“il Mugello è una trapunta di terra”, di Simona Baldanzi

1Titolo: il Mugello è una trapunta di terra
Autore: Simona Baldanzi
Casa editrice: Laterza

LA STORIA COME UN BISBIGLIO. “Volevo tornare a camminare, ma volevo riprendermi anche la voglia di raccontare”, scrive Simona Baldanzi nelle prime pagine del suo raccontare camminando, e allora ecco che iniziano ad alternarsi, mescolarsi tra loro in tutt’uno, il ‘divano dei racconti’ e delle storie del Mugello, e il Mugello dei camminatori visto dall’alto, quello dei crinali, dei boschi e degli sguardi che si allargano ad abbracciare questa valle. E così, il Mugello che è una trapunta di terra, raccontato da Simona, mi appare anche come un abbraccio, nel senso letterale del gesto delle braccia che si allargano a semicerchio, così come è il movimento del cammino intrapreso, che per larga parte è un ampio semicerchio. Dapprima si dirige all’opposto, verso sud, per salire alla Barbiana di Don Milani e respirarne i luoghi, come per prendere lo slancio e poi girare, in un largo semicerchio, verso nord. I mugellani come Simona, che è di Barberino, possono vedere così le loro case dall’alto, da tutte le angolazioni possibili, e anche le storie che ci stanno in mezzo, covate e sciolte sotto forma di racconto proprio a partire da quel divano di casa sua; sembra quasi che si sia allenata a camminare seduta sul divano, con i mugellani a raccontarle storie, e poi quelle storie rimbalzano con lei sui monti per essere condivise anche con gli altri camminatori.

Gran parte del viaggio si svolge dentro questa cornice, del camminare e raccontare abbracciando il Mugello con uno sguardo, come per prendere così lo slancio prima di lanciarsi decisi oltre il crinale – non c’è un confine tra i monti, solo il parlare delle persone che gradualmente muta, ma te ne accorgi dopo – pronti per raggiungere Monte Sole direttamente, senza mediazioni, arrivando dall’alto, dalla via che allora fu anche del fronte di guerra, dalla Futa verso Monzuno. Monte Sole è un luogo unico, non è più un catino di storie, è talmente estrema la sorte che gli è toccata da essere diventato qualcosa di più di una memoria.

Avverto il silenzio, la sacralità del silenzio sussurrante, non so dirlo in altro modo, sullo sfondo della lunga narrazione che Simona fa nelle pagine finali: “Arriviamo nel silenzio ovattato del parco, qualche insetto bisbiglia, i passi sull’erba. Eppure sento come un ronzio di radio e di voci. La storia che mi arriva come un bisbiglio sempre più nitido.” La storia come un bisbiglio, non l’avevo mai pensata prima questa immagine. “Monte Sole è stato a lungo un luogo rimosso. Un monte talmente impregnato di orrore e di dolore che le persone lo scansavano. È rimasto a lungo disabitato e non raccontato e anche quando si è cominciato a ricordare quei fatti di una violenza inaudita, nell’immaginario comune si è diffuso che erano successi a Marzabotto e non su quel monte. (…) Monte Sole non lo avevo mai sentito nominare, era il rimosso dentro al rimosso. L’eccidio di Monte Sole. Nel suo nome non ci poteva stare il buio che aveva ingoiato tutto. Eppure il peggio è avvenuto sul Monte (…).” E poi seguono pagine molto commosse, dopo sei giorni di viaggio a piedi e la testa ancora piena di tutti i passi compiuti, come una paziente preparazione di corpo e mente che si cercano tra loro e alla fine sono di nuovo uniti, come un tutt’uno di passato e di presente, di storie andate e dell’esserci oggi qui: “A monte Sole hanno memoria le querce, hanno memoria”, c’è scritto su una lastra di pietra. Passato e presente ad alternarsi tra loro, pronti a sospendersi uno nell’altro. “Dobbiamo andare da Luigi. Ci siamo scordati anche di pranzare e l’ora è passata da un pezzetto.” Chi è Luigi? ”Luigi mi passa il vino. Alzo la mano, come a fermare il fiasco, come a fermare il fiasco, come a fermare una scena, il tempo, il mondo intero, per pudore nei confronti dei morti. Lui sembra capire, ma prende lo stesso il tozzo bicchiere e lo riempie. Mi porge quel bicchiere e, anche senza dire nulla, me lo dice che si deve continuare a vivere, a mangiare, a godere. Quello che hai vissuto qua non se ne va con questo vino, non ti preoccupare. Nessuno te lo può cancellare.”

Ho citato l’inizio del libro e il finale. “Un viaggio – ha scritto il Che nel suo diario “Latinoamericana”, sto citando a memoria – ha due estremi. Il punto in cui comincia e il punto ove finisce: se è tua intenzione far coincidere il secondo punto teorico con il reale non cercare scuse nei mezzi”. Credo che qualsiasi viaggio, anche quello in apparenza più modesto, risponda a questa tensione che ci portiamo dentro, dobbiamo solo imparare ad ascoltare. E allora ecco ‘il tornare a camminare e la voglia di raccontare’, perché anche il raccontare è un vedere con occhi che procedono lenti come un passo alla volta, e un mettere in fila parole che sono come un cammino, ma un cammino ricco, sempre vario, pronto a stupirsi, e poi il camminare insieme, il gruppo, ciascuno con il suo passo e tutti insieme di pari passo. Il sortirne insieme, come diceva Don Milani: “(…) gli altri camminatori mi ascoltano raccontare i vari aneddoti e sorridono. Ancora non ricordo tutti i nomi di chi sta alla tavola, cosa fanno più o meno nella vita, se sono camminatori abituali o casuali, come lo sono io. Li guardo uno per uno, i gesti che fanno per portare la forchetta alla bocca, le maglie pulite che indossano dopo la doccia, le increspature attorno agli occhi e so bene che il gruppo dei montatori non era come questo gruppo di camminatori. Si, non ci conosciamo, ma siamo qua insieme una settimana a camminare, questa cosa la condividiamo. I montatori…”. Di quali montatori racconta Simona? Quelli della fu Emmelunga di Barberino. La storia, le storie di tante persone del Mugello che con quella avventura produttiva e commerciale si sono intrecciate, le storie che lei ha raccolto su quel divano a casa sua, chiacchierando con tanti, e che ora mentre cammina sta rimontando nella sua testa, sta abbracciando con lo sguardo e intrecciando ai suoi passi, come i camminatori abbracciano con lo sguardo la terra del Mugello dall’alto dei suoi crinali.

Mi sono divertito leggendo il libro, seguendo il tono divertito di Simona nel raccontare, un divertito che non ha nulla della distrazione ma al contrario serve a spingere in avanti quel senso di stupore che si prova di fronte alle scoperte, o alle storie anche insolite, ai paradossi, perché è uno stupore sempre disincatato, e delicato, di poche parole aggiungerei, come l’eterno industriarsi delle persone che vivono così come sanno fare. E quindi il Mugello è una trapunta di terra, un intrecciarsi di storie, di passi, di cammini senza fine e, quindi, anche di cose che ancora ci sfuggono: “Sono di passaggio, una volta soltanto e non posso pretendere di conoscere tutto, di capire tutto…”.

Chiudo queste citazioni che ho fatto saltando qua e là nel libro, con il passaggio dei camminatori al cimitero tedesco della Futa e al suo mausoleo, sul cui piazzale si mettono in scena le grandi tragedie greghe. Simona, arrivandoci, rivive le escursioni da bambina con la sua famiglia: “In quei prati che si percorrevano a spirale, dal basso salendo su, ho imparato il silenzio e il rispetto. Non tanto dei morti, non afferravo appunto ancora il senso del tempo, quanto il rispetto della storia, ma non di quella grande che coinvolgeva i popoli di cui ancora non riuscivo a cogliere l’eco, ma nel senso di un racconto cominciato prima di noi.”

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—  Un sogno così non sarebbe tornato mai più, di Simona Baldanzi
—  “lo spirito chourmo” di Tullio Bugari

LE SERATE DELLA STAFFETTA DELLA MEMORIA 2015: Lunedì 27 aprile, alle 21.30, a Scarperia (Palazzo dei Vicari), incontro della Staffetta della Memoria con il pubblico, organizzato dal “Comune di Scarperia – San Piero” e dalla “Biblioteca Comunale”, in collaborazione con la Pro Loco di Scarperia e la partecipazione dell’Associazione “Letteratura rinnovabile”, e degli scrittori Simona Baldanzi e Marco Vichi.

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