“Mala Dies”, di Angelo Lallo

copertinaMala-Dies-1Titolo: Mala Dies. L’inferno degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle istituzioni totali in Italia
Autore: Angelo Lallo
Casa editriceInfinito edizioni

“Liberate le false farfalle, perché da troppo tempo obbligate a difendersi dai selvaggi predatori delle passioni, costrette a mimetizzarsi sviluppando false teste e a camuffarsi per sopravvivere in un mondo ostile infestato da predatori senza scrupoli. Liberate le false farfalle, che si trasformino in farfalle immortali e così potranno riprendere la diginità rubata. Liberate le false farfalle, perché sono vulnerabili e hanno poca possibilità di difesa nonostante la bellezza, l’evidente diversità, la leggerezza.”
Le false farfalle rappresentano simbolicamente ogni cittadino e i predatori impersonano il dispotismo. Questo monologo, o comizio rivolto al mondo, corre lungo tutto il racconto, riemerge di continuo come da cavità carsiche tra le vicende vissute dalla protagonista. Perché si tratta di racconto di vita vissuta realmente. Ricostruita, recuperata, riordinata per sottolinearne il significato. Espressa dall’angolo estremo dei confini del reale, là dove lo sguardo soggettivo più intimo e solitario riesce a bucare il velo della propria coscienza per immergersi nella storia sociale di una moltitudine totale di eventi, confondendosi con loro, assorbendone il peso, e facendo leva proprio su questo peso per inseguire ancora se stessi e non perdersi.

La Ragione e la ‘Sragione’, una incommensurabile all’altra, una simile all’altra. Mi ha un po’ suggestionato questa lettura. Sarà che la protagonista, Bianca, è della mia stessa generazione e ha attraversato addirittura luoghi e momenti in cui me la sono ritrovata a fianco? E che ancora colorano qua e là tratti non trascurabili del mio sentire? Mi sono riaffiorati alla mente tanti libri letti allora, da L’Io diviso di Ronald Laing a L’istituzione negata di Franco Basaglia, da La morte della famiglia di David Cooper a La storia della follia nell’età classica di Michel Focault, quest’ultimo più volte citato in questo libro di Angelo Lallo. O le tante discussioni che si facevano su questi temi, quando li affrontavamo come impegno politico e sociale, qualche volta anche con il registratore in mano lungo i viali interni dell’ospedale psichiatrico di Ancona, per raccogliere voci da rimandare in onda in una delle radio libere di allora. O il Marco Cavallo, che uscì dalle mura dell’ospedale di Trieste per dilagare in città nelle stesse giornate del convegno di Bologna contro la repressione, nel settembre del 1977, che Bianca attraversa. Eravamo seduti fianco a fianco sulle gradinate del palasport e non me ne ero accorto! In quanti ci siamo persi come false farfalle, e quante farfalle vere abbiamo perso, e dimenticato, negli anni seguenti?

Il racconto attraversa un’intera epoca. Da Valle Giulia, al carcere di Stammheim, a tutti gli anni Settanta fino al rapimento Moro, l’uccisione di Guido Rossa e la bomba del 2 agosto alla stazione di Bologna. La protagonista fugge dalla comunità in cui è stata relegata per aggirarsi tra il dolore di quelle macerie, e di quei cadaveri, e poi anche di perdersi, come un caso fortuito o un’aporia del tempo capace di interrompere il cammino di chiunque: “Bianca tirò fuori la sua indignazione con coraggio, ma ebbe il torto di avvicinarsi pericolosamente al ministro, iniziando un rischioso scontro fisico e innescando una rissa clamorosa tra la scorta e molti cittadini…” Dopo, tutto è già accaduto e nulla è più come prima. Inizia così, con il Mala dies, il percorso definitivo e senza uscita nei gironi dell’istituzione totale, che lei attaversa con lucidità, fino ai giorni presenti, anche se la lucidità in questo contesto appare ancora più spigolosa: “L’internata Bianca era rimasta sempre lucida, nonostante l’inferno che aveva passato. Chi la conosceva poteva garantire che la paura della morte non le apparteneva, ma Bianca era più che convinta che fuori dal manicomio criminale sarebbe stata felice, finalmente nessuno le avrebbe fatto più del male…”

Mi sembra un libro importante, che innanzitutto ha il merito di restituire alla vita una storia che poteva essere dimenticata, e invece ora è possibile leggere; una storia che in qualche modo è anche un insieme di storie e grazie a questo rende possibile riaprire questo tema secondo un’angolazione che ci aiuta a estrarlo dalla dimensione “tecnica, medica o legale” – tipica del controllo – nella quale ci siamo cacciati, per restituirlo ad un contesto sociale, l’unico suscettibile di cambiamento. Anche se è tutto così complesso che a prima vista non si sa bene da che parte iniziare. Al punto estremo dell’istituzione totale troviamo gli opg, ospedali psichiatrici giudiziari.
Interessante anche il lungo racconto nel racconto, scritto da Bianca che così fa rivivere, attraverso un suo alter ego, le vicende dell’ospedale o luogo di detenzione di Bicêtre, durante la rivoluzione francese: quasi per ridefinire una parabola temporale completa delle istituzioni totali, nonché, ahimè, dei lati ciechi delle rivoluzioni.

(Flowers of the night, dall’album del 1973 “Baron von Tollbooth & the Chrome Nun” dei Jefferson Airplaine, il vinile che Bianca ha con sé quando entra nella sua prima comunità terapeutica)

(sul blog “Occhio critico” di Luca Leone un ricordo di Angelo Lallo)

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