Senza pretese di nessun tipo, tantomeno quella di indicare un percorso tragionato di letture; più semplicemente, un elenco di dieci o undici libri, anche molto diversi tra loro, tra quelli che personalmente ho letto o riletto negli ultimi anni, che ora mi tornano in mente, e sui quali, a suo tempo, ho scritto anche alcuni appunti. Ce ne sono, naturalmente, anche tanti altri, interessanti, che ora non riporto, alcuni letti da ragazzo e di nuovo riletti qualche tempo fa. Ad esempio, “L’Agnese va a morire” di Renata Viganò, un libro dove si mescolano romanzo e spunti autobiografici, e ambientato nelle terre di pianura tra l’appennino bolognese e modenese e le paludi di Comacchio e del Po’. Oppure, il saggio “Una guerra civile” di Claudio Pavone, un testo fondamentale per inquadrare “tutta” la Resistenza, e che in verità è un testo così vasto che non andrebbe “semplicemente” letto ma consultato. Un altro libro che ho trovato assai interessante, ma sul quale non ho preso appunti scritti, è “Le rondini di Montecassino” di Helena Janeczek, dedicato alle truppe di fanteria dei diversi pasei, dimenticati, che parteciparono alla battaglia di Montecassino; tra questi l’autrice ricorda in particolare il contingente dei maori neozelandesi e poi la drammatica storia del corpo di spedizione polacco. O ancora, di recente ho letto “Francesco Moranino, il Comandante “Gemisto”. Un processo alla Resistenza” di Massimo Recchioni. Una storia rovesciata quella del comandante Gemisto, o forse ad essere rovesciata è la Storia con la S maiuscola, quando attraverso di lui si tenta di mettere sotto accusa la Resistenza. O ancora, le preziose Lettere di condannati a morte della resistenza Italiana. Sono libri che in gran parte ho letto o consultato durante la stesura di “In bicicletta lungo la Linea Gotica” (tranne l’ultimo, la storia del comandante Gemisto, che ho ricevuto direttamente dall’autore, scambiandolo con il mio, nel frattempo uscito).
Senza pretese di nessun tipo, quindi, nel citare questi pochi libri, se non quella di stimolare un’attenzione alla lettura; ve ne sono anche altri, che ho letto sull’argomento e non cito qui, e sono ancora di più quelli che non ho letto o che nemmeno conosco, spesso testimonianze o diari, magari stampati e distribuiti solo in circuiti locali; qui sotto cito appena dieci o undici libri; se volete, suggeritene altri voi, nello spazio dei commenti. “Libri” e “Memoria” sono strettamente connessi, se non sta bene uno dei due termini, neanhe l’altro sta molto bene.
(le immagini che ho usato sono fotogrammi del film Il partigiano Johnny)
“Linea Gotica” di Cristoforo Moscioni Negri
L’autore ha partecipato alla campagna di Russia come sottotenente degli alpini e dopo l’8 settembre 1943 ha comandato un battaglione partigiano nel Pesarese; in seguito si è aggregato all’VIII armata inglese. Sull’esperienza in Russia, che ha condiviso con Mario Rigoni Stern, ha scritto “I lunghi fucili” (1956, nuova ed. Il Mulino, 2005). Nato a Pesaro nel 1918, è morto nel 2000. “Linea Gotica” è il suo diario, dalla rotta dell’8 settembre, che per tanti oramai ex militari come lui diventa anche un’occasioen di riscatto, fino alla presa di Talamello (Pesaro) insieme ai reparti dei Gurkha nepalesi, ed è anche un atto di amore alla sua terra e alla sua gente, con occhio attento ma anche disincato, non elegiaco ma aderente all’umanità delle persone con cui condivide questa esperienza.
“Una questione privata” di Beppe Fenoglio.
Meno conosciuto de “Il partigiano Johnny” ma altrettanto bello e forse anche più particolare. Lo spazio del privato nella guerra, per di più quando a quella guerra si partecipa, perché il protagonista è un partigiano, giovane come Jhonny. Eppure, storia individuale e storia generale non si contrappongono ma s’intrecciano, perché al di fuori di quel contesto anche quella storia privata non sarebbe più la stessa, e al tempo stesso, è proprio quella storia privata che illumina in modo diverso la storia più generale, la rivela sotto uno altro sguardo. Si alternano nel racconto paesaggi nebbiosi, umidi, scuri, febbricitanti di lunghe camminate avanti e indietro, che si alternano a spazi più solari tranquilli e aperti, quelli che c’erano prima. L’ambiente è quello utlizzato sempre da Fenoglio, Le Langhe.
“L’ombra del cerro” di Silvia di Natale.
Qui siamo dalle parti del Monte Fumaiolo, tra Toscana, Marche e Romagna, e il romanzo è ispirato alla storia vera, raccolta dall’autrice attraverso la ricerca di testimonianze e documentazione. La stessa foto di copertina è di una ragazza di appena vent’anni, che allora si unì ai gruppi partigiani in montagna, non come staffetta ma come combattente. Qui le storie private di tanti ragazzi e persone della zona s’intrecciano in maniera diretta con le vicende storiche accadute tra il ’43 e il ’44, su un punto importante della Linea Gotica, quello che controllava il passaggio verso nord lungo la valle del Tevere e l’accesso verso la provincia pesarese. Il romanzo cambia i nomi dei personaggi ma ripercorre la vicenda storica; ci sono anche pagine dedicate alla tragica fine dei fratelli Frè Luigi e Sildo Bimbi, fucilati nei pressi della frazione di Balze (Badia Tedalda) il 12 luglio del ’44.
La storia dei fratelli Bimbi è diventata anche una canzone della Staffetta della Memoria (“La ballata di Sildo e fre Luigi”), ed è raccontata, sempre dalla Staffetta, anche in una delle loro conferenze spettacolo del ciclo Storie di fronti e frontiere: “La storia dell’occupazione tedesca a Badia Tedalda”.
“La guerra dei poveri” di Nuto Revelli.
“Mi spaventano quelli che dicono di aver sempre capito tutto”, dice Nuto Revelli nel suo libro “La guerra dei poveri”, nel raccontare la sua storia, tra la disfatta della campagna di Russia e la scelta di combattere i nazifascisti. Quando lo lessi mi venne da paragonarlo ai romanzi di formazione, una formazione che avviene in un contesto assai estremoe particolare. Revelli, infatti, racconta non soltanto le vicende storiche che ha vissuto in prima persona, ma anche la lancinante metamorfosi che il suo io interiore ha attraversato – si tratta però di qualcosa di più, forse di un romanzo di formazione collettivo, il passaggio di una generazione dalla innocenza di un mondo che appare chiaro alla scoperta di un mondo che si rivela essere altro, e al quale comunque è possibile rispondere – reagire – solo a patto di riconquistare una capacità di scelta. Il tema della scelta, in verità, attraversa tutti questi libri in cui il contesto è dato dalla guerra di liberazione. E’ un tema centrale, con cui dobbiamo sempre misurarci, ed è una scelta non astratta o ideale in un senso astratto, ma che si pone sempre in termini molto concreti e molto umani. Revelli riserva uno sguardo particolare ai “poveri”, ai contadini mandati in guerra, e che poi scelgono di continuarla, la guerra ma con i partigiani.
“Il ragazzo di Marzabotto” di Francesco Pirini.
Il titolo indica già di cosa stiamo parlando, anche se il luogo esatto dell’eccidio non fu il paese di Marzabotto ma le frazioni e i casolari distribuiti su Monte Sole, allora luogo vivo, con case coloniche, campi coltivati, chiese, paesi, scuole, nel fondo valle anche qualche impianto industriale. Tutto distrutto, insieme all’eccidio delle persone. Il Monte non è stato più abitato da allora. Francesco Pirini aveva diciassette anni ed è uno dei pochi superstiti, nel libro racconta quelle terribili giornate, concludendo così: “Il messaggio che cerchiamo di trasmettere da Monte Sole è più che mai attuale, battersi contro la guerra con le armi della memoria e della conoscenza.” Ho anche avuto l’occasione di incontrarlo, dopo che avevo già letto il suo libro, su Mionte Sole, mentre si riposava tra una comitiva el’altra che lui accompagnava sui luoghi della tragedia.
“Sulla linea del fuoco” di Daniele Amicarella.
Siamo al centro della Linea Gotica, sull’Appennino pistoiese. “Ancora una volta sto per entrare dentro la Storia… non faccio troppa fatica, perché i racconti ascoltati dai miei nonni mi scorrono davanti agli occhi come in un film in bianco e nero”, scrive l’autore nella prefazione a questo bel libro, molto documentato e ricco di testimonianze, una minuziosa ricostruzione storica degli eventi più densi della montagna pistoiese, quelli del settembre del ’44, durante la battaglia che non riuscì a sfondare il fronte ma solo a farlo indietreggiare, dove poi restò bloccato durante quel lungo inverno nevoso, fino all’inizio di aprile del ’45.
“Venti corpi nella neve” di Giuliano Pasini.
E’ un romanzo con il ritmo e l’intreccio di un giallo. Il luogo, Case Rosse, un piccolo borgo nell’Appennino tosco-emiliano, sede del commissariato più piccolo d’Italia. Di che parla la storia? C’è un delitto orribile, che rinvia ad un eccidio avvenuto cinquanta anni prima. Un eccidio vero, da crimine di guerra, sull’Appennino bolognese, conosciuto sui libri di storia con tanto di nomi e cognomi, ma di cui l’autore probabilmente ha notizia anche tramite testimonianze dirette. Memorie reali, con tutto ciò che contengono. Credo sia questo – non proprio l’eccidio ma il racconto dell’eccidio – lo spunto da cui parte la storia, con tutta la costruzione che poi l’autore vi ha creato attorno, non solo per intrigarci alla lettura e riportarci così di nuovo dentro queste vicende del nostro passato che non dobbiamo dimenticare, ma forse anche per proporci una sorta di metodo, un tipo di sguardo. Svelando la verità nascondendola, dicevo più sopra, nel senso che la verità non è più nemmeno in ciò che alla fine inevitabilmente ci appare, ma è anche negli interrogativi che si porta chiusi dentro.
“Come la foresta ama il fiume” di Anna Laura Biagini
Qui siamo all’estremo confine orientale, in una terra, anzi, dove i confini nell’ultimo secolo sono stati spostati più volte avanti e indietro, senza curarsi di che ci abitava. E’ un romanzo, una storia di partigiani italiani e sloveni, raccontata attraverso gli occhi di una ragazza che per seguire il fratello va a vivere con i partigiani in un ospEdale da campo nascosto in un luogo quasi inaccessibile, costruendo palafitte sopra la corrente di un fiume. Con partigiani che vanno e vengono, lungo tutto lo scorrere della guerra, fino a quando iniziano a delinearsi anche le divisioni, una volta che iniziano a intravdersi i nuovi confini che divideranno Italia e Slovenia, separando persone che erano comunque abituate a vivere insieme: ““Veramente sì, è un problema se adesso i nemici diventiamo noi”; “Noi? Noi chi? Noi sloveni o voi sloveni che a conti fatti, ora che la guerra sta finendo, siete di nuovo italiani?” si scambiano in un battibecco la protagonista e un suo compagno di lotta.
“Angelina, una storia partigiana”, raccontata con i disegni da Quisco (Guido Carrara). Anche qui siamo al confine tra Friuli e Slovenia; la storia raccontata è una storia vera, vissuta sulle Malghe di Plazè, non lontano dal Natisone. Nel 1944 il confine esisteva da nemmeno trent’anni, prima c’era un unico Stato, e anche in questa storia ci si muove di qua e di là dal confine, come se fosse ancora un unico paese. In questo contesto, ecco la storia di Angela Perussi, una donna comune di fronte a eventi straordinari, che pongono l’esigenza di compiere scelte altreattanto straordinarie. La storia dovrebbe insegnare anche, come si legge nel racconto, che “il successo non è solo per i furbi ma deve essere per coloro che sanno adoperarsi per la comunità e la socialità”.
“Ho una storia per te” di Attilio Coco.
Di nuovo sull’Appennino pistoiese, in un borgo non ben identificato. Il romanzo nasce stimolato da una storia vera, un dettaglio di fronte ai grandi avvenimenti della Storia, se non che quel dettaglio è l’uccisione, con una fucilata alle spalle, di una carabiniere che forse collabora con i fascisti, e lascia orfano un figlio di pochi anni. Ma pur essendo immerso nella storia, non è un romanzo storico. I personaggi vivono nell’oggi, qui e attorno a noi. Sono uno scrittore cinquantenne, che a che fare con i libri e le storie scritte, per lo più romanzi sulla Resistenza, sui quali si è formato. E il suo amico ottantenne, adolescente durante la Resistenza, e ora ex proiezionista al cinema del paese, abituato a vedere le storie collocandosi dietro agli altri, come se anche gli altri facessero parte delle storie che lui guarda sullo schermo. Storie di altri, diverse dalla storia di sé, che custodisce con geloso pudore. Fino a che un giorno – certamente non un giorno qualunque – l’amico fa un passo in più e decide di condividere il suo pudore. E da qui nasce la storia, lo scavo interiore, la ricerca e la ricostruzione, tra il romamzo di formazione, attraverso iricordi, e il bilancio di una vita, con i suoi significati e le sue scelte, mai banali.
“Dove finisce Roma” di Paola Soriga.
Storia ambientata a Roma agli inizi di maggio del ’44, con gli Alleati che già si stanno preparando a entrare in città, eppure che vive dentro quei giorni non lo sa ancora che l’occupazione sta per finire, anzie, proprio in questi momenti subisce i pericoli maggiori. La protagonista è una ragazza, staffetta dei partigiani e degli antifascisti clandestini, che corre e pedala per le strade di Roma, avanti e indietro tra Centocelle, il Quadraro, Porta Maggiore, il centro, a piedi, in bicicletta, sul tranvetto, e raccoglie voci, vede, sente ciò che accade. E tra le voci, quelle che raccontano come voce di popolo, la deportazione degli ebrei dal fgetto, e poi il massacro orribile delle Fosse Ardeatine. La protagonista negli ultimi giorni riesce a scappare prima che la prendano e si nasconde nelle cave di tufo, da sola, nessuno sa dove si trova, lì nel buoi aspetta e ripensa: ““Il rumore che fanno i suoi pensieri e quello che fanno i topi oramai li conosce, quello della paura è muto e denso e non se va mai, e aspetta la mattina come se portasse la fine di tutto.”
STORIA: I prigionieri di guerra italiani in Unione Sovietica:
http://www.eastjournal.net/storia-i-prigionieri-di-guerra-italiani-in-unione-sovietica/58165