Titolo: Padre, padrone, padreterno
Autore: Joyce Lussu (a cura di Chiara Cretella)
Casa editrice: Gwynplaine edizioni
“Larga la foglia stretta la via, dite la vostra ché ho detto la mia. chiudo e passo, dalla sponda destra del fiume Tenna fluente dai fianchi del monte Sibilla, in questo giorno 28 agosto 1976, anniversario della morte e centenario della nascita di mia madre, casalinga obbligata ma indomita e sibillina; che mi spiegava, sorridendo, come i periodi passati nelle carceri fasciste e al confino erano stati, per lei, epoche di sontuosa libertà dai lavori forzati della vita domestica.”
Si chiude con queste parole, e questo ironico invito a riprendere noi la parola, il lungo racconto di Joyce Lussu, dalla lunga introduzione di auto-presentazione (“Essere donna”) ai diversi capitoli di approfondimento storico dal punto di vista delle donne, e insieme delle lotte di classe contro i soprusi: “Schiave e matrone”, “Villane e castellane”, “Streghe e mercantesse”, “Padrone e proletarie” sono i titoli; un filo conduttore che rende necessario inserire dietro la parola Civiltà un punto interrogativo, ancora oggi da sciogliere: “Un tempo si chiamava “storia” solo la storia delle classi dominanti. Oggi questo punto di vista appare inaccettabile.”
Riporto alcune citazioni, molto parziali per comprendere l’intero lavoro, ma che mi attraggono perché hanno un riferimento più diretto con le terre che mi sono geograficamente più vicine:
“La cultura contadina che riemerge alla fine del mondo antico è quella che era rimasta schiacciata dalla formidabile macchina dello Stato romano, e aveva continuato a esistere solo nelle zone meno popolate e meno produttive di contadini e pastori liberi. I romani, sempre pratici, non ritenevano utile impiegare grandi forze militari e amministrative per occupare pezzi di territorio montagnoso, di scarsa utilità strategica o comunque poco fertile e poco abitato, che avrebbe reso pochissimo e creato difficili problemi di controllo; mentre circoscritti e lasciati a se stessi, diventavano autosufficienti e non tendevano a espandersi, né a costituire un pericolo per le zone del latifondo, dei centri urbani, della grande viabilità militare e commerciale.
Dopo il 1860, quando economisti piemontesi e lombardi scesero sugli ex- Stati pontifici recentemente annessi, si accorsero con stupore che nell’Appennino centrale prosperavano ancora residui di antichissime società comunitarie: “comunanze”, “partecipanze”, “università”, “consorzi di famiglie originarie” ecc. Solo attorno ai monti Sibillini, nella provincia di Ascoli, c’erano ancora 176 comunanze, con statuti consuetudinari che risalivano ai tempi anteriori l diritto romano e alla proprietà privata. La terra era suddivisa in bosco, pascolo e campi coltivabili: nel loro bosco ogni famiglia faceva provvista di combustibile e di legname da costruzione; il bestiame e il pascolo erano indivisi, e i prodotti del taglio dei boschi e della falciatura venivano spartiti tra tutti i “comunisti”; ogni famiglia aveva in uso esclusivo, ma temporanei, qualche appezzamento coltivabile e non vi era diritto di eredità; il governo della comune proprietà era subordinato al lavoro di ciascuno e proporzionato ai bisogni di ogni famiglia; l’assemblea di tutti gli adulti, uomini e donne, discuteva le questioni generali e eleggeva, per un tempo limitato, due “massari”. In queste comunità, rifugiatesi da millenni in zone povere e impervie per sfuggire all’avidità dei proprietari, la posizione della donna era di grande prestigio: non solo partecipava alla produzione e alla distribuzione dei beni, ma gestiva l’assistenza medica e la mediazione con il sovrannaturale.”
La prima edizione di questo libro è del 1976: “appena quarant’anni!”. La ristampa di Gwynplaine è del 2009 – un decennio circa dopo la morte di Joyce – ed è introdotto da Chiara Cretella, con un testo il cui titolo (“Madre, Matrona, Madreterma“) ribalta ironicamente e con efficacia quello del libro. La prima parte di questo testo si può leggere sul sito letterario Carmilla.
Cito Dall’introduzione:
“Dopo trent’anni siamo riusciti a rintracciarlo (Gianni Peg) e a chiedergli di concederci di riprodurre quell’immagine (della copertina. Peg non solo ci ha concesso l’illustrazione, ma ha fatto di più: ha voluto disegnarla ex-novo, “aggiornarla” alle vicende politiche attuali e a restituircela in bianco e nero, così come era stata originariamente pensata. “A Joyce sarebbe piaciuta”‘ così ha commentato il geniale spostamento temporale dell’illustrazione, che al profilo mussoliniano sostituisce il ghigno machista di Berlusconi e aggiorna i tratti papali con quelli di Ratzinger. Come dire, il potere è sempre contro le donne: oggi, nel momento della più acuta ingerenza della chiesa sul corpo femminile, anche la politica definisce un canone muliebre vuoto e imprigionato,sfruttato e vilipeso, segno che i diritti non vanno mai dati per acquisiti definitivamente.”