in lotta per il potere o per la vita, per sopravvivere e per avanzare”.
Negli studi culturali e post o de-coloniali detiene  particolare significato il concetto di contro-memoria, coc cui si intende l’atto e la vlontà di recuperare una memoria emarginata o oscurata da un’altra dominante. Gli approcci subalterni sono particolarmente rilevanti nel caso delle esperienze popolari, di resistenza e di produzione orale dei palestinesi, se interpretiamo il termine subalterno in un’accezione più ampia di quella gramsciana, estendendolo alle classi marginali, espropriate ed oppresse come le comunità palestinesi nel corso della storia dalla Nakba ad oggi.”

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