GIANNI RODARI (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980).
“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna… Non diversamente una parola gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.”
Da “Il sasso nello stagno“, in GRAMMATICA DELLA FANTASIA.
“Da un lapsus può nascere una storia, non è una novità. Se, battendo a macchina un articolo, mi capita di scrivere “Lamponia” per “Lapponia”, ecco scoperto un nuovo paese profumato e boschereccio: sarebbe un peccato espellerlo dalle mappe del possibile con l’apposita gomma; meglio esplorarlo, da turisti della fantasia. (…) Un errore ortografico, se ben considerato, può dar luogo ad ogni sorta di storie comiche ed istruttive, non prive di risvolto ideologico, come io stesso ho cercato di dimostrare nel mio “Libro degli errori”. “Itaglia” , con la g, non è solo una licenza scolastica. C’è davvero gente che grida, anzi, scandisce: “I-ta.glia”, “I-ta-glia”, con una brutta g in più, cioè con un accesso nazionalistico e un tantino fascistico dentro. L’Italia non ha bisogno di una g in più, ma di gente onesta e pulita, E semmai di intelligenti rivoluzionari. (…) Molti dei cosiddetti “errori” dei bambini, poi, sono altra cosa: sono creazioni autonome, di cui si servono per assimilare una realtà sconosciuta. “Pasticca”, “pasticchina”, possono suonare a un orecchio infantile parole senza senso. Egli non si fida di loro e, assimilando l’oggetto all’azione che comporta, usa la parola “mastichina”. Tutti i bambini hanno di queste invenzioni.”
Da “l‘errore creativo“, in GRAMMATICA DELLA FANTASIA
“Chiamerò “tabù” un certo gruppo di storie che personalmente trovo utile raccontare ai bambini, ma di fronte alle quali molti arricciano il naso. Esse rappresentano un tentativo di discorrere col bambino di argomenti che lo interessano intimamente ma che l’educazione tradizionale relega in generale tra le cose di cui “non sta bene parlare”: le sue funzioni corporali, le sue curiosità sessuali. S’intende che la definizione di “tabù” è polemica e che io faccio appello all’infrazione del “tabù” (…) Conosco anche i guai che toccano agli insegnanti, sia di scuola materna che di scuola elementare e media, i quali vogliano portare bambini e ragazzi a esprimere totalmente i loro contenuti, a liberarsi di tutte le paure, a sconfiggere ogni eventuale senso di colpa. Quella parte dell’opinione pubblica che rispetta i “tabù” fa presto ad accusare di oscenità, a far intervenire le autorità scolastiche, a sventolare il codice penale. Che un bambino osi disegnare un nudo maschile o femminile, completo dei suoi attributi e facilmente contro il suo insegnante si scateneranno la sessuofobia, la stupidaggine e la crudeltà del prossimo. Ma quanti insegnanti riconosceranno ai loro scolari la libertà di scrivere, se occorre, la parola “merda”? (…) Il fatto dell’automobile ha direttamente influito sulla mia “Storia del re Mida”: il quale, liberato dal dono di dover trasformare in oro tutto ciò che tocca, per un certo contrattempo viene costretto a trasformare ciò che tocca in “cacca”, e la prima cosa che tocca è giusto la sua automobile…”
Da “Storie tabù“, in GRAMMATICA DELLA FANTASIA