“La lingua delle farfalle”, di Manuel Rivas

La lengua de las mariposas.  È un racconto di Manuel Rivas, rappresentato ieri sera nella piccola biblioteca del paese di Agugliano, dalle mie parti. 1Voce narrante Raffaela Bruschetta, accompagnata dalle musiche dal vivo di Marco Medici e dalle immagini pittoriche proiettate di Luca Morici. Non una compagnia di professionisti che calca abitualmente le scene ma appassionati, in questo senso sì professionisti, che si applicano per rendere un omaggio di qualità a un bel testo letterario. Mi venivano in mente, mentre ascoltavo e guardavo le immagini, i cartelloni dei cantastorie, che mettono in scena la vita e i drammi, ma cantastorie originali, di nuova indole. Le immagini mi ricordavano certi disegni di Carlo Levi o Giuseppe Zigaina, di pari profondità e al tempo stesso più leggeri, o forse di una tristezza in più: là i sogni che crescevano, qua i sogni che svaniscono. Come il tono del racconto. Il racconto è contenuto in una raccolta uscita alcuni anni fa in Italia per la Feltrinelli, andato oramai esaurito. Non mi risulta che ci siano altri libri in circolazione in Italia dello stesso autore.

123Dal racconto è stato tratto anche un film, La lengua de las mariposas, uscito nel 1999 soltanto in Spagna, del regista José Luis Cuerda, che aggiunge al racconto ulteriori piccoli episodi, ma forse si tratta solo del diverso uso di altri linguaggi. C’è una scena, ad esempio, nella quale il maestro Don Gregorio riceve un’onorificenza e tiene un discorso davanti ai genitori e agli alunni che lo applaudono; ci sono però anche delle autorità militari che ad un certo punto si alzano stizzite e se ne vanno sbattendo platealmente la porta. Come un presagio. La frase pronunciata dal maestro Don Gregorio è questa: “Si conseguimos que una sola generacion crezca libre, tan solo una sola generacion, ya nadie les podrá arrancar nunca la libertad, nadie les podra robar ese tesoro”.

Un discorso troppo libertario. Sono anni di duro scontro politico in Spagna, durante l’effimera vita – come una farfalla – della seconda repubblica spagnola, dal ’31 al ’36, prima del pronunciamento di Franco. Il racconto di Manuel Rivas è breve, è costruito come un delicato ricordo di infanzia dell’io narrante, Pardal o Passero in italiano, e la sua storia è simile a una metamorfosi. La lingua delle farfalle è come una molla, racconta Don Gregorio ai suoi alunni, affascinandoli con i suoi racconti. Stanno aspettando un microscopio da Madrid, per penetrare quei segreti profondi della natura, ma arriveranno prima i militari. Manuel Rivas non è di quell’epoca, nasce circa venti anni dopo e, dunque, pesca non dai ricordi diretti ma dall’immmaginazione collettiva, ricostruendo la storia dalla quale la vita di oggi è scaturita. Un aggancio a quel passato che c’era prima, bruscamente interrotto. Compare nel racconto una poesia di Antonio Machado, “Ricordo d’Infanzia” appunto, che viene letta anche nel film:

Sera grigia: freddo: foschia
d’inverno. I collegiali
studiano. Monotonia
della pioggia sui viali.
.
Nella classe c’è un cartello
e v’hanno dipinto Caino
che fugge; già morto, il fratello
ha un lago vermiglio vicino.

Secco, imperioso, sonoro,
tuona il maestro: un anziano
malmesso, patito, incoloro,
col libro aperto in mano.

E i piccoli, docili, in fila
gli ricantano la lezione:
mil-per-cento, centomila;
mil-per-mille, un milione.

Sera grigia: freddo: foschia
d’inverno. I collegiali
studiano. Monotonia
della pioggia sui viali.

Machado morirà nel 1939, appena tre anni dopo la fucilazione, il 19 agosto del 1936, del poeta Garcia Lorca, il cui corpo fu gettato in una tomba senza nome nei pressi di Granada.
Alla fine di gennaio del 1939, Machado fugge dalla repubblicana e rivoluzionaria Barcellona, che ancora resiste ma da sola, e sta per cadere nelle mani dei franchisti; Machado e sua madre insieme a tanti altri vanno a piedi verso la frontiera francese, un cammino di stenti, lungo il quale smarrisce con i suoi bagagli anche le sue poesie e i suoi appunti. Attraversano la frontiera di notte, lui e la madre sostenendosi abbracciati, sotto la pioggia e con i piedi a pestare nel fango, tra il 28 e il 29 gennaio e si fermano subito, stremati, a Collioure, un paesino di fronte al mare, grigio e duro nelle sue tempeste invernali. Machado è stanco, malato, amareggiato; contempla il cielo avverso, guarda indietro verso il paese lasciato, o forse verso l’infanzia e la vita lontana. Muore pochi giorni dopo, il 22 febbraio. Suo fratello Josè troverà arrotolata nelle sue tasche un pezzo di carta sul quale ha scritto gli ultimi suoi versi: “Estos dias azules y este sol de la infancia”…“Questi giorni azzurri e questo sole dell’infanzia”. Parla di un mondo che è rimasto altrove. Tre giorni dopo morirà anche la madre che sarà sepolta accanto a lui.

Nel racconto di Rivas, i giorni azzurri e il sole sono il paesaggio stesso in cui la storia vive, mentre la poesia di Machado citata all’inizio del racconto rimanda invece a giorni di scuola più grigi, monotoni, con la pioggia sui vetri, come quelli piovosi e grigi che Machado ha di nuovo attorno a sé nei suoi ultimi giorni. Nella poesia citata nel racconto compaiono Caino e Abele, come un presagio forse della guerra civile, e “un lago vermiglio vicino”. Un altro fratello di Machado, Manuel, drammaturgo, avevano anche lavorato insieme, pur essendo legato a lui affettivamente farà scelte politiche opposte, con i franchisti, e nello stesso anno del morte di Antonio, il 1939, scriverà addirittura un’ode a Franco, al generalissimo vittorioso.

Il finale del racconto di Rivas è altrettanto brusco, improvviso e totale, spazzerà via tutto, rivolterà le persone dal di dentro, peggio di una metamorfosi alla rovescia. Ci vorrebbe davvero un buon microscopio, per leggervi dentro. Sembra la scena di un’esecuzione sulla pubblica piazza, con la folla che reclama isterica il proprio sacrificio. Con una sola immagine, Rivas stuzzica un’infinità di riflessioni. Forse è proprio come commenta quell’alunno, quando Don Gregorio gli chiede del senso della pioggia nella poesia di Machado che hanno appena letto: “Continua  a piovere dopo che ha già piovuto!”

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